A gennaio in occasione di Marca 2011 (Fiera Bologna) ho assistito a un interessante convegno sulla marca commerciale in Europa, ascoltando le interessanti testimonianze dei partecipanti al dibattito non ho capito se la marca privata è lo strumento per migliorare i margini delle categorie– sempre più compressi tra l’estenuante braccio di ferro con l’industria (vedasi tema aumenti materie prime) e la pressione promozionale che, frutto oltre che della crisi della maggiore concorrenza nei territorio, sembra essere l’unica leva per aggiudicarsi fette del sempre più striminzito paniere di spesa del consumatore italiano (abbiamo letto tutti cosa dicono Istat e altri istituti di ricerca a proposito…)- oppure è una risposta alle nuove esigenze del consumatore, sempre meno legato alla marca-industriale e alle sue promesse, e sempre più razionale nei comportamenti d’acquisto (per lo meno in ambito alimentare e grocery). E’ mia convinzione che le private label possano essere una delle chiavi di volta per la ridefinizione dei rapporti tra insegna e cliente– e in questo ambito Mercadona testimonia quanto tale scelta possa essere premiante- mentre il dibattito vagamente “mercatista” tra distributore e copacker cui ho assistito a Bologna mi fa temere che in Italia siamo ben lungi da tale approdo,
La modifica degli stili di consumo, la sempre maggiore attitudine alla multicanalità dei consumatori oltre che, ca va sans dire, la crisi stanno determinando un profondo mutamento dell’ambiente in cui si muovono retailers e copackers. Non tenere conto delle modifiche ambientali è forse il peggiore tra gli errori che si possano compiere!
Il tema vero a mio avviso è il rapporto tra copacker e distributore. Vedendo le dinamiche degli stand di Bologna, sentendo alcuni partecipanti, ho avuto la sensazione che il copacker resti per il distributore un fornitore tout court. Non un partner. Anche le rivendicazioni, emerse nel dibattito, da un lato dei limiti “tecnologici” di tanti fornitori (ad esempio la mancanza di un listino prezzi in formato elettronico, che in effetti è risibile nel 2011, ma che non credo possa essere considerato IL problema) quanto della rigidità da parte dei distributori a farsi carico di parte degli aumenti, lasciandone l’onere maggiore al copacker di turno- alcuni dei quali hanno denunciato di rischiare un default- hanno evidenziato quanta sia la distanza tra i due attori.
Si è detto, non so quanto convintamente, che bisogna partire dal cliente– “el jefe” direbbero i mercadonisti- per tarare assortimenti, offerte ecc. Se siamo convinti di questo, credo non vi sia altra strada che lasciare la logica del muro contro muro per definire un reale patto tra copacker e distributore: avremmo da una parte il distributore che possiede i dati sui comportamenti d’acquisto dei clienti (attenzione non dei consumatori, ma dei PROPRIO REALI clienti), dall’altra l’industria copacker che col proprio know how, e la capacità di ricerca e innovazione potrebbe divenire lo strumento per portare sugli scaffali i prodotti che il cliente/consumatore chiede.
In caso contrario il rischio è che i distributori farciscano i propri assortimenti di private label anziché di prodotti dell’industria di marca, con l’unico risultato di disorientare ancor di più il cliente di fronte a scaffali che iniziano sempre più ad assomigliare a versioni merceologicamente moderne della Babele biblica!