Uno, nessuno, centomila. Alla ricerca di un’identità per i centri commerciali

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I centri commerciali  sono parte integrante dei nostri panorami architettonici e, cosa ancora più importante, del nostro vissuto di consumatori.

Ciononostante a mio avviso il settore è ancora per tanti versi acerbo, dato che gli shopping center, ad di là di alcune fulgide eccezioni (penso allo Shopville LeGru nell’hinterland torinese, piuttosto che a OrioCenter nella bergamasca)  non sono riusciti a delineare un propria identità, restando un rassemblement di singole attività commerciali, per quanto racchiuse sotto un solo tetto e un’unica insegna.

Il fatto stesso che spesso il consumatore identifichi il centro commerciale con l’ancora alimentare, è ad esempio un segno di quanta strada manchi a tanti centri commerciali sul fronte del brand building….

Certamente la debole differenziazione merceologica dei mall in termini di insegne presenti non gioca a favore della creazione di un’identità (per lo meno sul versante dell’offerta commerciale), tant’è che negli ultimi anni l’impegno in fase di definizione del merchandising plan si è spostato sulla costruzione delle food court, che sono spesso diventate elemento caratterizzante e distintivo, creando traffico a favore di tutto il centro commerciale. Ma è evidente che anche questa leva potrebbe perdere via via d’efficacia…

E’ necessario individuare nuove strade e definire nuove strategie.

I centri commerciali- come dicono da anni numerose ricerche di mercato- sono le nuove piazze di incontro per tante comunità, e non esclusivamente di target giovanile (come si è soliti pensare semplificando un po’ troppo la realtà).

Per questo motivo la possibilità di trasformare la piazza (fisica) del centro commerciale in piazza virtuale e sociale dovrebbe essere colta dagli operatori del settore, che dovrebbero porsi l’obiettivo di costruire una piattaforma sociale d’incontro e dialogo coi propri clienti; incontro e dialogo che, a questo punto, non sarebbero più limitati al momento della shopping expedition del consumatore, ma che potrebbe avvenire tutti i giorni e tutto il giorno (considerando l’amore degli Italiani per i social network e le chiacchiere online).

E’ vero che alcuni centri commerciali (e outlet) hanno una propria pagina su Facebook e utilizzano Twitter piuttosto che altre piattaforme social, ma se pensassimo che avere una strategia social significhi semplicemente avere una pagina sui più importanti social network, compiremmo il medesimo errore di chi anni fa pensava che avere una web-strategy significasse avere un sito internet… Anche su questo fronte vi sono casi davvero interessanti, ma la strada da compiere è molta per la gran parte del settore.

La dimensione della shopping experience, inoltre, non si sviluppa solo sugli assi dell’assortimento (numero insegne presenti) e convenienza, ma dovrebbe essere misurata da parametri di servizio che sono nella totale disponibilità del centro commerciale in termini di progettazione, implementazione e gestione. Servizi di assistenza per target sensibili quali bambini e anziani (nel primo caso non si pensi che sia sufficiente dotarsi di un’area bimbi), piuttosto che di ausilio agli acquisti o ancora servizi di navigazione a supporto dei clienti per permettere loro di individuare sempre la migliore soluzione per i propri obiettivi di acquisto.

Infine un ultimo elemento di criticità nel settore (non solo italiano in questo caso): l’integrazione tra l’ancora alimentare e il centro commerciale risulta spesso difficile se non impossibile. E’ assurdo pensare che vi siano barriere nella condivisione dei dati, sia perché è evidente che negozi della galleria e ipermercato condividano nei fatti la clientela, sia perché incrociare (arricchendoli) i dati dei singoli operatori oppure attivare una piattaforma comune di analisi, permetterebbe di definire un profilo del cliente/consumatore a 360 gradi: analizzandone i comportamenti non solo con l’ottica ristretta del singolo operatore, ma con un’ottica allargata e integrata, sarebbe possibile disegnare strategie di customer relationship management davvero efficaci.

Per superare tali limiti in alcuni casi i centri commerciali si sono dotati di una propria carta fedeltà, ma si tratta spesso di strumenti con debole infrastruttura IT e scarsi contenuti di opportunità e servizi per la clientela; ma, soprattutto, tali progetti si infrangono normalmente sugli scogli rappresentati dalla barriera casse dell’insegna della GDO di turno…

In conclusione i centri commerciali anche in futuro si troveranno a organizzare concerti, degustazioni, spettacoli di cabaret, mini concorsi a premi o altri eventi di maggiore (o minore) richiamo- gratificando i propri operatori commerciali con un maggior traffico di fronte alla vetrine e i propri clienti con alcuni momenti di svago o divertimento- ma è necessario che maturino un cambio di passo e un approccio più strategico, per far sì che il “Marketing”- quello con la M maiuscola- con tutte le complicazioni gestionali prima evidenziate, possa divenire realmente una leva strategica di successo.

Daniele Cazzani

Perché non ascoltiamo il consumatore?

Sempre più analisi e ricerche evidenziamo come nello scatolame si registri un aumento delle vendite di confezioni piccole e singole, con un prezzo unitario inferiore, come conseguenza delle modificate abitudini di acquisto dei clienti non più disposti a stoccarsi di merce.

Nonostante questa evidenza e tralasciando alcuni esempi che dovrebbero fare scuola- penso agli assortimenti di U2- mi chiedo perché quasi tutta la GDO continua a ignorare questa tendenza cercando di “forzare la mano ai consumatori” con confezioni extra e multiple (avete presenti le confezioni da 16 scatolette di tonno che invadono i volantini in questo periodo?).

Per quanto la risposta sia facile (volumi & industria?) temo davvero non sia la strada corretta quella di perseverare nell’ignorare le nuove esigenze del consumatore…

Ma qualcuno analizza i dati Nielsen e i dati della propria fidelity?

 

Daniele Cazzani