Livello di fiducia e livello dei consumi sono fortemente correlati, come evidenziato dal grafico sotto riportato elaborato dalla Commissione Europea (www.ec.europe.eu) su dati Eurostat (www.ec.europa.eu/eurostat) Banca Centrale Europea (www.ecb.int). Quello rappresentato è l’indice aggregato europeo, ma tale correlazione è dimostrata in tutti i principali Paesi in ambito UE.
E’ pertanto evidente quindi come monitorare l’andamento della fiducia ci permetta di leggere anche l’andamento dei consumi.
Partiamo quindi dall’annuale indagine promossa da Nielsen, che ha recentemente certificato come il livello della fiducia nel nostro Paese sia tra i più bassi al Mondo, precedendo solo (in ambito europeo) Grecia, Portogallo e Ungheria, e abbia registrato, se possibile, un ennesimo peggioramento rispetto alle precedenti rilevazioni.
Dato che siamo soliti vivere quotidianamente tale situazione, questo dato non ci stupirà, ma credo sia necessario analizzarlo per definirne le determinanti, ovvero capire quali parametri influenzino la fiducia di un Paese per comprendere se e come sia possibile intervenire per modificare il sentiment dei consumatori/cittadini.
Innanzi tutto la crisi che stiamo vivendo non è diretta conseguenza della crisi dl 2007-2008, maturato in ambito prettamente finanziario (sub prime ecc.), quanto frutto di una diffusa situazione di incertezza e forte prudenza da parte di investitori e consumatori che si somma a una situazione di difficoltà dei bilanci dei principali Paesi dell’area euro (ad eccezione della Germania) che si trovano a non avere gli strumenti a disposizione per stimolare una ripresa dell’economia, dovendosi in primis preoccupare di rendere sostenibili nel medio e lungo periodo i propri livelli di deficit e indebitamento, nella maggior parte dei casi ben lontani dai parametri definiti da Maastricht e che tanti economisti oramai chiedono di superare in quanto non più adatti al nuovo contesto economico.
Senza entrare nel merito di queste ultime discussioni, il tema principale sul tappeto oggi è la crisi della domanda interna dei singoli Paesi, e in particolare modo dell’Italia. A conferma di quanto appena detto, ricordo come il 2012 abbia evidenziato per le nostre imprese livelli record nell’export, e ciò è avvenuto nonostante le enormi difficoltà che i nostri imprenditori devono affrontare: elevata pressione fiscale, eccesso di burocrazia, difficoltà di accesso al credito, incertezza sui tempi di pagamento (non solo da parte della pubblica amministrazione ma anche tra privati e connesse farraginosità degli strumenti legali a tutela) inefficienza nelle rete dei trasporti, inadeguatezza del mercato del lavoro e della struttura formativa (scuole e università) tanto per citarne alcuni.
Il vero problema del nostro sistema economico è però dato dalla continua discesa dei consumi interni, sia di prodotti finiti che semilavorati, sia in ambito b2c che b2b, come testimoniano anche i preoccupanti dati relativi ai primi mesi del 2013.
Come dicevo il calo dei consumi è correlabile al calo del clima di fiducia: è pertanto importante vedere quali ne siano le determinanti. Per procedere mi affido ancora una volta a uno studio della Banca d’Italia che ha monitorato alcuni parametri mettendoli quindi in relazione con un indice di fiducia misurato periodicamente dalla Commissione Europea
Trascurando altri parametri quali il livello dei corsi azionari (nonostante l’enfasi dato dai mass media a tali indici, nella realtà la bassa finanziarizzazione delle famiglie in Italia in particolare- rispetto agli Stati Uniti o ai Paesi anglosassoni- rende debole, o di breve periodo al massimo, il legame tra i due indici), mi concentro in particolare su quattro determinanti:
- posizione finanziaria;
- indice di disoccupazione;
- situazione economica generale;
- livello del risparmio.
Come i grafici sotto riportati dimostrano è il tasso di disoccupazione ad incidere maggiormente sul clima di fiducia dei consumatori, determinandone buona parte delle oscillazioni.
Ciò detto è evidente quindi come la prima preoccupazione del Governo (quale che sia e sperando che prima o poi ci sia…) dovrebbe essere un forte intervento sul fronte delle imprese e del lavoro, mentre da mesi pur registrando continui peggioramenti nei tassi di disoccupazione- pensiamo soprattutto a quella giovanile o femminile in Italia, la prima attorno al 30% e la seconda anche oltre il 50%- l’attenzione più forte pare essere concentrata sul livello dello spread dei titoli di Stato nei mercati secondari o nelle nuove emissioni di titoli di debito.
Se si vogliono rilanciare i consumi è assolutamente prioritario intervenire sul fronte della lotta alla disoccupazione, non tanto attraverso risorse di diretta erogazione statale o stressando gli ammortizzatori sociali, quanto mediante un coraggioso, visionario, difficile ridisegno della nostra macchina statale (togliamoci dalla testa l’idea che basti un decretino o quale leggina per invertire la rotta), che permetta di liberare risorse a favore degli imprenditori e dei lavoratori (e quindi delle famiglie), dando così un concreto sostegno al livello di fiducia (e quindi ai consumi). Sarebbe invece illusorio pensare che sia sufficiente non rendere operativa l’entrata in vigore dell’aumento dell’IVA previsto a giugno, o mettere in campo interventi di piccolo cabotaggio, come l’attenuazione dell’IMU o contributi alle famiglie, sempre esigui e di dubbia efficacia; se questa fosse la strada scelta temo che fra pochi mesi saremo ancora costretti a registrare dati sempre più preoccupanti sulla disoccupazione e un clima di fiducia ancor più deteriorato, lasciando così che la spirale negativa continui ad accelerare la propria corsa, distruggendo ricchezze, speranze e il futuro del nostro Paese.
@danielecazzani