LO STATO DELL’ARTE
In una società che sta vivendo una profonda evoluzione sociale che impatta fortemente anche sugli stili di vita e di consumo, è necessario prendere atto che il discount del futuro potrà e dovrà essere ben diverso da quello che finora abbiamo conosciuto, e questo nonostante negli ultimi anni questo format abbia registrato indubbi successi, incontrando il favore dei consumatori (in questo certamente aiutato dalla contingente situazione di crisi che- almeno questo è l’auspicio dei più- dovrà prima o poi terminare anche nel nostro Paese, ma i cui effetti sulla struttura della nostra società potranno sopravvivere ancora per anni).
In Italia la crescita del discount (sia a valore che a volume) sta rallentando nei primi 3 mesi del 2012 come testimoniano i dati SymphonyIRI
Se allarghiamo la prospettiva agli ultimi anni in effetti possiamo notare come l’incremento della rete non abbia coinciso con un aumento della quota sui consumi LCC che resta di poco superiore al 10%.
La spiegazione di questa mancata correlazione tra quota e crescita della rete è in parte imputabile alla progressiva saturazione del mercato (non solo del format discount ovviamente): i dati esposti possono quindi essere visti come indicatori di una minore “qualità” delle nuove aperture (scelta di location e bacini con potenziali poco più che discreti in quanto già presidiati da altri competitors o formati).
Come detto, la crescita degli ultimi anni è stata certamente “aiutata” dal contesto economico, ma sarebbe improprio dire che i discount ne abbiano semplicemente “beneficiato”, dato che tutti i principali players del settore hanno messo in campo strategie di evoluzione sul fronte dell’offerta e dei servizi che hanno saputo incontrare il favore dei consumatori in un momento tanto delicato. Ma è indubbio, come testimoniano numerose indagini, che i discount siano per molti consumatori un “canale rifugio”, ovvero un modo per fare fronte al contesto modificando le proprie preferenze di spesa alla ricerca di un maggiore risparmio.
In sintesi, qual è stato il percorso evolutivo dei discount? Senza soffermarsi in eccessive precisazioni (troppe e con ben distinte strategie sono le insegne operanti sul mercato italiano), voglio suddividere la vita dei discount in tre principali passaggi:
- PRICE! Fase caratterizzata da una forte enfasi sui prezzi, con layout molto semplici, un assortimento non particolarmente ampio né tantomeno profondo, e nessun tipo di servizio;
- MORE GOODS, BUT ALWAYS CHEAPER! Un assortimento più ricco– c’è chi intraprende, più o meno prudentemente, la strada delle private label e chi invece inserisce le marche leader– i punti vendita divengono meno “austeri” e si iniziano attività di comunicazione di tipo promozionale più classiche, abbandonando in alcuni casi l’approccio puro every day low price;
- SERVICES AND PROMOTIONS! Si introducono i reparti freschi e assistiti, per aumentare il servizio alla clientela ampliando così la sovrapposizione competitiva rispetto ai supermercati; si arricchisce l’offerta con prodotti non food– tale aspetto per alcuni retailers diviene addirittura la principale value proposition per il cliente- e aumentano gli investimenti in comunicazione, soprattutto promozionale.
Partendo dalla considerazione che la crescita di questi anni è stata aiutata anche da una certa distrazione e sufficienza con la quale gli altri formati (supermercati in primis) e l’Industria hanno osservato l’evoluzione in atto nei discount, la domanda da porsi è quale debba essere il prossimo passo del format.
GLI ERRORI DA EVITARE E IL FUTURO DISCOUNT 3.0
Il formato quindi è cresciuto, sia per l’evoluzione del contesto esterno ma soprattutto per la capacità che ha avuto di modificarsi (e migliorarsi)nel corso degli anni. Il rischio che si corre oggi, però, è che il percorso evolutivo del formato inizi a somigliare troppo a quello dei supermercati…
Per inseguire i volumi, infatti, negli ultimi tre anni la pressione promozionale è aumentata, soprattutto in alcuni comparti (pensiamo ai freschi e al freddo, quelli in qualche modo più esposti alla concorrenza trasversale degli altri formati, dove la pressione media è raddoppiata in soli 2 anni). Tale scelta porta con sé delle ovvie conseguenze: per i discount in cui la quota del prodotto di marca è ancora elevata, ciò comporta una pericolosa erosione dei margini; per i discount in cui la marca commerciale ha un ruolo cruciale, un’eccessiva pressione promozionale rischia di alterare la strategia di costruzione della scala prezzi, sia quella reale che- cosa ancora più importante- quella percepita dal consumatore/cliente con conseguenti rischi di disorientamento.
Ma al di là di queste ovvie considerazioni sarebbe sufficiente volgere lo sguardo agli altri canali- ipermercati in primis- dove la sempre maggiore pressione promozionale (pari oramai al 30%) non è andata di pari passo con un miglioramento dei volumi, anzi ha drogato il mercato trasformando i consumatori in cherry pickers seriali.
Riempire le cassette delle lettere di volantini potrebbe non essere la scelta migliore per il futuro...
Avendo ben presente questo quadro e le sfide del futuro, a mio avviso, il discount è in grado di disegnare nuove strade di crescita, che siano sostenibili non solo nel breve ma anche nel medio e lungo periodo.
Il primo passo da compiersi è pertanto perdere la mera connotazione di “canale rifugio”: il discount, senza perdere l’atout della convenience, dovrà compiere un percorso che lo porti a mettere al centro delle proprie strategie il cliente, ispirandosi- absit inuria verbis vista la diversità dei settori- a quanto fatto da Ikea, che ha investito molte risorse sul cliente, sul miglioramento della sua shopping experience, su un’integrazione intelligente della propria offerta merceologica (pensiamo ai ristoranti) e su una serie di servizi e attenzioni che hanno lavorato non solo su aspetti tangibili (il rapporto qualità/prezzo dei propri prodotti è rimasto un must) quanto su elementi più intangibili, emozionali e sociali.
Ciò ovviamente non significa porre in secondo piano l’assortimento, che resta la variabile critica di partenza, quella attorno alla quale costruire la strategia.
Pertanto i discount dovranno usare strategicamente gli assortimenti attraverso un’accorta attività di category management- monitorando i nuovi stili di consumo e presidiandone intelligentemente le nuove tendenze- migliorando l’appeal del punto vendita, organizzando in modo più distintivo la “rappresentazione” della propria offerta merceologica (per citare un termine caro al Prof.Lugli dell’Università di Parma e ben spiegato nel suo recente libro “Troppa scelta”), facendo attività di branding sui propri marchi, dialogando coi territori per divenire il nuovo e vero proximity store (andando ben oltre mere attività di sponsorship) e implementando distintive attività di loyalty marketing che sappiano essere distintive e contribuire al branding d’insegna. Vediamo però rapidamente alcuni di questi punti, partendo dall’ultimo citato.
E’ oramai maturo il tempo che anche i discount varino attività di customer relationship management: il fatto che nei primi mesi del 2013 i comparti merceologici dei discount che stanno registrando i maggiori incrementi (in valore) siano il fresco e l’ortofrutta (rispettivamente +5,2% e + 11,7% in base ai dati InfoScan Census di SymphoniIRI) è un’ennesima spia di come parlare di fidelizzazione della clientela discount non debba più sembrare un’eresia.
Ciò non significa che sia sufficiente dotarsi di una carta fedeltà (i portafogli dei consumatori italiani ne sono già pieni…), quanto dotarsi di una strategia di relazione col cliente chiara e diffusa (ovvero condivisa da tutte le risorse umane e parte integrante di qualsiasi scelta dell’insegna), che parta dagli assortimenti e dai servizi e definisca percorsi di fidelizzazione e relazione nell’ambito dei quali siano chiari e dichiarati gli obiettivi dell’insegna e i benefici tangibili per il cliente, in un rapporto trasparente e che non può non tenere conto dell’approccio multicanale del consumatore italiano, oramai molto più attento e intelligente nella fase di acquisto e sordo alle sole voci dell’advertising tradizionale. Le risorse andranno pertanto dirottate dalla classica pubblicità e investite nella relazione con la propria clientela (reale o potenziale).
Ad esempio. Hanno ancora senso operazioni a premio con in palio set di padelle o altri utensili di cucina? Ci si è mai chiesti se tali operazioni costituiscono un effettivo valore per il cliente o non sono che un’appendice a una scelta di consumo del cliente determinata da altri elementi? E’ vero che spesso tali attività spesso per semplici “copia e incolla” anno dopo anno, per l’ossessiva analisi delle controcifre d’affari, ma mi chiedo provocatoriamente se abbia senso gestire le strategie commerciale di un discount come una fotocopisteria.
Sarebbe certamente più premiante investire in attività di special (social) promotion in grado di attivare in modo più dinamico i propri bacini d’utenza e clienti con effetti anche nel medio e lungo termine.
Anche sul fronte degli assortimenti, bisogna avere la capacità di seguire l’evoluzione della nostra società, abbandonando cliché e stereotipi del cliente-tipo che non hanno più motivo d’esistere.
Solo a titolo d’esempio citiamo tre dati che testimoniano, se ce ne fosse bisogno, l’emergere di nuove tendenze di consumo e la nuova struttura della società italiana:
- a Milano il secondo cognome più diffuso è Hu;
- 8,5 milioni di Italiani si dichiaranao vegetariani (nel 2000 erano 1,5 milioni);
- il giro d’affari del cibo halal in Italia è di 5 miliardi euro.
Sapere leggere tali modifiche significa avere la capacità di porre sui propri scaffali il prodotto giusto proprio nel momento in cui il cliente lo sta cercando, acquisendo un vantaggio competitivo nei confronti degli altri retailers.
Questo arricchimento dell’offerta- in cui lo sviluppo della marca commerciale continuerà ad essere centrale- non dovrà però comportare la perdita della “sobrietà” degli scaffali, perché inflazionare i punti vendita di prodotti inutili è un errore già compiuto da altri formati che rischia di essere un groviglio da cui risulta poi difficile districarsi.
Contestualmente la comunicazione nei punti vendita dovrà divenire elemento centrale, per essere non tanto elemento di grido e distrazione per il cliente, quanto strumento guida nella lettura dell’offerta. Sfruttando i nuovi device a disposizione dei consumatori e il loro nuovo approccio all’atto d’acquisto, è ora possibile sviluppare attività di socializzazione degli acquisti, per non dimenticarsi di come il vecchio passaparola sia da sempre il più potente mezzo di comunicazione a nostra disposizione.
In tale ambito non si intende disconoscere il ruolo di traino che il non food può avere, ma è importante non correre il rischio che l’offerta non alimentare di carattere promozionale diventi distraente rispetto all’obiettivo principale. I discount trarrebbero sicuramente vantaggio, nel medio termine, dall’evitare di vendere cose inutili ai propri clienti…
In conclusione, riagganciandoci al tema della fidelizzazione è necessario prendere atto che non esiste più “IL” consumatore, ma migliaia di consumatori, che in questi anni stanno attuando una spending review dei propri stili di vita e di consumo.
Se i discount sapranno prendere atto di questa evoluzione e fare evolvere un approccio al mercato e un paradigma organizzativo che finora è stato certamente premiante, lavorando su assortimenti, relazione col cliente e strategie commerciali (scegliendo ad esempio se perseguire attività di edlp o hi-low o un chiaro- per il cliente- bilanciamento tra questi due estremi) è facile prevedere che tale format saprà affermarsi ancora di più negli anni a venire- erodendo quote a formati che faticano a cambiare pelle come ipermercati e supermercati- a prescindere da quale sarà il contesto economico contingente.
@danielecazzani