Un antidoto alla #crisi? Il #loyalty #marketing! (considerazioni a margine dell’Osservatorio #Fedeltà 2013)

Come ogni anno anche l’edizione 2013 dell’Osservatorio Fedeltà promosso dall’Università di Parma- www.osservatoriofedelta.it – è stato un momento importante per fare il punto sullo stato di salute del loyalty marketing in Italia e nel Mondo, soprattutto per capirne il ruolo nell’ambito delle politiche dei retailers in risposta alla perdurante crisi dei consumi (nel nostro Paese soprattutto).

Il Prof.Daveri della Bocconi ha provato a rassicurare i partecipanti illustrando alcune deboli cifre (ripresa ordinativi e miglioramento fiducia imprese e consumatori) che parrebbero sostenere la tesi della fine del periodo recessivo. Onestamente però, al di là delle ottimistiche ipotesi sulla crescita del PIL italiano nei prossimi anni (sovrastimate rispetto a quelle dell’IMF), credo che i retailers farebbero meglio a non affidare le proprie sorti a una prossima ripresa, ma a concentrarsi sui propri business mettendo al centro delle proprie strategie i clienti.

Enzo Grassi, direttore generale di Catalina Marketing Italia, dall’alto del proprio punto di osservazione privilegiato ha infatti illustrato alcuni numeri che non avrebbero dovuto stupire i retailers presenti. Nonostante la crisi abbia colpito indistintamente e duramente tutti i consumatori (i consumi italiani sono a livello di 10 anni fa anche perché il reddito reale si è ridotto del 10%) riducendo la spesa media del 6% (per il combinato disposto di una riduzione della frequenza- che ha inciso per il 2%- e una riduzione della spesa in terminid i quantità e prezzi medi dei prodotti in carrello) i dati esposti hanno dimostrato come la fedeltà sia stata in grado di ridurre l’impatto della crisi, dato che i clienti fedeli hanno ridotto meno la frequenza d’acquisto.

E’ pertanto evidente che quei retailers che in passato hanno investito nella costruzione di una relazione di fedeltà coi propri clienti stiano ora subendo meno i colpi della crisi e, cosa ancora più importante, abbiano la possibilità di innescare, proprio grazie a tale relazione privilegiata, efficaci politiche di rilancio incentrate soprattutto sull’analisi dei comportamenti dei propri clienti fedeli.

Big data, multicanalità, experience, saranno di fatto le parole d’ordine per le politiche di loyalty dei prossimi anni (dopo tutto sono almeno due anni che l’Osservatorio Fedeltà ci dice che è giunto oramai il tempo del loyalty “di servizio”).

Concentrarsi sui propri clienti fidelizzati, quindi su attività di retention, anziché di acquisition, è una scelta che sempre più aziende stanno compiendo, avendo capito che un cliente fedele è un patrimonio da valorizzare, anche perché in grado di richiamare altri clienti meglio di altri media più o meno tradizionali (Nielsen ha recentemente ricordato a tutti che il passaparola è sempre lo strumento più potente, che ora si può avvalere dell’ambiente dei social per vedere elevato all’ennesima potenza la propria efficacia).

E però necessario che i retailers siano sempre più generosi nei confronti dei clienti fedeli, arricchendo di contenuti (anche esperienziali) e non solo di promozioni la carta fedeltà, anche per contrastare in modo efficace i nuovi players che si affacciano sul mercato, grazie proprio alle possibilità offerte dalle tecnologie digitali e l’integrazione tra queste e i negozi fisici e alla diffusione di nuovi strumenti di pagamento (pensiamo a Google Wallet) che diverranno sempre più il perno delle attività di loyalty.

Ma il principale pericolo per i retailers è dato dalla disintermediazione che alcune industrie stanno compiendo, dotandosi di strumenti e piattaforme per dialogare direttamente coi propri clienti, potendo fare leva sulla forza dei propri brand (come il caso illustrato da Procter & Gamble ben dimostra).

In conclusione, solo i retailers che sapranno dare centralità al loyalty marketing, dialogando coi propri migliori clienti e valorizzandone l’experience, potranno  reagire in modo efficace alle mutate condizioni ambientali, dato che pare oramai assodato come il consumatore uscirà comunque cambiato da questa lunga crisi, ovvero sarà sempre più attento al valore e al prezzo, più social e interessato a essere coinvolto in modo attivo (dai retailers o dall’industria).

Al #retail italiano non serve uno psicanalista ma un progetto di sistema. @retailsumm_it: alcune considerazioni a margine

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Il palco del Retail Summit 2013 in alcuni momenti sembrava un lettino da psicanalista con amministratori delegati e manager che elencavano le quotidiane frustrazioni (ben comprese dalla platea) del “fare retail” in Italia per colpa di quei mali che affliggono  il nostro Paese, come la scarsa liberalizzazione in alcuni settori strategici, l’eccessiva burocrazia, l’elevato costo del lavoro, ecc.

Psicanalisi a parte, l’incontro è stato comunque estremamente ricco in termini di spunti di riflessione.

Innanzi tutto è parso ai più evidente come l’eccessiva frammentazione della rappresentanza del mondo Retail- troppe associazioni, troppo divise- sia un ostacolo alla capacità di farsi ascoltare da parte di una delle componenti più importanti del PIL italiano. Il caso dell’IVA ne è un esempio: le tante proteste dai vari settori avanzate in modo scoordinato, non hanno inciso sulla scellerata scelta finale di confermare l’aumento dell’aliquota. Ed è ancora più assurdo, kafkiano direi, ascoltare i rappresentanti di uno dei settori che più investe in pubblicità dire che la Distribuzione pecca in comunicazione: i distributori hanno l’indubbio privilegio di poter parlare ogni giorno, all’interno dei propri negozi, con milioni di Italiani, ma per far sentire la propria flebile voce, si affidano solo a sterili comunicati stampa… mentre altre associazioni (penso a Coldiretti) hanno la forza di mobilitare il Paese per le proprie campagne (a proposito: qualcuno si ricorda di una campagna, una, di Federdistribuzione?) garantendosi un’invidiabile copertura mediatica e un positivo ritorno d’immagine.

Mi è parso altrettanto evidente come il concetto di “filiera” sia ancora ben lungi dal radicarsi, vista la diffidenza con cui ancora si parlano troppo spesso IDM e Distribuzione (il siparietto tra Coop e Carlsberg su chi avesse perso più margini in questi anni è a suo modo istruttivo). Acquisire una visione di sistema è, invece, a mio avviso un passaggio necessario per superare inefficienze e rigidità che inficiano le performances su entrambi i lati, partendo magari dall’organizzazione delle Centrali d’Acquisto o quantomeno da una semplificazione della contrattualistica (arrivando in futuro a una condivisione dei dati loyalty) che a cascata potrebbe impattare positivamente anche sulla gestione del momento promozionale, che in tanti casi ora pare fuori controllo (e sempre meno efficace).

A proposito di “fare sistema”, la testimonianza dei player della Logistica col progetto Delivering, ha dimostrato come, superando ostacoli burocratici e tecnici- la condivisione delle competenze sia in grado portare notevoli miglioramenti alle filiere, alle organizzazioni e, non ultimo, ai conti economici.

Gli interventi di Augusto Cremonini e di Stefano Beraldo hanno ricordato ai più come fare management significhi non solo occuparsi delle grandi strategie (memo: è essenziale avere piani strategici a più anni, evitando di vivere alla giornata…) ma anche intervenire su quelli che a prima vista possono sembrare aspetti trascurabili del nostro business- come i costi di una lampadina in un negozio…- ma che nella realtà nascondono potenzialità di crescita: ogni riga del conto economico, ogni funzione aziendale, ogni business unit deve mirare sempre al proprio miglioramento. Restare fermi, oggi, significa indietreggiare.

Da numerosi speakers è stato detto che il cliente non è più multichannel, ma omnichannel. Non commento il “simpatico” proliferare di termini in ambito marketing [appartengo alla categoria dei marketer quindi non vorrei inimicarmi troppi colleghi], ma ricordo come più che sull’aggettivo sia importante concentrarsi sul sostantivo: CLIENTE. Il cliente deve essere davvero (finalmente) posto alla base delle strategie aziendali, se vogliamo incrociarne i nuovi desiderata che parlano sempre più di una ricerca spasmodica del rapporto qualità-prezzo e di una maggiore consapevolezza delle (e nelle) proprie scelte d’acquisto. Sta forse scomparendo l’epoca della pubblicità tradizionale a favore della relazione (in questo aiutati, o costretti, dal proliferare dei device mobili), quindi è necessario per le aziende attrezzarsi per l’ascolto dei clienti, avendo nel contempo il coraggio di ridisegnare anche la propria organizzazione su questi nuovi paradigmi.

Pugliese di Conad ha infine riportato al centro dell’attenzione un attore, spesso considerato come terzo, ma che a tutto tondo deve essere considerato come facente parte del sistema Retail: ovvero il credito. Non è possibile parlare di rapporti IDM e Distribuzione lasciando fuori dalla porta questa cruciale componente, né si può parlare di investimenti o internazionalizzazione senza prendere atto di come sia essenziale nel nostro Paese porre come questione cruciale un nuovo disegno dei rapporti tra mondo finanziario-bancario e mondo Retail (ma non solo).

Se il Retail italiano saprà affrontare da sè queste sfide- partendo, auspicabilmente dall’indire quegli Stati Generali del Retail cui si è accennato nel corso del Summit- allora è possibile che possa crescere e pensare in modo più concreto a uno sviluppo internazionale- finora debole come testimoniato dal Fondo Strategico Italiano, nonostante l’indubbia potenzialità di tanti nostri brand- e affrontare in modo più efficace i mutamenti degli stili di consumo, sia quelli di oggi che quelli di domani.

 

Daniele Cazzani @danielecazzani

Il #lavoro, i #consumi e la #GDO : si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie…

I recenti dati ISTAT hanno documentato un ulteriore aumento della disoccupazione (arrivata ad agosto quota 12,2% con un incremento di 1,5 punti percentuali rispetto al 2012) con una drammatica punta del 40,1% per la disoccupazione giovanile.

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La sensazione di tanti, troppi, lavoratori è oramai riassumibile nella drammatica poesia ungarettiana “Soldati”:

Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie

Una profonda sensazione di precarietà che incide (e come non potrebbe?) sulla fiducia di milioni di famiglie e di giovani (che nemmeno riescono a mettere piede nel mondo del lavoro).

Purtroppo ci siamo quasi abituati a questi dati, che sono  lo specchio di un perdurante calo del PIL (-2% nel secondo semestre 2013 rispetto all’anno precedente) che sprofonda  il nostro Paese in una delle peggiori crisi della sua storia  e rende quantomeno risibili i proclami di una ripresa di fine anno (che ben sappiamo non avrà effetti immediati sul tasso di disoccupazione, atteso ancora in aumento per il 2014)…

In questa situazione i consumi delle famiglie italiane stanno continuando a diminuire, anche per quanto concerne la spesa alimentare, che è già stata interessata da una profonda rimodulazione della domanda , attraverso l’impoverimento del carrello medio e il passaggio a prodotti primo prezzo o alle private labels e una sempre maggiore predilezione per il canale discount. Questa crisi si traduce anche in una riduzione del numero netto di punti vendita sul territorio, dopo anni che avevano comunque registrato aumenti delle reti pur a fronte della riduzione della domanda.

Finché non si invertirà l’andamento del PIL nazionale e una ripresa non si ripercuoterà sul lavoro e più in generale sulla condizioni delle famiglie italiane, è pertanto illusorio attendersi riprese dei consumi. Molti ricercatori ritengono inoltre che questa crisi segnerà per anni le abitudini di consumo degli Italiani: è pertanto evidente come la GDO e l’Industria si trovano oggi e si troveranno in futuro ad affrontare una domanda diversa da quella cui erano abituate.

In tale contesto sarebbe auspicabile che, oltre a correggere proprie inefficienze (celate da anni di crescita, spesso drogata), GDO e IDM sfruttassero questa “attraversata nel deserto” per rivedere i propri paradigmi di collaborazione, per essere in grado di affrontare insieme il nuovo ambiente e proporre nel contempo ai consumatori italiani una nuova offerta.

Anziché disperdere le proprie energie in muscolari confronti, o perdere tempo in battaglie di breve respiro (come quella, ovviamente persa, sull’aumento dell’IVA), sarebbe oltremodo necessario che GDO e IDM si mettessero di fianco l’una all’altra, non per simulare una coincidenza di vedute che non può sempre esservi nei fatti, ma per far sentire la propria voce e disegnare un nuovo contesto di relazioni e di mercato finalizzato a un sostenibile piano di rilancio dei consumi, che nessun altro attore- la Politica tantomeno- pare essere intenzionato o in grado di proporre.

 

Daniele Cazzani (Head of Marketing & Communication Lombardini Holding SpA – IperPellicano) @danielecazzani