Quando i #supermercati imitano (male) i #discount che imitano (meglio) i supermercati (e gli #ipermercati)

esse... non fosse buon marketing?

Stamattina ho trovato nella mia cassetta postale un piccolo volantino di una delle più note insegne della GDO italiana, che mi segnala come sia possibile fare la spesa quotidiana con meno di 15 euro. Wow! Wow? Alcune premesse sono necessarie: 1- non faccio la spesa quotidianamente; 2- non saprei cosa farmene, ogni santo giorno, di un detergente piatti o di un litro di sapone liquido (vabbè, l’igiene è importante); 3- non consumo 10 rotoli di carta igienica al giorno (almeno finora non mi è mai capitato!); 4- non bevo 12 litri d’acqua (per quanto i medici dicano che faccia bene…); 5- nè mangio 1 chilo di carote (anche se a ben vedere, potrebbe beneficiarne la mia vista e la mia abbronzatura); e potrei continuare all’infinito… oppure berci una bella birra (ah, no, sono astemio!).

Siamo nel 2013- nell’epoca dei bidgdata, della multicanalità, del loyalty e del mobile marketing- e mi chiedo a cosa servano certe iniziative (proposte non solo dall’insegna citata, sia chiaro), o solo quali obiettivi si pongano. Detto che il paniere proposto è perlomeno risibile e opinabile, se il messaggio voleva essere “rinunciando alle marche più famose (che trovi sui nostri scaffali) e comprando prodotti del tutto anomini, puoi risparmiare un sacco di soldi” credo allora che sia efficace; ma dato che temo che il messaggio volesse essere più semplice, del tipo “anche da noi puoi fare la spesa, spendendo come da un discount”, credo che la via scelta sia quanto meno non felice.

Gli operatori della GDO tradizionale potrebbero raccontare il proprio assortimento nelle corsie dei propri negozi, quando il cliente si trova alla guida del proprio carrello, ponendo l’enfasi sui propri prodotti a marchio oppure sui primi prezzi, per far capire ai clienti quale maggiore libertà di scelta possano offrire rispetto ai classici discount in termini di opportunità di scelta tra marche, private labels, e primi prezzi. Ovviamente anche altri media potrebbero essere utilizzati a tale scopo, ma non voglio perdere il filo del discorso.

Con la soluzione che ho commentato all’inizio, invece, l’effetto è, a mio avviso, quello di un downgrading del messaggio e del posizionamento dell’insegna, ovvero un errore marchiano per chi fa marketing.

Il problema è enfatizzato dal fatto che i discount, dal loro lato, si stanno sforzando per riposizionarsi verso l’alto, migliorando l’appeal dei propri negozi, l’offerta commerciale- con la valorizzazione dei reparti freschi e freschissimi- oltre che la qualità del proprio assortimento, elevando a brand i propri marchi di fantasia (protagonisti anche di spot tv). Insomma, un percorso che, senza poter negare la limitatezza dell’offerta tipica di un discounter [a mio avviso suonano forzati i tentativi di togliersi l’etichetta di discount da parte di alcuni leaders del formato], investe per comunicare ai propri clienti come il proprio assortimento risponda alla domanda di convenienza, ma anche a quella di un corretto value for money.

GDO tradizionale e discount sembrano così percorrere due strade con direzioni diverse. Ovviamente sarà il cliente a scegliere quale strada percorrere (anche di volta in volta, si sa che la fedeltà oggigiorno non è scontata), anche se i dati di vendita periodicamente diffusi da Nielsen o IRI segnalano come solo i discount (tranne qualche rara eccezione nella GDO classica) stanno finora riuscendo, seppure con difficoltà, a reggere l’impatto di questa prolungata crisi.

 

@danielecazzani

 

I #consumi #FMCG caleranno anche nei prossimi anni (@Nielsen dixit). #Discount, #ipermercati e #supermercati ne sono consapevoli?

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Nielsen prevede che i volumi dei consumi Fast Moving Consumer Goods saranno in calo anche nei prossimi due anni (non badiamo troppo ai valori, influenzati dall’inflazione, seppur debole). Discount, Ipermercati e Supermercati ne sono consapevoli? L’impatto sarà probabilmente diverso sui vari canali e differenti dovranno essere le risposte: gli IPERMERCATI dovranno lavorare ancora sull’assortimenti, soprattutto non food (per disegnarne un nuovo ruolo) e dare reale valore ai propri clienti mettendo al centro delle proprie politiche assortimentali (più che promozionali) le private labels; i SUPERMERCATI dovranno ritrovare un’identità di prossimità, dimenticandosi pericolose escursioni in ambiti non alimentari che finora non li hanno mai premiati; i DISCOUNT potranno consolidare le quote e aumentare la propria share of wallets coprendo in modo intelligente nuovi bisogni e nuove categorie, ma migliorando soprattutto sui comparti freschi quale fulcro per il rafforzamento di un rapporto di fedeltà coi propri clienti.

Sono numerose le strade che i distributori potrebbero scegliere per far fronte a questa perdurante situazione di crisi: l’auspicio è quindi che non continuino a percorrere vecchi sentieri (quali l’aumento della pressione promozionale) che si dimostrano sempre più accidentati e poco utili a salvare i bilanci aziendali.

In questo contesto sarebbe centrale l’obiettivo del ridisegno dei rapporti tra IDM e GDO, ma la sensazione è che anche il prossimo anno si continuerà ad andare in ordine sparso, con l’unico effetto certo che la voce del retail italiano (alimentare, ma non solo) rimarrà sempre debole e non ascoltata…

 

@danielecazzani