IL RUOLO DELLE PRIVATE LABELS NELLA #GDO TRA #SPREAD, MIOPIE E UN NUOVO METRO PER I CLIENTI

Per anni dipinte come i nuovi campi dorati di conquista della GDO (e panacea per i suoi mali di margine), nell’ultimo anno le private labels hanno in realtà registrato uno stop alla propria crescita nel mercato italiano, attestandosi a una quota di valore del 18%; crescita, va detto, che negli ultimi anno stava comunque dando ampi segni di rallentamento come se la quota del 20% costituisse un limite irraggiungibile. In questo contesto poco conta che vi siano categorie come quelle “premium” e” bio” che crescono con valori interessanti, scalfendo (poco ) i prodotti industriali, poiché si tratta appunto di ambiti dal perimetro e volumi limitati.

Premesso che la media come sempre nasconde dati tra loro molto diversi (vi sono operatori della distribuzione organizzata ove la quota della marca privata supera il 30%) vorrei brevemente incrociare due considerazioni partendo da alcuni dati (fonte IRI INFOSCAN).

private label 2015

Innanzi tutto nel nostro Paese il limitato sviluppo delle private label può essere imputato anche all’elevata propensione dei consumatori italiani per i prodotti di marca (la marca è driver di scelta per il 70% degli acquirenti; dato doppio rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna) e alla crescente pressione promozionale che è stata la leva scelta da IDM e GDO per rispondere a una contrazione dei consumi perdurante da oramai troppi anni.

Al netto di questi dati (di fatto) ecco il secondo elemento che intendo evidenziare. Da un lato il posizionamento di prezzo medio delle private labels in Italia è di circa 22 punti inferiore rispetto alla marca industriale, mentre nella maggior parte degli altri mercati europei lo “spread” è decisamente più ampio (quasi il 40% in Francia dove si avvicina al posizionamento primo prezzo); dall’altro anche le private labels sono oggetto di spinta promozionale: per rispondere alla già citata crescente pressione promozionale messa in campo dall’IDM (in accordo con la GDO a essere onesti…) in Italia la pressione sulle private labels è arrivata al 23% (pesando per circa il 19% sul totale delle promozioni a valore).

private label 2015 bis

La domanda (certo non banale) è capire quale sia il ruolo che dovrebbero avere le private labels nell’ambito dell’assortimento e, più in generale, nella strategia commerciale (e di servizio) che l’operatore GDO propone ai propri Clienti.

Per quanto sia evidente come i prodotti a marchio privato abbiano avuto un’indubitabile funzione di aiuto alla marginalità- compressa da aumenti contrattuali, riduzione volumi e aumento pressione promozionale- e ai volumi di vendita in tempi di contrazione dei consumi, ritengo sinceramente che sarebbe assurdo limitarne a questi aspetti il reale potenziale.

A mio avviso infatti le private labels dovrebbero assurgere l’importante ruolo di metro attraverso il quale il consumatore legge e interpreta l’offerta di un’insegna, grazie a un posizionamento di prezzo stabile (non drogato e perturbato da più o meno occasionali attività promozionali) in grado di definire IL corretto rapporto qualità-prezzo all’interno delle singole categorie.

Uno ruolo centrale quindi all’interno della strategia commerciale e non certamente “ancellare” e di ripiego come spesso capita di leggere, quasi che le private labels fossero una riserva cui dedicare le residue risorse (economiche e professionali) delle proprie strutture manageriali. Infatti l’inserimento di prodotti a marchio privato nel proprio assortimento è parso quasi un passo obbligato, ma non ragionato, per tanti operatori, come se dovessero adattarsi (malvolentieri) a una nuova tendenza del mercato e a una nuova domanda dei consumatori. Un’approccio miope, che non ha saputo vedere tutte le opportunità connesse e che, verosimilmente, ne ha limitato anche i risultati conseguiti.

A mio avviso, infatti, quegli operatori che ora registrano quote di prodotti a marchio ben superiori alla citata media del 18% testimoniano invece quanto un corretto approccio a questo tema possa essere fonte di soddisfazioni e successi e di un forte patto coi propri Clienti.

In conclusione, ben lungi dal ritenere esaurita la crescita delle private labels, la realtà è che vi è ancora un forte spread tra la situazione attuale e le potenzialità di questo segmento: uno spread però che solo strategie intelligenti potranno colmare, a beneficio di volumi, margini (indi, conti economici) e di un sistema di piccoli/medi produttori (i co-packer) che sono un’incredibile risorsa della nostra Italia e che l’arroganza di tanta distribuzione (soprattutto straniera) rischierebbe di condannare all’oblio.

@danielecazzani