Circa 66 milioni di anni fa nel Cretaceo un evento inatteso- l’impatto di un meteorite o l’eruzione di contemporanea di aree vulcaniche- comportò la scomparsa di oltre il 70% delle specie viventi, causando cioè gli stessi devastanti effetti di una grande glaciazione. Senza che vi sia stato bisogno di meteoriti, il crollo del consumi registrato dal 2007 sta profondamente cambiando il contesto in cui si muovono i grandi e piccoli operatori della Distribuzione, che, verosimilmente, auspicano di non fare la fine dei temibili e apparentemente invincibili T-Rex.
Poche cifre (che traggo liberamente dal sempre utile Rapporto Coop 2014) ci aiutano a ricordare i contorni di quanti accaduto.
Il reddito disponibile dal 2007 al 2013 è calato di oltre l’11%, con una identica perdita del potere d’acquisto reale, come effetto combinato dell’aumento delle tasse (dalla casa all0IVA) e delle tariffe dei servizi pubblici, aggravate da una sostanziale stabilità del livello dei salari. Guardando ai consumi il calo è stato del 5% tra il 2007 e il 2012, ma anche nei successivi due anni il calo è stato del 2,5% . Questo calo si è tradotto in una forzosa rimodulazione dei consumi che hanno visto crescere la quota di quelli legati all’abitazione dal 18 al 24% e scendere dal 15 al 14,5% quelli per consumi alimentari. Per quanto uno zerovirgola possa apparire poca cosa, chi lavoro nel settore della Distribuzione sa bene che impatto devastante abbia avuto tale riduzione sui fatturati e gli equilibri di bilancio delle principali insegne.
Di fronte a un mutamento così importante della Società, non tanto e non solo dei consumi, buona parte della Distribuzione ha risposto in modi diversi, talvolta utilizzando una sola leva, talvolta mixando più strumenti. Quasi tutta la Distribuzione ha innanzi tutto risposto con le armi della tradizione, ovvero con un aumento della pressione promozionale, affiancando la spinta di un’Industria preoccupata di mantenere i volumi di produzione. Non si è però lavorato solo sulla leva prezzo, ma anche sull’assortimento, dapprima ampliandolo al di fuori dei canonici confini per coprire altre fasce di consumo nel tentativo di cogliere quell’85% dei consumi non alimentari: in questo senso vanno intese le avventure (non sempre fortunate) di alcune insegne nella vendita di contratti di utility luce e gas, finanza o telefonia, piuttosto che le specializzazioni in alcuni comparti quali l’elettronica di consumo, l’arredo casa e via dicendo.
Nel contempo però è emerso come l’ipertrofia degli assortimenti fosse a sua volta uno dei principali problemi del settore: da qui riduzioni di superfici di vendita– con tutti i limiti dati da rigidità strutture e vincoli di natura immobiliare e contrattuale-soprattutto a danno del non food, che certamente più del grocery ha risentito dell’accresciuta multicanalità del consumatore e dell’avvento del e-commerce. Ma vi è stato anche chi ha pensato fosse sufficiente procedere a un re-naming (con vere e proprie rottamazioni di insegne storiche nel panorama distributivo del nostro Paese), oppure a un restyling di punti vendita (spesso guidati dall’estro degli architetti più che dalla ragione del marketing e dei numeri). Numerosi anche i movimenti nel mondo delle attività loyalty, con l’avvento di coalition, la scomparsa di cataloghi e concorsi a premio, l’avvento delle special promotion e via dicendo.
In sintesi, non si può certo dire che la Distribuzione sia rimasta a guardare quanto stava accadendo, ma è altrettanto forte la sensazione che spesso e volentieri si sia trattato di risposte tattiche, pensate per tamponare situazioni contingenti (difficoltà a raggiungere e controcifre nei budget, piuttosto che riduzioni di traffico clienti), e non scelte strutturali, come se vi fosse la convinzione che la tempesta sarebbe ben presto passata, e che per non vederla fosse sufficiente ripararsi nella stiva della nave, piuttosto che prendere atto della necessità di profondi cambiamenti di rotta.
Eppure è oramai patrimonio comune il concetto di società fluida, che, a dire il vero, affonda le proprie origini nel panta rei di Eraclito: tutto scorre, nulla si ripete, nulla può essere più come prima.
Calato nel nostro contesto: è inutile vagheggiare su un ritorno dei consumi ai livelli pre-crisi. Sempre più operatori a parole paiono convinti di questo, ma dal dire al fare. La grande attenzione ai numeri dei propri bilanci dovrebbe andare di pari passo con la conoscenza dei numeri della Società: se non conosciamo il terreno sul quale dobbiamo muoverci, qualsiasi strategia e direzione risulterà fallace. Serve quindi intervenire su numerosi format che sono in realtà rimasti ancorati a paradigmi- del consumo e della società- validi anni or sono ma che ora paiono sbiadite foto di un tempo che fu. Ma va detto che un format non è costituito solo da un contenitore (un layout) e un contenuto (un assortimento e un posizionamento di prezzo) ma ha un’anima più profonda che deve affondare le radici nella conoscenza dei propri Clienti per arrivare a proporre a essi una visioneche permetta di condividere un percorso quotidiano.
Queste possono sembrare parole da sociologia da bar- certo non voglio imbeccare strategie a mezzo articolo- ma nella realtà se ben guardiamo, il mercato oggi ci dice che a reagire meglio alla “grande glaciazione” sono stati retailers molto diversi che hanno saputo però leggere il momento e disegnare una propria strategia. Da chi ha coraggiosamente sposato l’every day low price(politica alquanto faticosa) unito a tante attenzioni al Cliente, a chi ha saputo andare oltre le cose, a discounter che non hanno disconosciuto il proprio nome ma che continuano a muoversi nel coerentemente con la promessa di offrire risparmio, a chi non si è fatto tentare dal gigantismo degli ipermercati ma ha continuato a coltivare quel fantastico vivaio di relazioni coi Clienti dato dal vicinato. Evito ovviamente di citare nomi e insegne, ma abbiamo in Italia numerose case history da studiare e- non è un caso- non si tratta mai di operatori stranieri, che hanno dimostrato spesso un approccio distante dalla realtà italiana, tanto quanto lo sono stati i risultati ottenuti rispetto alle attese (e ai faraonici investimenti).
La grande glaciazione è forse agli sgoccioli- almeno questo è l’auspico dei più- ma gli anni di stenti hanno stremato numerose organizzazioni: sarebbe per queste illusorio pensare “finalmente è finita” e abbandonarsi fiduciosi alla debole ripresa. Serve coraggio e visione. Oggi più che mai.
Daniele Cazzani @danielecazzani