Gli ultimi anni sono stati caratterizzati tanto da una forte contrazione dei consumi quanto da un profondo cambiamento negli stili di vita (e di consumo) degli Italiani: il combinato congiunto di questi due elementi ha fortemente impattato su un settore, quello della ristorazione commerciale, che era in realtà rimasto fermo e ancorato a format che avevano “sulle spalle” numerosi anni, con offerte fortemente standardizzate e con focus sull’industrializzazione dei processi più che sulla distintività dell’offerta.
Questi format si sono dimostrati via via sempre più in difficoltà nel rispondere alla nuova domanda di ristorazione che cerca qualità ed esperienza (vedremo a breve come questi due termini siano molto più ostici rispetto a quanto si sia portati a credere) in un settore che ha visto la nascita di nuovi segmenti che ibridano market e ristorazione (pensiamo al successo di Eataly) piuttosto che alla riscoperta dei consumi di strada, o ancora al ritorno della pausa pranzo in ufficio.
Inoltre in questi anni si è andato anche affievolendo il senso della distinzione tra slow food e fast food– nonostante le spigolosità mediatiche tra i principali contendenti- perché l’attenzione si è posta su formule di smart food, ovvero sulla necessità di un equilibrio tra contenuto d’offerta (cibo e servizio) e prezzo richiesto, a prescindere che le modalità di consumo fossero fast o slow.
Sempre più ricerche ci dicono infatti che gli Italiani stanno riscoprendo il valore del cibo, inteso non solo come prodotto in sé, ma come momento di condivisione e socializzazione.
La sfida che si pone quindi al settore della ristorazione, e della ristorazione commerciale in particolare, è ora non tanto quello di effettuare un leggero make-up dei propri locali, con qualche spruzzata di modernità negli arredi e negli stili di comunicazione, ma un profondo ripensamento del proprio modo di essere, sforzandosi di andare oltre una visione prodotto-centrica oggi spesso intrisa di così tanta retorica che parole quali “fresco”, “qualità” e “artigianale” sono state banalizzate e svuotate di valore (soprattutto agli occhi del consumatore).
Al centro deve essere il Cliente. Gestendo le variabili dello spazio (gli ambienti) e del tempo (le modalità di servizio) devono essere sviluppate offerte coerenti con le esigenze dei Clienti, non a quelle di designer, né tantomeno alle esigenze tecniche di produzione. Assortimento, ambiente e comunicazione devono costituire la trama di una narrazione univoca e complessa, ma che deve essere lasciato al Cliente cogliere e approfondire: terminata l’epoca parolaia delle grandi promesse (che come detto sopra ha di fatto svuotato di significato parole un tempo ricche di importanza, come mestiere e artigianalità) il Cliente che deve essere lasciato libero di muoversi all’interno della nostra offerta.
La ristorazione lasci che i percorsi obbligati siano monopolio ancora di qualche store di arredamento- convinto che abbia senso far passare il Cliente di fronte a 15 tipi di cucina anziché chiedergli semplicemente cosa stia cercando, indirizzandolo quindi sulle soluzioni più adatte- e punti su un rapporto più maturo e meno captive coi propri Clienti: avremo così forse meno acquisti d’impulso, ma daremo più impulso agli acquisti…
Possono sembrare indicazioni banali, ma la realtà è che ancora oggi assistiamo alla realizzazione di nuovi locali dove è posta enfasi ai materiali e al design, ed è data grande spazio alle parole del ristoratore, ma dove da molti particolari si desume scarsa attenzione alle esigenze dei Clienti (vogliamo parlare dell’attenzione data nei layout e nelle attrezzature ai Clienti diversamente abili, spesso del tutto trascurati anche nei format più moderni?).
Anche sul piano della gestione dei social network la strada da compiere è molta: un’attività social(e) come il mangiare insieme dovrebbe automaticamente trovare facilità di dialogo e relazione coi propri Clienti sulle nuove piattaforme sociali, ma spesso non è così, dimostrando ancora una forte arretratezza e una mancanza di apertura che è a suo tempo motivo della scarsa capacità di buona parte della ristorazione commerciale nel cogliere i cambiamenti degli stili di consumo alimentare (non è forse questo uno dei motivi per i quali spesso si cerca all’esterno della propria organizzazione il know-how per progettare nuovi format?).
E’ però evidente che questa evoluzione potrà essere realizzato solo se anche un altro importante attore della partita- i landlord (ovvero le proprietà immobiliari)- capirà quanto sia cruciale per il proprio business sostenere, o meglio ancora incentivare, questo percorso.
Non v’è dubbio infatti che la standardizzazione dell’offerta merceologica dei mall (sia questi tradizionali shopping center, piuttosto che stazioni ferroviarie o aeroportuali) è un grande limite alla definizione di un loro efficace posizionamento strategico nel mercato, ma è altrettanto evidente che propria la leva del food service (quindi l’offerta di ristorazione commerciale) insieme allo sviluppo di servizi in ottica di customer service, possano essere due importanti leve per rendere unica la propria offerta in un mercato per tanti versi ancora molto arretrato (vedasi mio post del settembre 2013; da allora poco è cambiato).
Tale passaggio rende quindi necessario un nuovo paradigma di relazione tra landlord e tenant, finora spesso impostato principalmente sul parametro delle royalties, lasciando “fuori dalla porta” l’attore principale cui entrambe le parti dovrebbero guardare, ovvero il Cliente (partendo magari da una domanda: di chi è il Cliente?).
Devono così essere individuate nuove vie che compenetrino da un lato la sostenibilità dei conti economici di landlord e tenant, e dall’altro la costruzione di format (anche creati ad hoc) in grado di incontrare il favore non di un generico consumatore ma dei Clienti che quello specifico centro commerciale vuole raggiungere (il che presuppone la condivisione di dati e strategie, altro ambito quanto mai ostico…).
Si tratta di una relazione contrattale tailor made e per questo più complessa da costruire e gestire, ma deve essere chiaro che questo è solo il primo passo per dare avvio a una coerente strategia di sviluppo, finora “imposto” dal contesto esterno, ma che una ristorazione commerciale che voglia dirsi moderna non può non essere in grado di governare.
@danielecazzani