Negli ultimi anni, anche grazie alla diffusione della moda (o, meglio, cultura) hipster, si sta riscoprendo l’arte della barba e con essa il lavoro del barbiere. Non che il barbiere fosse mai scomparso, ma dopo anni in cui hanno imperversato i negozi unisex, la riscoperta in questo settore si concretizza nel rinascita di spazi riservati all’uomo, in cui la cura della propria barba diviene simbolo del prendersi cura di sé.
In questo ambito, quando si parla di barberie si utilizza impropriamente la parola “rito” che rimanda a una dimensione quasi religiosa: norme rigide e ripetitive che regolano un avvenimento.
Le nuove barberie sono invece un luogo di esperienze sempre diverse, sempre nuove, dove ci si sente al centro dell’attenzione e il tempo si dilata; sensazione ben diversa rispetto a tanti saloni di haircare dove la sensazione è spesso quella di trovarsi all’interno di catene di montaggio di matrice fordista.
Stiamo parlando di customer shopping experience. Vediamo di approfondire il tema, declinandolo in ambito retail, partendo da una definizione.
La letteratura accademica e manageriale in questo ambito è ricca e spesso contraddittoria tra una fonte e l’altra; pertanto ho deciso di proporre una mia lettura su questo tema, attingendo alla mia esperienza in ambito retail.
A mio avviso le componenti fondamentali della customer shopping experience, sono riassumibili in tre C:
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CONTATTO
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CONTESTO
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CONTENUTO
Partiamo dal primo, ovvero dalla fondamentale dimensione relazionale. All’interno di un negozio fisico, piuttosto che su attraverso l’accesso a un sito di e-commerce o il contatto con una chat di supporto o ancora un call center (ma l’elenco potrebbe continuare ancora per molto…) la prima consapevolezza che ogni retailer dovrebbe avere è che ogni CONTATTO con un cliente è un incontro.
Ovvero un momento di conoscenza (reciproca), di scambio (di informazioni e di emozioni).
Al centro di questo momento sono le persone, non le tecnologie. Non è infatti il media di contatto a determinare l’experience ma la relazione che vogliamo costruire. Anche quando il contatto è filtrato da un media infatti, non dobbiamo mai dimenticare che questi sono strumento per delle persone.
La domanda fondamentale qui è che tipo di relazione vogliamo costruire col nostro cliente. Di amicizia e condivisione di valore? Più distaccata e formale? Di guida? E tradurre poi questa scelta in maniera coerente su tutti i propri touchpoint, sia fisici (il negozio) che virtuali (il sito, la pagina facebook..).
Si tratta di condividere con tutte le risorse della propria organizzazione una visione, una cultura. E la condivisione non può che passare da una formazione che metta al centro le persone.
La relazione si svolge in un CONTESTO, che può essere fisico o virtuale. La coerenza tra contatto e contesto è fondamentale per la costruzione di una customer shopping experience forte e memorabile.
Le persone non possono mai scindersi dall’ambiente in cui si trovano e questo influenza tutto quello che avviene. Ecco perché la progettazione degli spazi di un negozio, piuttosto che il disegno dell’architettura di un sito di e-commerce, devono partire non dal prodotto o servizio offerto ma da un’idea chiara dell’experience che si vuole offrire ai propri clienti.
Guardandosi attorno è evidente che molta strada deve ancora essere fatta da questo punto di vista.
Inoltre, per quanto possa essere importante il ruolo del contatto, sarebbe illusorio pensare che questo possa da sé sopperire a grandi deficit nella costruzione dell’ambiente: chiedere al personale di un ristorante di usare i guanti bianchi in una sala con tavoli traballanti e piatti sbeccati, produce un effetto di enfatizzazione del contrasto tra gli elementi che non può che determinare una pessima customer experience.
Il contesto a sua volta si alimenta dei contatti che in esso trovano spazio. Anche il contesto cioè- che sia negozio o sito o pagina social- deve divenire uno spazio in continuo apprendimento, che cresce e si aggiorna insieme ai clienti che ospita, non un contenitore rigido.
Vi sono ulteriori elementi non fisici che contribuiscono a disegnare il contesto: la comunicazione pubblicitaria e la narrazione di marca. Entrambe hanno lo scopo di rappresentare il contesto nel quale si vuole accogliere il cliente. Entrambe devono assolutamente essere coerenti col contesto reale che il cliente si troverà nel momento in cui entrerà in contatto con l’insegna.
Ho lasciato il CONTENUTO (ovvero il prodotto o servizio offerto) come terzo elemento, non certo perché meno importante degli altri, ma piuttosto perché è in base a questo che gli altri due vanno costruiti ed elaborati, creando così una matrice tra contatto e contesto che risulti coerente ed efficace.
Il rischio da evitare è lo spaesamento del cliente dovuto a un mancato dialogo tra le 3 C. In questo caso l’effetto è una mancata chiara percezione della proposta del retailer, cui spesso tatticamente si risponde con attività di advertising, o tattiche promozionali; con l’unico effetto di mettere sul tavolo elementi che anziché chiarire rischiano solo di complicare la situazione.
Pensiamo ad esempio a una banca (settore ancora lontano dal fare propria un’autentica cultura retail, ma questo sarebbe altro tema…) che tramite la comunicazione pubblicitaria e la propria narrazione si propone come aperta, smart e disponibile per i propri clienti. Se il cliente una volta che entra in una filiale si trovasse di fronti ad ambienti chiusi, dove ci si sente trattati come un codice iban piuttosto che come una persona, ecco che l’effetto sarebbe quello di determinare una pessima customer experience.
Per questi motivi, come già accennato, potremmo considerare la COERENZA come la quarta C: un elemento cioè altrettanto fondamentale per disegnare con attenzione l’experience dei propri clienti.
In conclusione quello di cui stiamo parlando è strategia, non tattica. Visione, non adattamento al contesto.
Si tratta certamente di un elemento cruciale per un moderno retailer, che presuppone una focalizzazione (vera, non a parole) sulla più importante delle C, che finora abbiamo solo citato tra le righe: il CLIENTE.
@danielecazzani
NOTA FINALE
Se mai qualcuno si chiedesse come è nata questa riflessione, ecco qui la risposta.
Pur non con l’assiduità che desidererei (l’agenda oltre a rovinare spesso le cene serali mi costringe a look da guerrigliero cubano…) sono da alcuni mesi cliente di una moderna barberia di Pavia: Sir Modern Barbershop (sir-modernbarbershop.com). Uno spazio di raffinata semplicità, costruito attorno ai clienti, dove per sentirsi a casa si impiegano pochi istanti, e dove protagonisti assoluti, non sono tanto gli arredi ricercati e caldi, ma i gesti di giovani professionisti che hanno saputo riscoprire e attualizzare un mestiere che rischiava di soccombere in nome di una controversa modernità.
Osservare il loro lavoro, mi ha portato fin qui…