IL PACKAGING DA CONTENITORE A CONTENUTO

(mio contributo dal numero di marzo di MarkUp)

Nella sua lunga storia il packaging ha ricoperto diversi ruoli: contenitore, persuasore, narratore …
Ma andiamo con ordine. La prima vita del pack è stata quella di supporto tecnico, funzionale alla conservazione del prodotto ma anche alla sua logistica, dal trasporto all’esposizione.

Con l’avvento della pubblicità e il crescente affollamento degli scaffali al pack è stato chiesto di … vendersi da sé, costringendo poi i legislatori a interventi sempre più stringenti per limitare la fantasia -e l’inverosimiglianza delle promesse gridate sulle confezioni. Il passo successivo è stato di rendere “parlante” il packaging, limitando il fantosioso storytelling per concentrarsi su un puntuale elenco degli ingredienti ed enfatizzando i plus del prodotto con conseguente esplosione di sigle: “100% italiano”, “Ogm e gluten free” e così via.

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Ma è oggi sempre più evidente come il pack per anni simbolo del progresso tecnologico e della felicità del consumismo (sic!) sia in realtà anche un grave problema ambientale, sia per il materiale che lo compone (plastica in primis) sia per la sua spesso eccessiva inutilità e non funzionalità.

Grazie anche alle nuove generazioni attente all’innovazione, al rispetto ambientale e della persona, il prossimo step evolutivo cui il packaging è chiamato è di divenire a sua volta contenuto, ovvero elemento fondamentale tanto quanto il prodotto. Pack e prodotto dovranno cioé essere coerenti nella promessa valoriale verso i propri clienti, oltre che nel servizio.

Il packaging ancor più dei prodotti sarà oggetto di grandi innovazioni negli anni a venire, costringendo il retail a guardare a esso con occhi nuovi (quelli del consumatore).

 

@danielecazzani

SE NON SI VEDE… NON SI VENDE!

Oltre 80 mila visualizzazioni per questo mio post su LinkedIn a dimostrazione che è sempre necessario ricordarci le regole basilari del commercio.

FEDELTÀ: PAROLA ABUSATA

Di seguito il mio contributo sul numero di febbraio 2019 di MarkUp.

Fedeltà è parola sempre più abusata e contesa tra brand e retail.

Il vero soggetto della fedeltà resta, però, il cliente, più che il consumatore. Per quanto questa distinzione possa apparire piuttosto debole a un occhio disattento, nella realtà cela un importante elemento. Il consumatore è connotato da un rapporto funzionale con i prodotti (o servizi) che utilizza. Il cliente si caratterizza, invece, per un rapporto relazionale con i prodotti (o servizi). Partendo da questa considerazione possiamo così distinguere la (notevole) differenza di significato tra la fedeltà per un brand e quella per il retail. Nel primo caso possiamo parlare di fedeltà se con il cliente si instaura una condivisione di valori e scelte, ovvero se nel racconto del brand il cliente (ri)trova se stesso.

Nel caso del retail, la fedeltà nasce, invece, dall’esperienza, ovvero da un percorso più articolato che vede come momento fondamentale anche quello funzionale col prodotto, ma arricchito da tanti altri momenti che insieme definiscono un percorso complessivo; questa fedeltà deve essere coerentemente presidiata a valorizzata in ogni singolo passaggio. Per questo motivo le due fedeltà non devono essere viste in contraddizione l’una con l’altra, ma in chiave di complementarietà. La loro unione può essere potente, ed è questo il motivo per il quale più che farsi la guerra gli uni contro gli altri, brand e retail dovrebbero allearsi per costruire insieme la più efficace proposta valoriale-esperienziale che metta al centro i clienti e i loro bisogni.

@danielecazzani