INFLUENCER: I NUOVI TULIPANI DEL RETAIL

Di seguito la mia opinione da Mark Up n. 282 (settembre 2019) sul tema sempre più dibattuto degli influencer: una moda o un nuovo canale per intercettare i propri target?

L’influencer marketing è un “tool” sempre più utilizzato dal retail e sempre più complesso da maneggiare. Versione social di uno strumento cardine dell’advertising soprattutto televisivo, ovvero l’endorsement. A fare la differenza è la disintermediazione: oggi è l’influencer a relazionarsi direttamente con il consumatore, con un proprio linguaggio di comunicazione, solitamente non coerente con quello del brand. L’utilizzo tattico di questa nuova leva e la reale mancanza di una struttura certificata di metriche, rendono però labili tutte le asserzioni circa la sua reale efficacia.
I sempre maggiori investimenti sono spesso il riflesso condizionato della riduzione dei budget da altri strumenti che non hanno saputo evolversi rapidamente tanto quanto lo ha fatto il consumatore.
Oggi chi si permette di evidenziarne i limiti viene spesso guardato con disapprovazione, così come lo erano quanti nel Seicento avevano provato in Olanda a sottolineare l’insensata ed esagerata quotazione dei bulbi di tulipani. La storia dei tulipani è nota ai più, mentre quella dell’influencer marketing può ancora essere scritta e con un finale auspicabilmente migliore, sempre che si voglia davvero adottare un approccio più pragmatico per la sua gestione.
Potremmo infine soffermarci sul motivo per il quale la maggior parte dei retailer non sia capace di sfruttare appieno l’enorme patrimonio di advocacy costituito dai propri clienti, piuttosto che andare alla ricerca di più o meno reali influencer. Ma per farlo dovremmo parlare dei limiti del Crm nel retail e della sua spesso assurda sudditanza alle altre aree del marketing …

Qual è la vostra opinione in merito? Utilizzate influencer? Come li selezionate e come ne misurate le performance?

@nmr_italy

ALLA RICERCA DELLE UOVA SCOMPARSE (MA NON È COLPA DELLE GALLINE!). OVVERO: LA GDO TRA LAYOUT E CUSTOMER EXPERIENCE

È capitato a tutti almeno una volta, mentre si fa la spesa, di non trovare un prodotto 😫 perché la sua posizione è stata spostata rispetto alla precedente visita.

I più o meno marcati rifacimenti di LAYOUT nascono da scelte assortimentali e necessità di ottimizzazione degli spazi basati su considerazioni varie (spesso “di pancia” o poco più) e kpi quali la resa per metro lineare.

Fin qui nulla da eccepire se non fosse per il fatto che solitamente questi cambiamenti sono fatti SENZA informare il CLIENTE che si trova così costretto a dedicarsi a una poco divertente CACCIA AL TESORO o a chiedere informazioni a destra e a manca ad altri clienti o a qualche ben disposto addetto del negozio.

Mi chiedo quale sia la difficoltà nel considerare sempre la necessità di INFORMARE i clienti di questi cambiamenti.

Non si tratta di difficoltà tecniche (un cartello; basterebbe un cartello!) ma di una lacuna CULTURALE che la GDO tarda a sanare (salvo lamentarsi dell’avanzata dell’ECOMMERCE).

L’attenzione alla CUSTOMER EXPERIENCE purtroppo non trova ancora un corretto spazio tra gli SCAFFALI e nella cultura manageriale del settore.

Urge correre ai ripari.

Urge un rifacimento delle STRATEGIE prima ancora che dei layout.

@nmr_italy

NOTA

Il titolo del post fa riferimento alla difficile ricerca del reparto uova fresche all’interno di un superstore. Ricerca conclusasi fortunatamente grazie alla solidarietà di un’altra cliente 😉

LA #CUSTOMER #EXPERIENCE E’ FATTA DI DETTAGLI (COME UN CARRELLO)

In un ipermercato la customer experience inizia dal carrello o cestello della spesa.

Se questo fosse pulito sarebbe meglio, cosa ne pensate?

Ovviamente stesso discorso vale anche per un camerino di un negozio di abbigliamento 😉

La customer experience di cui tanto si (stra)parla è questo: attenzione a tutti i dettagli che determinano l’esperienza del cliente.

È chiedere troppo?

 

@nmr_italy

FROM #PROMOTION TO #EXPERIENCE IN A NUTSHELL (INTERVIEW)

Il passaggio dall’iper-promozionalità (di cui soffre tanto retail) all’experience è un passaggio culturale che apre opportunità nuove e ricche, come ho avuto modo di condividere in questo mio intervento in un workshop- organizzato da Largo Consumo e risalente a un anno fa- parlando dell’importante cambio di paradigma vissuto in Salmoiraghi & Viganò dopo l’entrata nel mondo Luxottica.

 

@nmr_italy

LA RIDUZIONE DEGLI SPRECHI E’ QUESTIONE DI… ETICHETTA

Per ridurre gli sprechi di cibo- un assurdo eticamente intollerabile- sarebbe molto utile mettere in maggiore evidenza le date di scadenza (e TMC) sui packaging e informare i propri clienti sulla lettura delle etichette (si chiamerebbe questo fare cultura)

Sono queste leve in piena disponibilità dell’Industria e della GDO che però su questi temi nicchiano o balbettano…

Il nostro pianeta purtroppo non può attendere.

Hurry up! Thanks

 

@nmr_italy

LA GDO E’ DISSOCIATA DALLA REALTÀ?

La GDO è solita lamentarsi per la contrazione dei CONSUMI, la sempre maggiore concorrenza tra format (…i discount non sono più quelli di una volta!) e l’avvento dell’E-COMMERCE e dei grandi player come Amazon che sembrano imbattibili.

Eppure dobbiamo ammettere che proprio la GDO sembra essere per prima responsabile delle proprie sorti perché incapace nel leggere i mutamenti della società, degli STILI DI VITA e quindi dei consumi.

La sua relazione quotidiana con milioni di consumatori le permetterebbe di indirizzare le scelte dell’industria (che manca spesso del rapporto diretto col consumatore), invece la GDO ne continua a subire le scelte (a volte assurde) in termini di assortimenti e prodotti (quanti prodotti falliti si trovano sugli scaffali!?).

Facciamo un esempio.

Settembre è il terzo periodo dell’anno in cui si ha un’impennata nella ricerca di informazioni in merito a DIETE e prodotti salutistici, subito dopo giugno (la prova costume! la prova costume!) e la prima settimana dell’anno (come smaltire panettoni & c.?). Vedere grafico sotto (fonte Google trends).

DIETA GOOGLE

Eppure i volantini della GDO sembrano IGNORARE questa domanda e, anzi, presentano “speciali prima colazione” ricchi di carboidrati e zuccheri, per poi magari stupirsi della riduzione dell’efficacia promozionale (e come soluzione che si fa? si aumenta la pressione promozionale!).

Sincronizzare i propri OROLOGI PROMOZIONALI ai desiderata dei clienti potrebbe essere una scelta semplice ed efficace per ridurre le difficoltà di un settore che, altrimenti, continuando nel suo miope “paste and copy” strategico, rischia di essere messo a dieta dai propri clienti.

Alla GDO serve un cambio di visione e di cultura manageriale.

Buon rientro a tutti!

@nmr_italy

UN ANELLO BERBERO A MARRAKECH: IL LUSSO E’ ESPERIENZA

Camminando tra le affollate vie del souk di Marrakech mi fermo davanti alla vetrina di un gioielliere berbero.

Vedo un anello in argento e con delle pietre incastonate con gusto a formare un fiore.

Un regalo perfetto per mia moglie penso.

Il proprietario del negozio si accorge del potenziale cliente ed esce per presentarsi e invitarmi all’interno del negozio per osservare meglio l’anello.

(notare l’andare verso il cliente come gesto base del commercio di ieri e di oggi)

L’anello è bello ma non so se sia la misura giusta, inoltre non posso essere certo che a mia moglie piaccia.

In quei casi dovrei tornare nel souk sperando di ritrovare quel negozio, ma è il mio ultimo giorno in città e a Marrakech non sempre è facile ritrovare ciò che hai… trovato nel souk 😉.

Le mie resistenze vengono vinte dal commerciante.

Mi porterà anello nel riad dove soggiorno con altri anelli e il kit per regolarne il diametro.

Non ci credo ma accetto.

All’ora concordata in riad mi informano che c’è un gioielliere per me.

Anello perfetto. Regolazione (minima) effettuata in pochi minuti sul posto.

Moglie strafelice.

Quindi pago (il commerciante era venuto da me col rischio di non concludere la vendita).

Ora ci credo.

Questo è LUSSO. Non certo l’anello, ma l’ESPERIENZA.

Ora pensateci: quante gioiellerie anche del segmento luxury avrebbero mai fatto questo per un normale cliente? Magari a Milano?

Partendo da questo fatto personale riprendo ora il mio articolo sul numero di luglio di Mark Up (n. 281)

Diciamo lusso e pensiamo a una boutique o a un prodotto costoso, come un gioiello o un capo sartoriale di alta moda.

Lusso è esclusività. Lusso è un club dove sono ammessi solo poche persone. Il lusso ci porta a pensare a qualcosa di tangibile e monetizzabile.

La realtà è che oggi sempre più la declinazione del lusso secondo queste direttrici da parte di tanti retailer che di quell’aggettivo si fanno vanto, si dimostra debole, replicabile, scontata.

Il consumatore è ogni giorno più esigente e dispone di più strumenti per soddisfare i propri needs.

Ecco allora emergere la dimensione dell’esperienza come nuova frontiera del lusso. Lusso non è più il prodotto ma tutto ciò che lo circonda, prima, durante e dopo l’acquisto. Non penso al “solito” personal shopper ma a modalità di ingaggio dei clienti anche nella fase creativa, a inviti per eventi ed esperienze esclusive, oppure a servizi di caring post acquisto o l’ingaggio nelle attività di Csr del brand.

Per poter essere attivate queste leve necessitano però di un elemento cruciale: la conoscenza del cliente, inteso non tanto come rilevanza degli aspetti economici, quanto come conoscenza della sua customer journey, dei suoi gusti, della sua relazione con il brand.

Anche il nostro Made in Italy da questo punto di vista è chiamato a reinventarsi. Non solo eccellenza nella produzione, ma eccellenza nella relazione e nell’esperienza.

Per fare questo importante passo, già effettuato da alcuni casi di successo, servono nuove competenze, nuove visioni, nuove strategie, nuove organizzazioni.

Serve in sintesi un NUOVO RETAIL DEL LUSSO. Non più, non solo, centrato su un prodotto, ma pensato per il cliente.

 

@nmr_italy