Una precisazione è doverosa per non farsi fuorviare dal titolo.
Non faccio qui riferimento all’impatto che la crisi del Coronavirus che costringe forzosamente milioni di persone tra le mure domestiche senza distrazioni esterne avrà o sta avendo sulla (in)fedeltà coniugale– sarebbe certamente tema interessante da sviluppare ma non qui…- quanto all’impatto delle recenti disposizioni governative che ci impongono di fare la spesa nel comune di residenza salvo rare eccezioni (regole forse fumose, ma anche questo non è tema per queste pagine…).
La disposizione prevede che (FAQ sul sito governo.it):
Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si ha la residenza o il domicilio sono vietati. È possibile spostarsi in altri Comuni solo ed esclusivamente per comprovate esigenze lavorative o in casi di assoluta urgenza o per motivi di salute. Laddove quindi il Comune non disponga di punti vendita, o sia necessario acquistare con urgenza generi di prima necessità non reperibili nel Comune di residenza o domicilio, lo spostamento è consentito solo entro tali stretti limiti, che dovranno essere autocertificati.
Questo significa che milioni di cittadini abituati a prendere la macchina e percorrere anche alcuni chilometri per recarsi nel punto vendita preferito sono oggi “costretti” a recarsi in altri negozi, magari mai visitati prima o addirittura provati in passato e non apprezzati.
In un contesto competitivo che negli anni si è fatto sempre più ricco in termini di offerta, le motivazioni di scelta di un punto vendita differiscono da consumatore a consumatore, come ben sa chi ha letto alcune ricerche sul tema. C’è chi sceglie un negozio per la prossimità, altri per le promozioni, altri ancora per la qualità dei freschi, per la presenza di una raccolta punti e via dicendo… Oggi queste motivazioni sono bypassate da altre contingenze.
Questa situazione sta rimescolando le carte… riavvicinando clienti e retailer che da tempo non si frequentavano.
Ciò vale sia a livello di insegna che di formato: pensiamo ad esempio a persone che per la prima volta provano un discount o la superette del paese.
L’unico attore senza frontiere e barriere comunali è l’e-commerce ma tutti sappiamo quanto questa crisi lo abbia messo in serie difficoltà, dimostrando come fosse pronto a gestire una crescita organica ma non questa improvvisa opportunità.
Il mix degli elementi sopra descritti può essere descritta come un’opportunità o, per altri versi, come una criticità.
Opportunità perché i negozi di prossimità in primis hanno modo di presentarsi a clienti che negli anni li avevano abbandonati per le grandi superfici, offrendo anche servizi (quali la consegna a domicilio o la possibilità di fare ordini telefonici) che i grandi player non sono in grado di garantire (in questo caso le soluzioni artigianali battono spesso le piattaforme logistiche e di e-commerce dei big).
Inoltre il venir meno delle promozioni come leva di attrazione sta portando i consumatori a un approccio più ragionato sull’acquisto, con una maggiore componente di programmazione rispetto al passato.
Certamente l’attuale esperienza di acquisto è meno rilassata rispetto a un tempo: code agli ingressi, contingentamento delle entrate, preoccupazioni per le interazioni con altri clienti, personale del punto vendita e prodotti, scaffali ecc.
Difficile prevedere oggi cosa possa succedere ma fossi ancora nei panni di un manager della GDO mi preoccuperei di due cose: verificare il livello di fedeltà dei miei clienti, prevedendo già “azioni di recupero” al fine di questa fase (uno, due o tre che sia…) e fare in modo di riconoscere e gratificare i nuovi clienti che in questo periodo entreranno nel mio punto vendita.
In sintesi, come sono solito dire, se questa crisi nel medio-lungo termine si tramuterà in un’opportunità o minaccia dipenderà in gran parte dalle scelte manageriali.
@danielecazzani