Pubblico qui l’extended version del mio articolo apparso sul numero 291 di MarkUp.
Torniamo con le lancette indietro di qualche mese. Tutto scorreva sempre più veloce. Il tempo sembrava essere sempre meno (nonostante la promessa dei moderni device digitali di creare nuovo tempo a uso e consumo dei nostri interessi).
Poi la crisi del coronavirus con il forzato lockdown e milioni di consumatori costretti a casa ha in qualche modo ridefinito il concetto del tempo.
Tutto si è dilatato: abbiamo scoperto quanto possa essere difficile riempire quello spazio quando a dettare il ritmo non è il sincopato mix di doveri (lavoro, obblighi familiari ecc) ma la nostra libera scelta.
Poi, terminato il lockdown, tutto è tornato a una nuova normalità, come si è soliti dire.
Nel nuovo contesto il tempo diventa ancora di più un fattore chiave per il Retail.
Non in ottica puramente efficientista. Non si tratta (solo) di fare risparmiare tempo ai propri clienti ma di valorizzare il tempo che essi ci dedicano.
Pensiamo al grande focus che vi era sul mondo dei pagamenti: certamente uno dei più impattati dalle innovazioni tecnologiche che hanno portato alla creazione di nuovi strumenti sempre più rapidi, anzi quasi impalpabili (pensiamo ad Amazon Go dove il pagamento pur essendoci cessa di essere uno step esperienziale nello store).
Questo filone di evoluzione rimarrà certamente ma emergerà sempre più l’esigenza di investire sulla programmazione della shopping experience, come dimostrano le tante app evita-code che hanno risolto tanti problemi e preoccupazioni negli scorsi mesi.
Attorno alla visita programmata del cliente il Retail dovrà però affrontare una grande sfida: costruire un’esperienza davvero tailor made- non avendo più la scusa dell’affollamento dello store- costruita attorno ai needs e ai gusti del singolo cliente.
Una sfida che potrà essere vinta solo se si investirà nell riprogettazione degli spazi fisici, nella costruzione di nuove competenze delle persone e, finalmente, in un approccio omnicanale che permetta di mixare la potenziale infinta dote di informazioni dell’online con la sartoriale capacità di un commesso di personalizzare l’esperienza del singolo cliente.
In sintesi Il Retail dovrà diventare un sarto del tempo, usando le competenze e i big data come strumenti di lavoro.
Lasciando da parte in questo contesto l’idiosincrasia dei nostri concittadini per i pagamenti elettronici è evidente come oggi vi sia una pluralità di strumenti di pagamento rispetto a solo pochi anni. Oggi la scelta non è più solo tra contante e carte di credito o debito, ma tra funzionalità di diverse app. Pensiamo a PayPal che è diventata in poco tempo lo strumento più utilizzato per gli acquisti online, grazie alla sua semplicità di utilizzo; o ancora pensiamo ai pulsanti “compra con un click” che ti permettono di trasformare in pochi secondi un desiderio in un pacco pronto alla spedizione.
Anche i negozi come Amazon Go sono un emblema di questo inno alla velocità: non devi nemmeno fermarti in cassa, ma solamente (!?) permettere al negozio di riconoscerti e seguirti passo a passo lungo le corsie monitorando le tue scelte.
Tutto semplice e rapido.
Questa corsa verso il tempo è vero servizio o non è forse una corsa a renderci compratori compulsivi?
Una scelta di acquisto così velocizzata non è forse anche banalizzata?
E questa banalizzazione non è forse pericolosa per il ruolo del negozio fisico?
Inoltre, il tempo che liberiamo in questo modo dove lo investiamo? Sul web e sui social a giudicare dalle più recenti analisi che ci collocano lontano dalla Filippine- oltre 10 ore al giorno sul web!- ma comunque in costante aumento…
E’ chi c’è sul web? Sempre noi retailer, pronti a raccogliere dati su stili e preferenze e a suggestionare i potenziali consumatori con nuovi prodotti e servizi.
Il tempo è riflessione. Il tempo è consapevolezza. Il tempo è nostro.
Qualcuno nel Retail avrà il coraggio di essere realmente disruptive e rallentare questa corsa?
@danielecazzani