Il gigante muto: la #GDO italiana e l’aumento dell’#IVA

gigante

Nonostante il forte peso sull’economia italiana (sia come contributo al PIL che sul fronte dell’occupazione), nell’ambito del dibattito sul prossimo aumento dell’aliquota IVA al 22%, la GDO italiana sembra un gigante muto, incapace di parlare coi milioni di Italiani che ogni giorno ne frequentano i punti vendita. Non so se tale mutismo sia indotto dalla “cattiva stampa” di cui gode nel nostro Paese la Distribuzione: spesso indicata come colpevole di speculazioni sui prodotti agroalimentari ai danni dei poveri agricoltori e dei consumatori, o come ingannatrice con le “offerte civetta” dei propri volantini, nella realtà numerose ricerche hanno dimostrato come la GDO (soprattutto nei territori dove la concorrenza tra insegne è maggiore) abbia addirittura svolto un ruolo cruciale di calmieratrice dei prezzi a vantaggio dei consumatori…

Sul tema dell’aumento dell’IVA le associazioni del settore non possono certo trincerarsi dietro qualche comunicato stampa per potersi autoassolvere e o pensare di avere svolto la propria parte. Se davvero ritenessero di avere fatto quanto possibile temo dovrebbero interrogarsi sulla loro finalità e utilità.

Da quando, nel lontano 1973, l’IVA fu introdotta, l’aliquota ordinaria nel corso degli anni è aumentata dal 12% al 21%, col chiaro obiettivo di aumentarne il gettito, che risulta però stabilizzato negli ultimi anni, poiché l’aumento dell’aliquota è stato compensato da un calo della base imponibile, ovvero dei consumi (finali e intermedi).

Se diamo per acquisito che l’IVA non ha effetti redistributivi né risulta progressiva, anzi (vedere il recente articolo de Lavoce.info http://www.lavoce.info/ecco-chi-soffre-di-piu-con-laumento-delliva/) possiamo concludere che oltre all’effetto depressivo sui consumi (già in drammatico calo, come ben sappiamo) l’unico obiettivo dello Stato è evidentemente quello di fare (forse) cassa.

Sono personalmente certo che con una ristrutturazione dell’organizzazione del nostro Stato, sarebbe possibile ottenere risparmi ben superiori ai quattro miliardi necessari per sventare l’aumento dell’IVA, e disegnare uno Stato più efficiente ed efficace. Ma rischierei di andare fuori tema ed avventurarmi nei pericolosi meandri della spesa pubblica (e della politica).

Restando in ambito IVA credo si potrebbero ottenere risultati migliori riducendone l’evasione (pari a circa il 20%, contro il 5% della Francia) o rivedendo i prodotti rientranti nelle diverse aliquote (per quale motivo ad esempio  la stampa gode dell’IVA agevolata al 4%?) per migliorarne la progressività. In altri Paesi europei- in cui l’IVA è mediamente inferiore a quella italiana (vedere tabella)- normalmente gli aumenti delle aliquote sono state affiancati da riduzioni delle imposte dirette o a favore del lavoro, mentre nel nostro Paese questi aumenti si sommano a un livello di tassazione tra i più alti al Mondo.

aliquote Iva Europa

Scongiurare l’aumento dell’IVA potrebbe pertanto essere un primo passo, per quanto assolutamente non sufficiente, nel tentativo di frenare il calo dei consumi nel nostro Paese; ciò nondimeno la GDO non può a mio avviso continuare a giocare un ruolo di secondo piano- quasi accettasse che il suo ruolo si limitasse a cambiare i frontalini sugli scaffali nottetempo una volta in vigore l’aumento dell’aliquota…- rinunciando a reclamare il riconoscimento di una parte attiva su temi tanto cruciali.

Certo le reali leve che potrebbero garantire un rilancio dei consumi in Italia- che, sia ben chiaro, non potrà essere svincolato da una ripresa economica che vada di pari passo con un aumento dell’occupazione, soprattutto giovanile- si trovano su altri tavoli, ma credo GDO e IDM possano fare molto insieme per migliorare la filiera, ottimizzare il momento contrattuale, con la finalità di ridurre rigidità, frizioni e inerzie a tutto beneficio del portafoglio del consumatore e, ne sono certo, anche dei reciproci conti economici.

La GDO in questo, come detto all’inizio, oltre a lavorare sui tavoli istituzionali (mi chiedo perché il concetto di lobbying in Italia sia tanto temuto…) avrebbe anche la possibilità di giocare un ruolo in più, dato dall’opportunità di dialogare coi propri clienti per rendere più trasparente il proprio operato e cercare “alleati” in una battaglia che non potrebbe essere etichettata solo come partigiana o interessata.

Qualche esempio? Ogni giorno nelle nostre cassette arrivano volantini di qualche insegna: perché non è stato possibile riservare in ogni volantino un piccolo spazio, per un comunicato in cui la Distribuzione spiegasse il proprio punto di vista, sottolineando gli sforzi compiuti del passato e le proprie proposte (ci sono delle proposte, vero?). Perché non inserire nei volantini una cartolina da inviare alla Presidenza del Consiglio per chiedere lo stop all’aumento dell’IVA? Perché non stampare del materiale informativo da consegnare alla casse? Perché non organizzare un evento itinerante nelle principali piazze italiane? Provocazioni? Può darsi…

Vista la frammentazione del settore e la difficoltà di relazione con l’IDM e gli altri attori in campo, l’idea che la GDO ritrovi il coraggio della parola è forse un’illusione, ma probabilmente non meno assurda di chi pensa che il mero rinvio dell’aumento dell’IVA possa essere considerato di per sé un successo…

 

@danielecazzani

Dalle special promotion alle SOCIAL promotion

Sono oramai numerosi i contributi accademici e le analisi che indagano la dimensione emozionale ed esperienziale dello shopping, tanto che oggi è possibile parlare di marketing experienziale anche nel settore della grande distribuzione senza suscitare perplessità di sorta.  Si è soliti parlare di shopping experience– sia inteso come scelta del punto vendita che come  momento di acquisto- intendendola come il risultato di una serie di fattori ambientali e tangibili (il layout del punto vendita, l’assortimento, ecc)  ma anche  intangibili, più afferenti alla sfera psicologica ed emozionale.

Tralasciando i fattori fisici e tangibili, ritengo invece che si possa sviluppare una riflessione che partendo dalle componenti psicologiche ci porti a valutare il ruolo attuale e futuro delle attività che, con un termine a mio avviso troppo vago, si è soliti etichettare come special promotion.

Parlando di componenti psicologiche, ma senza entrare nell’ambito della psicologia ambientale, dobbiamo partire dalla considerazione, che auspico sia largamente condivisa, che nello shopping vi sia una dimensione sociale, sia dal punto di vista della relazione cliente-cliente che nella relazione cliente-retailer (mediato dal personale del punto vendita).

Fino ad alcuni anni fa i retailers ritenevano però fosse sufficiente fungere da mero spazio fisico, ovvero da piattaforma passiva di relazione, intesa come ambiente fisico composto da attrezzature, schematizzate in corsie e reparti, ove invitare il cliente. L’obiettivo era rendere da un lato agevole e razionale il momento dell’acquisto, ma dall’altro anche di presentare tutta l’offerta merceologica del punto vendita, per massimizzare i contatti del cliente con l’assortimento e incentivare gli acquisti d’impulso.

Successivamente si è capito come anche l’architettura del punto vendita potesse svolgere il ruolo di leva di differenziazione del negozio rispetto alla concorrenza, come l’assortimento, il pricing, le promozioni, ecc. Da qui l’obiettivo, attraverso una corretta architettura degli spazi e una maggiore ricerca nelle attrezzature, di agevolare e incentivare in alcuni ambiti, settori e reparti le interazioni cliente-cliente e cliente-personale: pensiamo ad esempio ai banchi freschi serviti di un supermercato dove ritrovare l’intimità e l’atmosfera del negozio di vicinato è sempre stato un obiettivo, spesso non raggiunto, di tante insegne, sia dal punto di vista architettonico che relazionale col cliente.

Ma il mutato contesto sociale- ovvero la crisi e la revisione degli stili e modalità di consumo con la crescita della multicanalità- e la sempre più forte concorrenza tra insegne unita a una riduzione delle leve di differenziazione- come gli assortimenti sempre troppo determinati dall’industria seppure insidiati dalla crescente importanza delle private label, e il pricing, stretto dall’assurda e oramai quasi ingestibile contrazione dei margini- stanno determinando dei cambiamenti di cui le insegne della GDO non potranno non tenere conto, e che ne stanno ridefinendo anche il ruolo.

In questo ambito le special promotion, nate come mero strumento di sostegno alle vendite e aumento del traffic store, si stanno dimostrando un’importante leva non tanto o non solo promozionale, ma di sostegno o, talvolta, di costruzione della brand image, grazie anche alla loro valenza sociale.

Tali risultati sono raggiunti perché tali attività hanno dimostrato di poter scatenare e rivitalizzare la dimensione sociale dell’acquisto, ovviamente laddove il progetto sia stato coerente con l’insegna e i desiderata dei consumatori e clienti, e non a prescindere da tali elementi di progetto, (anche se sarebbero molti ad essere felici se vi fosse una così facile lampada di Aladino per risollevare le sorti della GDO).

Da questo punto di vista promotion di successo come quelle recentemente realizzate da Esselunga (carte giocabili Pixar) o Billa (figurine Avventure Animali ) sono state indiscutibilmente caratterizzate anche da una importante e tangibile “dimensione sociale”, verosimilmente non prevista in questa misura all’origine e in parte forse “subita” dai punti vendita, che si è tradotta in momenti di incontro sul punto vendita o a scuola, blog su internet, ecc.

Senza entrare nello specifico delle singole operazioni tali iniziative si sono dimostrate di fatto come un incredibile momento di contatto, se non proprio di dialogo, tra retailer e cliente: condizione e ambito sempre più difficile da creare e gestire in anni in cui lo stress promozionale è via via aumentato, cancellando spesso dalla mente dei consumatori altri metri di giudizio sulla qualità di un insegna se non il mero prezzo.

L’operazione di special promotion è inoltre uno strumento eccezionale per unire nel momento dello shopping tutta la famiglia, contemperando la componente più emozionale e impulsiva dei bambini (ma sarebbe sbagliato non ricordare come anche molti adulti amino rivivere le meccaniche dei collezionamenti) a quella più razionale e programmatica degli adulti, divenendo così un, involontario, aggregatore familiare-sociale.

Infine la meccanica stessa di una special promotion, che prevede un forte coinvolgimento del cliente nella fase di acquisto- si pensi, ad esempio, alla ricerca dei prodotti sponsor dell’operazione in grado di accelerare la raccolta delle figurine- determina un incremento della componente emozionale dello shopping, a vantaggio della shopping experience che viene così più fortemente connotata da elementi di unicità e memorabilità.

La consapevolezza del valore sociale di tali iniziative dovrebbe divenire così un elemento cardine già nella fase di progettazione, per permettere alle insegne di gestire non più una special promotion ma quella che potremmo definire, con una forzatura lessicale che auspico possa essere perdonata, come social promotion.

Per i motivi brevemente esposti e le esperienze delle operazioni fin qui realizzate, ritengo in conclusione che a fronte di questi cambiamenti i retailers anche, ma non solo, attraverso leve come quelle delle special promotion possono ambire al ruolo di aggregatori sociali, riscoprendo così quel ruolo sociale del commercio, seppure rivisto rispetto ai paradigmi del passato, che l’avvento delle grandi superfici di vendita aveva rischiato di cancellare per sempre.

 

Daniele Cazzani

BACK TO BASIC! IL CLIENTE CHIEDE SEMPLICITA’ (editoriale MarkUp Maggio 2011)

Coltellino-svizzero

Da numerose relazioni e ricerche emerge chiaramente sempre più spesso  come sia prioritario prestare attenzione all’offerta commerciale (drogata da anni di fee che hanno avuto come unico effetto certo quello di appesantire gli scaffali), dato che i consumatori chiedono semplificazione- vedi il successo dell’every day low price di U2- probabilmente “stressati” dalla sempre maggiore pressione promozionale che anziché guidarli rischia di disorientarli nel rapporto con la distribuzione, di cui non riescono più a comprendere la reale mission.

Paradossalmente osservando alcuni numeri di Nielsen si nota come il 2010 e la prima metà del 2011 abbiano registrato un utilizzo più incisivo (ma che vorrà dire incisivo?) della “leva volantini”: aumento numero di promozioni/volantini, aumento della foliazione, aumento del numero di articoli, ecc. A onor del vero, niente di nuovo per chi, come me, è quotidianamente sommerso dalle bozze dei volantini…

A questo punto la domanda sorge spontanea: ma se non siamo in grado di ascoltare il consumatore (che dialoga con noi in molti modi, tra cui anche le tante ricerche che ogni anno svariati istituti rilasciano al mercato; a meno che qualcuno non pensi si tratti di meri momenti “accademici” utili per passare una giornata insieme ai colleghi) come pensiamo di poter affrontare le sempre più difficili sfide del nostro settore, come la gestione degli aumenti di listino e le tendenze inflattive che saranno certamente imputate in prima istanza alla “cattiva” grande distribuzione (che certo non gode di buona stampa, ma su questo punto un po’ di autocritica da parte delle associazioni di categoria non guasterebbe)?

Mi chiedo se il fatto di rispondere alla richiesta di semplificazione dei  nostri clienti con l’aumento della pressione promozionale- trasformando tutti in cherry picker professionali- intervenendo in modo poco chiaro sugli assortimenti, tentando nuovi layout- spesso frutto della fantasia di architetti della complicazione più che rispondenti all’esigenza di leggibilità e chiarezza dell’offerta- sia indice di un eccesso di arroganza, davvero poco giustificabile in anni di crisi, o sia semplicemente il riflesso condizionato di un settore (o di gran parte di esso) che si è negli anni convinto che la leva prezzo sia più facile da gestire, senza interrogarsi troppo sul fatto se sia anche la più efficace.

Mi rendo conto che questo discorso possa essere tacciato di essere eccessivamente generico dato che vi sono esempi di insegne che hanno saputo, almeno in parte, ripensarsi con un approccio bottom-up (partendo dal cliente), ma talvolta penso che andare troppo nel particulare possa essere il modo più rapido per perdersi…

L’obiettivo dovrebbe quindi essere quello di partire dall’ascolto del consumatore per semplificare le formule commerciali e riportare nella realtà un settore che da troppi anni guarda più all’industria che al proprio cliente.  Un obiettivo a parole semplice ma nella realtà difficile, dato che si tratta di distruggere alcune certezze dell’attuale GDO…

Daniele Cazzani @danielecazzani

NOTA FINALE – Un estratto del presente intervento è stato pubblicato nell’editoriale del numero di maggio 2011 di MarkUp. Ringrazio ancora il Dott.Luigi Rubinelli per lo spazio concessomi.

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