INFLUENCER: I NUOVI TULIPANI DEL RETAIL

Di seguito la mia opinione da Mark Up n. 282 (settembre 2019) sul tema sempre più dibattuto degli influencer: una moda o un nuovo canale per intercettare i propri target?

L’influencer marketing è un “tool” sempre più utilizzato dal retail e sempre più complesso da maneggiare. Versione social di uno strumento cardine dell’advertising soprattutto televisivo, ovvero l’endorsement. A fare la differenza è la disintermediazione: oggi è l’influencer a relazionarsi direttamente con il consumatore, con un proprio linguaggio di comunicazione, solitamente non coerente con quello del brand. L’utilizzo tattico di questa nuova leva e la reale mancanza di una struttura certificata di metriche, rendono però labili tutte le asserzioni circa la sua reale efficacia.
I sempre maggiori investimenti sono spesso il riflesso condizionato della riduzione dei budget da altri strumenti che non hanno saputo evolversi rapidamente tanto quanto lo ha fatto il consumatore.
Oggi chi si permette di evidenziarne i limiti viene spesso guardato con disapprovazione, così come lo erano quanti nel Seicento avevano provato in Olanda a sottolineare l’insensata ed esagerata quotazione dei bulbi di tulipani. La storia dei tulipani è nota ai più, mentre quella dell’influencer marketing può ancora essere scritta e con un finale auspicabilmente migliore, sempre che si voglia davvero adottare un approccio più pragmatico per la sua gestione.
Potremmo infine soffermarci sul motivo per il quale la maggior parte dei retailer non sia capace di sfruttare appieno l’enorme patrimonio di advocacy costituito dai propri clienti, piuttosto che andare alla ricerca di più o meno reali influencer. Ma per farlo dovremmo parlare dei limiti del Crm nel retail e della sua spesso assurda sudditanza alle altre aree del marketing …

Qual è la vostra opinione in merito? Utilizzate influencer? Come li selezionate e come ne misurate le performance?

@nmr_italy

IL PARADOSSO DEL CLIENTE-ICEBERG.

Viviamo nell’epoca dei BIGDATA eppure… Eppure in molti nel retail sembrano davvero non sapere cosa farsene.

Ogni anno le aziende investono MILIARDI DI EURO in pubblicità pensando di poter influenzare il COMPORTAMENTO D’ACQUISTO del cliente- ovvero determinare una scelta di nel breve o brevissimo termine- mentre in realtà altri sono gli strumenti che avrebbero a disposizione.

Il RETAIL, perennemente all’affannosa ricerca di NUOVI clienti, pare non capire di possedere già un enorme PATRIMONIO: i propri CLIENTI.

Conoscere oggi il comportamento del cliente è FACILE, quasi banale, almeno se pensiamo al comportamento transazionale in termini di numero, contenuto e frequenza di acquisto. In effetti di analisi RFM (Receny-Frequency-Monetary) si parla da molti anni ma spesso le sue risultanze restano segregate su qualche presentazione in powerpoint.

Ma proprio come un ICEBERG i retailers paiono spesso accontentarsi di quanto il cliente fa vedere solo in superficie: prendendo atto del comportamento i clienti vengono accuratamente clusterizzati, così facendo cristallizzandone lo status.

Prendere decisioni sul DOMANI utilizzando come base solo la quanto conosciamo del comportamento di IERI però presta il fianco a possibili errori e scelte sbagliate.

Facciamo un esempio. Ipotizziamo di suddividere i nostri clienti in 2 cluster: “member” e “top”. Questi ultimi sono caratterizzati da un maggiore volume di acquisti nel periodo considerato, e per questo considerati i “migliori” nostri clienti.

Ad essi pertanto riserviamo offerte più generose, con l’intento di coccolarli e farli sentire “speciali”.

Ma normalmente non ci chiediamo cosa li abbia resi “top”, per quale motivo ci abbiano scelto, quale elemento abbia influenzato le loro singole specifiche scelte d’acquisto.

Senza conoscere il PERCHE’ è difficile poter agire sul COME efficacemente mantenerli “top” o migliorare la fedeltà e il comportamento dei “member”.

Insomma, la sola analisi dei dati transazionali non è sufficiente per un’analisi corretta, perché risulta fondamentale conoscere le determinanti del COMPORTAMENTO del cliente.

Il Retail dovrebbe essere CURIOSO e indagare quanto sta sotto la superficie osservabile dell’iceberg/cliente.

Infatti, come ben sappiamo, la parte nascosta dell’ICEBERG è FONDAMENTALE per la sua statica e dinamica ed è RICCO di informazioni.

Un peccato non indagarlo. Un peccato mortale per quel Retail che ha la sensazione di subire l’omni-pervasività dei pure player dell’e-commerce.

Per fare questo servono investimenti nel CRM, nell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE per costruire nuovi modelli di analisi della CUSTOMER EXPERIENCE.

Ma serve anche una nuova ORGANIZZAZIONE del Retail che metta al centro un nuovo MARKETING, più intelligente ed evoluto rispetto a quello odierno.

Una grande SFIDA su cui riflettere nel corso di questa calda estate.

@danielecazzani

RETAIL E INCLUSIVITÀ: PROGETTARE LA CUSTOMER EXPERIENCE PER TUTTI I CLIENTI

Poco più di un mese fa, esattamente il 2 Aprile, si è celebrata è la Giornata Mondiale dell’Autismo.

Una parola oramai conosciuta, ma spesso solo superficialmente, come lo è in generale l’ampio perimetro delle disabilità, non solo fisiche ma anche psichiche o sensoriali.

Ne avevo già parlato nel lontano 2016 (vedi qui articolo “Disabilità e Retail: quante barriere a una strategia inclusiva”) sottolineando come per molti anni nel Retail la pigra risposta alle esigenze delle persone con disabilità sia stata la realizzazione di uno scivolo all’ingresso negozio (comunque mancante in tanti, troppi, negozi ancora oggi) o dotare i propri negozi di ascensori seguendo l’equazione disabiltà = barriere architettoniche.

Equazione limitativa ed errata. Risultato: non si è fatto abbastanza.

Torniamo a noi, oggi, e pensiamo a questo Retail in continua evoluzione, omnichannel, customer-centrico, phygitale e via aggettivando…

Quante sono le difficoltà del fare shopping di una persona con disabilità? Quante sono le ferite alla propria dignità che una persona con disabilità deve subire ogni giorno, anche solo perché vuole entrare in un negozio e fare la spesa? Troppe. Semplicemente troppe.

Pensiamo a scaffali irraggiungibili, camerini troppo stretti, zone casse respingenti, un caleidoscopio di luci, colori e suoni che, ad esempio, per un persona con un disturbo dello spettro autistico possono essere l’equivalente di un inferno, e via dicendo.

Sono davvero tanti gli ostacoli che il Retail, non certo volontariamente, presenta nei propri store.

Il problema si presenta anche online perché, pur a fronte di una innata mancanza di barriere architettoniche, ancora poco si è fatto per agevolare clienti con disabilità. Pensiamo ad esempio a persone con handicap visivo non grave, tra cui molti anziani, che necessitano di scritte o immagini notevolmente ingrandite. Chi invece è affetto da daltonismo non riesce a decifrare correttamente gli avvisi che sono espressi solo dal colore. Diversamente i non udenti non percepiscono le informazioni di un file audio e di gran parte dei file video. E via dicendo…

Tornando ai negozi fisici sono tanti, spesso piccoli, gli accorgimenti che potrebbero migliorare di molto l’experience di questi clienti (senza peggiorare quella degli altri) partendo dalla progettazione degli spazi per arrivare alla creazione di servizi ad hoc (come ad esempio il servizio di spesa assistita per clienti con disabilità visiva proposta da Auchan Casal Bertone a Roma in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma di cui ha parlato MarkUp a marzo).

Anche i servizi after sales dovrebbero tenere conto delle specifiche esigenze dei clienti. Pensiamo a un servizio come il “reso” nel momento in cui si costringa una persona con disabilità fisica a recarsi in negozio: perché non creare un servizio at home per questi clienti?

In conclusione penso che il Retail potrà dirsi davvero moderno quando sarà veramente inclusivo e attento alle difficoltà di tutti non discriminando alcun cliente in base alla disabilità.

In primis è una sfida per le persone e per i manager del Retail.

@danielecazzani

FEDELTÀ: PAROLA ABUSATA

Di seguito il mio contributo sul numero di febbraio 2019 di MarkUp.

Fedeltà è parola sempre più abusata e contesa tra brand e retail.

Il vero soggetto della fedeltà resta, però, il cliente, più che il consumatore. Per quanto questa distinzione possa apparire piuttosto debole a un occhio disattento, nella realtà cela un importante elemento. Il consumatore è connotato da un rapporto funzionale con i prodotti (o servizi) che utilizza. Il cliente si caratterizza, invece, per un rapporto relazionale con i prodotti (o servizi). Partendo da questa considerazione possiamo così distinguere la (notevole) differenza di significato tra la fedeltà per un brand e quella per il retail. Nel primo caso possiamo parlare di fedeltà se con il cliente si instaura una condivisione di valori e scelte, ovvero se nel racconto del brand il cliente (ri)trova se stesso.

Nel caso del retail, la fedeltà nasce, invece, dall’esperienza, ovvero da un percorso più articolato che vede come momento fondamentale anche quello funzionale col prodotto, ma arricchito da tanti altri momenti che insieme definiscono un percorso complessivo; questa fedeltà deve essere coerentemente presidiata a valorizzata in ogni singolo passaggio. Per questo motivo le due fedeltà non devono essere viste in contraddizione l’una con l’altra, ma in chiave di complementarietà. La loro unione può essere potente, ed è questo il motivo per il quale più che farsi la guerra gli uni contro gli altri, brand e retail dovrebbero allearsi per costruire insieme la più efficace proposta valoriale-esperienziale che metta al centro i clienti e i loro bisogni.

@danielecazzani

CONOSCERE IL CLIENTE. UN IMPERATIVO PER IL RETAIL

Estratto della mia intervista sul ruolo del CRM nel Retail, a margine dell’evento It’s All CRM organizzato da Brainz a Milano nello scorso autunno.

https://youtu.be/J2UDgAdy0pE

Buona visione

@danielecazzani

IL MIO 2018 CON MARKUP (thanks to @Clazzati) TRA RETAIL, MARKETING, CRM, LOYALTY E CUSTOMER EXPERIENCE

Non sono solito fare bilanci di fine anno, ma il 2018 è stato per caratterizzato per me dalla collaborazione con MarkUp, la rivista più importante per il retail, che leggo da quando ho iniziato ad occuparmi di marketing e retail (tanti, tanti anni fa…).

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Apprezzo e stimo enormemente l’attenta direzione di Cristina Lazzati.

Diamocelo infatti: uno dei più diffusi difetti di tanti retailer è avere lo sguardo concentrato sul proprio ombelico, mentre MarkUp ci aiuta (o costringe?) a guardare altrove, oltre i nostri confini per cogliere le sfide del futuro (che spesso è già il presente per i nostri Clienti).

Non potevo quindi che accettare con entusiasmo l’invito di Cristina ad unirmi al qualificato gruppo di opinionisti che già collaboravano con la rivista.

Altro elemento gratificante è stata la possibilità di spaziare tra tanti argomenti, sempre inerenti il Marketing e il Retail- ca va sans dire- ma con una libertà che all’interno delle organizzazioni è spesso negata, vigendo ancora visioni fordiste del management.

Ecco così una sintesi dei temi che ho toccato nel corso di quest’anno:

  • GENNAIO-FEBBRAIO. Le emozioni saranno il futuro dei CENTRI COMMERCIALI.
  • MARZO. Ripensare i programmi LOYALTY per i nuovi consumatori.
  • APRILE. L’ECOMMERCE e le colpe del RETAIL brick & mortar.
  • MAGGIO. Il NON FOOD e le PROMOZIONI.
  • GIUGNO. Il ruolo delle VETRINE nei nuovi stores.
  • LUGLIO-AGOSTO. Il GDPR come nuovo patto tra Retail e Clienti.
  • SETTEMBRE. INTELLIGENZA ARTIFICIALE e Retail.
  • OTTOBRE. Il NON FOOD alla prova dell’ecommerce.
  • NOVEMBRE. I BIGDATA  e la visione univoca del Cliente.
  • DICEMBRE. Le mie non-previsioni per il 2019 del Retail.

Certo, la scelta dei temi e l’approccio alla discussione, sono opinabili, ma confido di avere aiutato qualche riflessione su un settore sempre più dinamico e chiamato e reinventarsi giorno dopo giorno, a ritmi finora sconosciuti.

Un sentito ringraziamento a tutti coloro che mi hanno fin qui letto e a quelli che lo faranno in futuro, ma soprattutto un grazie di cuore a Cristina!

 

Daniele Cazzani

Head of Retail Customer Experience

Salmoiraghi & Viganò (Luxottica Group)

MENO GURU E CARTOMANTI PER IL RETAIL. LE MIE NON-PREVISIONI PER IL 2019

A fine anno si moltiplicano le previsioni sul futuro del retail, spuntano guru, opinionisti rimasti in letargo per mesi ma pronti a snocciolare i “10 fondamentali trend” nel nuovo anno e via dicendo… Insomma sembra di trovarsi al luna-park di fronte a quelle macchinette che con pochi cent promettono di svelarti il futuro.

Mi asterrò pertanto dal vestire i panni della cartomante per mantenere i più consoni (almeno così voglio immaginare) panni del marketer che da vent’anni vive e lavora nel e per il Retail.

Pur sapendo che i manager del Retail nutrono una forte e volubile passione per le mode, non posso però che augurarmi che il 2019 sia l’anno dei sostantivi e non- ancora una volta- quello degli aggettivi (spesso effimeri come un hashtag).

Per questo mi auguro che il nuovo anno sia innanzi tutto quello dei Clienti. Punto. Non multicanale o, come si suole dire ora, omnichannel; semplicemente… Clienti.

Negli anni abbiamo registrato un proliferare di aggettivi per spiegare il nuovo comportamento d’acquisto dei consumatori, le nuove modalità di relazione- sempre più peer to peer– verso i brand e retailer e la sempre maggiore complessità di una journey in cui il zero moment of truthrisulta spesso inafferrabile come una moderna Primula Rossa.

Mi auguro per lo stesso motivo che sia l’anno dei Clienti senza aggettivazioni generazionali. Basta parlare solo dei millennialscome se si trattasse della nuova terra dell’eden, senza invece considerare che un Paese come il nostro vedrà una sempre maggiore polarizzazione della popolazione verso le fasce d’età più mature cui sembra interessarsi solo l’Istat e qualche analisi sociologica…

Ancora, confido che l’e-commerce diventi semplicemente… commerce. L’ansiogena attenzione verso Amazon e il connesso provinciale stupore col quale se ne se seguono le scelte, dimostrano che il Retail tradizionale (altro aggettivo da eliminare!) non ha ancora capito che Bezos ha successo perché ha del commercio due elementi fondamentali: la visione e la capacità di innovare (cioè rischiare).

Il Retail deve poi riscoprire l’intelligenza, ovvero, la capacità di attribuire significati ad avvenimenti a partire da quell’esperienza quotidiana che ha con migliaia di Clienti (in un negozio, su un sito web, su una pagina social, tramite un call center o un chatbot….).

Ho volutamente parlato di intelligenza tralasciando uno degli aggettivi più gettonati del momento: quell’artificialdi cui molto si parla ma che ben pochi hanno saputo oggi declinare in modo efficace a favore del Cliente. Perché l’AI possa divenire strumento efficace è infatti prima necessario capire chi sia il Cliente e quali siano gli elementi che possono dare valore alla nostra relazione con lui. Ma purtroppo questo fondamentale passaggio preliminare è troppo spesso colpevolmente tralasciato…

Infine mi auguro che il 2019 sia l’anno dei data, anche non necessariamente… big!

La grande mole di dati prodotti dai sempre più numerosi touchpoint tra Retail e Cliente ha costretto le aziende Retail a grandi investimenti in infrastrutture IT, ma non ha comportato un correlato incremento negli investimenti in competenze e, peggio ancora, non è stata risolta la frattura tra IT e Marketing che è il vero freno organizzativo alla creazione di una “cultura del dato” all’interno delle aziende, con la conseguenza che spesso i big data restano semplicementetoo big to… become information.

Voglio finire con un termine utilizzato soprattutto nella sua englsh version e abbinato agli aggettivi più vari (personale, memorabile, multicanale, ecc.): parlo ovviamente dell’esperienza che anziché essere vista come un mosaico di tanti anche minuscoli tasselli (alcuni tangibili, altri tangibili) è troppo spesso raccontata come entità filosofica, senza capire che per poterla rendere leva strategica per il business è necessario tradurla in organizzazione, competenze, metriche.

Per quanto ho detto nella prima riga non ho alcun elemento per dire se il 2019 sarà così come l’ho voluto augurare.

Ma ho una certezza.

Quello sarà il mio 2019.

Buon anno e buon Retail a tutti!

Daniele Cazzani

Head of Retail Customer Experience

Salmoiraghi & Viganò

THE FAB FOUR: #LOYALTY, #HAPPINESS, #AI AND #EXPERIENCE (note a margine dell’OF2018)

Nell’importante cornice dell’Auditorium Paganini di Parma, lo scorso venerdì, si è svolta la 18ma edizione dell’OSSERVATORIO FEDELTA‘, promosso dalla Prof.ssa Cristina Ziliani dell’Università di Parma, col contributo (davvero apprezzabile) di tanti giovani studenti oltre che di ricercatori, partner e qualificati relatori.

Come sempre è stata un’occasione importante per fare il punto sulla Loyalty e capire quali siano le sfide che attendono uno “strumento” nato a metà dell’ottocento (i famosi stamp di alcune catene americane) e che continua ad evolvere a ritmo sempre più rapido.

Da affezionato partecipante all’incontro (ricordo ancora quando si svolgeva all’interno di un’aula dell’Università…) voglio qui condividere 3 cose che mi è parso importante annotarmi.

1. LA LOYALTY E’ ESPERIENZA

La parola (spesso abusata a onor del vero) è riecheggiata più volte all’interno dell’auditorium forte e chiara. I programmi loyalty devono andare ben oltre il semplice rewarding, e non focalizzarsi solo sui servizi e il CRM.

La loyalty è oramai strettamente connessa con l’esperienza. Quest’ultima però per essere determinante deve essere:

  1. personale
  2. relazionale
  3. memorabile

Senza entrare nel dettaglio invito solo i retailer brick & mortar a focalizzarsi sul secondo aggettivo, investendo sulle proprie risorse umane: l’unica leva che può costituire un valore aggiunto tangibile e non replicabile dall’ecommerce (anche Amazon è stata più volte riecheggiata nella sala, non in quanto operatore online ma per il suo approccio al negozio fisico, come con Amazon 4-star )

L’esperienza deve poi essere coerentemente declinata in ottica omnichannel, perché così è oramai il consumatore volenti o nolenti (ne prenda atto anche BestWestern che invece pare “discriminare” il cliente nel proprio programma loyalty in base al canale di prenotazione delle camere…).

Solo così l’esperienza potrà trasformarsi in fiducia e questa, a sua volta, sostenere la fedeltà in un ambiente competitivo sempre più denso e con meni steccati, dove il consumatore riceve continuamente sollecitazioni e stimoli.

2. LA LOYALTY E’ FELICITA’

Qual è l’obiettivo della loyalty?

Dobbiamo premettere che ancora una volta è emerso come vi sia confusione sulle metriche della fedeltà (alcuni retailer guardano ancora al fatturato come indicatore, sic!) mentre dovrebbero essere acquisiti kpi’s quali retention, RFM, LTV (Life Time Value) e SOW (Share of Wallet).

Chiarito il tema delle metriche, è stato detto come l’ambizioso obiettivo della loyalty debba essere la FELICITA’ del proprio cliente.

Felicità: un’emozione potente che dilata il flusso del tempo, togliendo così tanti alibi a retailer che lamentano che i clienti hanno poco tempo per lo shopping; in realtà i consumatori dedicano poco tempo allo shopping non piacevole, che non li renda cioè felici.

Perché il nuovo paradigma del consumo è il consumo del tempo.

Felicità: un’emozione potente che le persone sempre più vogliono condividere, innescando potenti strumenti di emulazione e diffusione.

3. LA LOYALTY E’ AI

Forse non oggi; certamente domani. L’intelligenza artificiale (AI) sarà sempre più parte integrante delle strategie loyalty ma solo nell’ottica di migliorare l’esperienza dei propri clienti.

L’AI avrà un impatto su tanti temi legati all’experience del cliente, a partire dal search online, la previsione dei comportamenti, la reccomendation, la personalizzazione dell’esperienza, il social listening, il customer support e via dicendo.

La voce inoltre diverrà sempre più la nuova interfaccia di relazione coi propri clienti, grazie allo sviluppo degli smart device che diverranno loro i veri attori della journey dei consumatori (che ad essi si affideranno per consigli, liste della spesa ecc.).

Ma non avrebbe senso avere chiari i 3 punti sopra indicati, se la loyalty non divenisse  CULTURA MANAGERIALE, permeando l’organizzazione delle aziende, per essere poi declinata sotto 3 distinti aspetti:

  • strategia,
  • management (gestione continuativa, misurazione, continous emprovement),
  • comunicazione (execution nei diversi touchpoints della value proposition della loyalty).

In conclusione i marketer devono prendere atto che si sta aprendo una nuova era, quella della LOYALTY DELL’ESPERIENZA.

Sul mio account twitter @danielecazzani potrete trovare altri spunti di riflessione e commenti a margine dell’OF 2018 che come detto è stato ricco di stimoli anche su altri temi, quale l’integrazione tra loyalty e strumenti di pagamento.

Vi ringrazio per l’attenzione!

 

Daniele Cazzani

Head of Retail Customer Experience S&V

(Luxottica Group)

IL #RETAIL E IL #CRM TRA FANTASMI, ASINI E #BIGDATA (CON UN OCCHIO AD #AMAZON)

Martedì 16 ottobre ad Assago ho avuto il piacere di essere inviato quale speaker all’evento IT’S ALL CRM CONTACT CENTER, potendomi così confrontare con altre realtà Retail sui temi legati al futuro del CRM o, per anticipare uno dei mantra dell’incontro, del CXM (dove “X” sta ovviamente per “experience”).

Le parole più ripetute durante l’incontro sono state “cultura”, “organizzazione”, “cliente” (of course!), “dati” e… Amazon 😉

A ben pensarci, proprio Il fantasma che terrorizza i retailers d’Europa (e non solo) è un’ottima sintesi delle “parole d’ordine” sopra elencate.

Ma andiamo con ordine.

Paradossalmente sembra che il combinato disposto tra bigdata e un consumatore sempre più omnichannel abbia negli ultimi anni aumentato la complessità per le aziende retail nel leggere, o meglio nel comprendere attitudini e comportamenti dei consumatori in senso più lato.

Per poter gestire questa nuova complessità servono certamente nuove tecnologie– ampiamente disponibili sul mercato- ma soprattutto una nuova ORGANIZZAZIONE che veda lavorare fianco a fianco IT e Marketing, abbattendo steccati e gelosie che hanno fino ad oggi inficiato gli sforzi di tanti Retailers in questa direzione.

Ma prima ancora di compiere questo passo è necessario creare una nuova CULTURA del DATO e dell’informazione. Serve innanzi tutto definire in modo chiaro (e condiviso tra tutte le funzioni aziendali, a partire dal CEO) quali siano gli obiettivi del proprio business, e all’interno di questo cosa sia richiesto al CRM e quindi quali siano le informazioni necessarie e rilevanti a supporto della costruzione delle più efficaci strategie.

Il focus di questo immenso sforzo richiesto al Retail deve essere, davvero, il CLIENTE.

Il CRM non è una polaroid utile per scattare qualche istantanea del Cliente, che corre il rischio di essere cestinata se la foto che restituisce non è in linea con le attese aziendali.

Il CRM deve e può essere un motore di intelligenza. Ma per cogliere questo obiettivo deve lavorare in stretto legame con tutte le altre funzioni aziendali, in primis con quelle che più di altri sono a stretto contatto col Cliente all’interno dei negozi, evitando di rinchiudersi in qualche stanza e di fronte a qualche powerpoint.

Questa intelligenza deve però partire dalla capacità di sfruttare appieno le numerosissime informazioni (parziali e frammentarie) che il Retail già ha del cliente, mentre spesso la sensazione è che si cerchino sempre nuove informazioni che diventano via via più ingestibili e spesso contraddittorie, con l’effetto finale di vedere il CRM Manager di turno che come l’asino di Buridano resta indeciso nel da farsi finendo per essere superato dai fatti (i dati, si sa, invecchiano molto rapidamente).

Solo i dati e un Marketing intelligente possono aiutare il Retail a comprendere al meglio le journey dei singoli clienti e attorno a questi disegnare la migliore experience, e superare così i limiti dei più tradizionali approcci di CRM, che restano per lo più indistinti o grossolanamente differenziati per cluster che tengono conto solo di alcuni attributi transazionali o socio demografici dei propri Clienti.

E’ un tema culturale e organizzativo, non tecnico. Prima il Retail ne prenderà atto, prima potrà scacciare i fantasmi che ne turbano i sonni…

@danielecazzani

 

IL CRM A LEZIONE DA SOCRATE (parte 1)

Uno dei peggiori errori che un manager che si occupi di CRM e di Customer Experience potrebbe compiere è illudersi di poter conoscere appieno il proprio cliente.

Purtroppo i big data e l’avvento dell’intelligenza artificiale stanno alimentando questa illusione con potenziali ripercussioni sulle scelte delle aziende che si affidano troppo fideisticamente ai novelli guru del CRM 2.0.

Ma facciamo un passo indietro.

“Conoscere” è verbo impegnativo dai mille risvolti ma, facendo proprio il motto socratico “io so di non sapere”, chi si occupa di CRM dovrebbe intraprendere un percorso ben più difficile della lettura e interpretazione dei dati su fogli Excel.

Il punto di partenza è conoscere il proprio business e l’arena competitiva in cui ci si muove.

Infatti, spesso eccessivamente intrigati dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dalla mole di dati determinati da una sempre più spinta omnicanalità, per tanti CRM manager l’attenzione verso i numeri reali resta marginale, mentre è fondamentale partire dai numeri di base, dalle determinanti dei propri business.

Altro aspetto fondamentale è conoscere i negozi, ovvero viverne i tempi e gli spazi e, in quel contesto, vedere e parlare col cliente (oltre che coi propri colleghi di negozio). Allo stesso modo è necessario conoscere i propri competitors.

Omnichannel è da questo punto di vista un aggettivo che rischia di causare un pericoloso strabismo. Infatti è (relativamente) facile monitorare il comportamento dei propri clienti su un sito  o nell’ambito di interazioni con touchpoints digitali, mentre risulta più difficile mapparne il comportamento quando si trova in negozio. I soli dati quantitativi (transazionali) da questo punto di vista non possono essere ritenuti sufficienti; serve avere anche informazioni sugli aspetti qualitativi dell’esperienza.

Infine (sempre che esista un perimetro alla conoscenza…) andare oltre i confini del proprio business e del proprio desk, ad esempio studiando le numerose ricerche sociologiche che offrono molte informazioni sulle evoluzioni della società (ricordandosi che non esistono solo i millennials).

Conoscere il proprio Cliente significa in conclusione mettere insieme tutti questi tasselli, componendo un complesso mosaico che richiede fatica, metodo ed organizzazione.

Su questa base, solo su questa base, può essere impostato un moderno CRM (non una sua imitazione).

Non solo sui numeri. Non sulla sola tecnologia. Ma sulla conoscenza.

Grazie Socrate!

@danielecazzani