LA #CUSTOMER #EXPERIENCE E’ FATTA DI DETTAGLI (COME UN CARRELLO)

In un ipermercato la customer experience inizia dal carrello o cestello della spesa.

Se questo fosse pulito sarebbe meglio, cosa ne pensate?

Ovviamente stesso discorso vale anche per un camerino di un negozio di abbigliamento 😉

La customer experience di cui tanto si (stra)parla è questo: attenzione a tutti i dettagli che determinano l’esperienza del cliente.

È chiedere troppo?

 

@nmr_italy

FROM #PROMOTION TO #EXPERIENCE IN A NUTSHELL (INTERVIEW)

Il passaggio dall’iper-promozionalità (di cui soffre tanto retail) all’experience è un passaggio culturale che apre opportunità nuove e ricche, come ho avuto modo di condividere in questo mio intervento in un workshop- organizzato da Largo Consumo e risalente a un anno fa- parlando dell’importante cambio di paradigma vissuto in Salmoiraghi & Viganò dopo l’entrata nel mondo Luxottica.

 

@nmr_italy

UN ANELLO BERBERO A MARRAKECH: IL LUSSO E’ ESPERIENZA

Camminando tra le affollate vie del souk di Marrakech mi fermo davanti alla vetrina di un gioielliere berbero.

Vedo un anello in argento e con delle pietre incastonate con gusto a formare un fiore.

Un regalo perfetto per mia moglie penso.

Il proprietario del negozio si accorge del potenziale cliente ed esce per presentarsi e invitarmi all’interno del negozio per osservare meglio l’anello.

(notare l’andare verso il cliente come gesto base del commercio di ieri e di oggi)

L’anello è bello ma non so se sia la misura giusta, inoltre non posso essere certo che a mia moglie piaccia.

In quei casi dovrei tornare nel souk sperando di ritrovare quel negozio, ma è il mio ultimo giorno in città e a Marrakech non sempre è facile ritrovare ciò che hai… trovato nel souk 😉.

Le mie resistenze vengono vinte dal commerciante.

Mi porterà anello nel riad dove soggiorno con altri anelli e il kit per regolarne il diametro.

Non ci credo ma accetto.

All’ora concordata in riad mi informano che c’è un gioielliere per me.

Anello perfetto. Regolazione (minima) effettuata in pochi minuti sul posto.

Moglie strafelice.

Quindi pago (il commerciante era venuto da me col rischio di non concludere la vendita).

Ora ci credo.

Questo è LUSSO. Non certo l’anello, ma l’ESPERIENZA.

Ora pensateci: quante gioiellerie anche del segmento luxury avrebbero mai fatto questo per un normale cliente? Magari a Milano?

Partendo da questo fatto personale riprendo ora il mio articolo sul numero di luglio di Mark Up (n. 281)

Diciamo lusso e pensiamo a una boutique o a un prodotto costoso, come un gioiello o un capo sartoriale di alta moda.

Lusso è esclusività. Lusso è un club dove sono ammessi solo poche persone. Il lusso ci porta a pensare a qualcosa di tangibile e monetizzabile.

La realtà è che oggi sempre più la declinazione del lusso secondo queste direttrici da parte di tanti retailer che di quell’aggettivo si fanno vanto, si dimostra debole, replicabile, scontata.

Il consumatore è ogni giorno più esigente e dispone di più strumenti per soddisfare i propri needs.

Ecco allora emergere la dimensione dell’esperienza come nuova frontiera del lusso. Lusso non è più il prodotto ma tutto ciò che lo circonda, prima, durante e dopo l’acquisto. Non penso al “solito” personal shopper ma a modalità di ingaggio dei clienti anche nella fase creativa, a inviti per eventi ed esperienze esclusive, oppure a servizi di caring post acquisto o l’ingaggio nelle attività di Csr del brand.

Per poter essere attivate queste leve necessitano però di un elemento cruciale: la conoscenza del cliente, inteso non tanto come rilevanza degli aspetti economici, quanto come conoscenza della sua customer journey, dei suoi gusti, della sua relazione con il brand.

Anche il nostro Made in Italy da questo punto di vista è chiamato a reinventarsi. Non solo eccellenza nella produzione, ma eccellenza nella relazione e nell’esperienza.

Per fare questo importante passo, già effettuato da alcuni casi di successo, servono nuove competenze, nuove visioni, nuove strategie, nuove organizzazioni.

Serve in sintesi un NUOVO RETAIL DEL LUSSO. Non più, non solo, centrato su un prodotto, ma pensato per il cliente.

 

@nmr_italy

IL PARADOSSO DEL CLIENTE-ICEBERG.

Viviamo nell’epoca dei BIGDATA eppure… Eppure in molti nel retail sembrano davvero non sapere cosa farsene.

Ogni anno le aziende investono MILIARDI DI EURO in pubblicità pensando di poter influenzare il COMPORTAMENTO D’ACQUISTO del cliente- ovvero determinare una scelta di nel breve o brevissimo termine- mentre in realtà altri sono gli strumenti che avrebbero a disposizione.

Il RETAIL, perennemente all’affannosa ricerca di NUOVI clienti, pare non capire di possedere già un enorme PATRIMONIO: i propri CLIENTI.

Conoscere oggi il comportamento del cliente è FACILE, quasi banale, almeno se pensiamo al comportamento transazionale in termini di numero, contenuto e frequenza di acquisto. In effetti di analisi RFM (Receny-Frequency-Monetary) si parla da molti anni ma spesso le sue risultanze restano segregate su qualche presentazione in powerpoint.

Ma proprio come un ICEBERG i retailers paiono spesso accontentarsi di quanto il cliente fa vedere solo in superficie: prendendo atto del comportamento i clienti vengono accuratamente clusterizzati, così facendo cristallizzandone lo status.

Prendere decisioni sul DOMANI utilizzando come base solo la quanto conosciamo del comportamento di IERI però presta il fianco a possibili errori e scelte sbagliate.

Facciamo un esempio. Ipotizziamo di suddividere i nostri clienti in 2 cluster: “member” e “top”. Questi ultimi sono caratterizzati da un maggiore volume di acquisti nel periodo considerato, e per questo considerati i “migliori” nostri clienti.

Ad essi pertanto riserviamo offerte più generose, con l’intento di coccolarli e farli sentire “speciali”.

Ma normalmente non ci chiediamo cosa li abbia resi “top”, per quale motivo ci abbiano scelto, quale elemento abbia influenzato le loro singole specifiche scelte d’acquisto.

Senza conoscere il PERCHE’ è difficile poter agire sul COME efficacemente mantenerli “top” o migliorare la fedeltà e il comportamento dei “member”.

Insomma, la sola analisi dei dati transazionali non è sufficiente per un’analisi corretta, perché risulta fondamentale conoscere le determinanti del COMPORTAMENTO del cliente.

Il Retail dovrebbe essere CURIOSO e indagare quanto sta sotto la superficie osservabile dell’iceberg/cliente.

Infatti, come ben sappiamo, la parte nascosta dell’ICEBERG è FONDAMENTALE per la sua statica e dinamica ed è RICCO di informazioni.

Un peccato non indagarlo. Un peccato mortale per quel Retail che ha la sensazione di subire l’omni-pervasività dei pure player dell’e-commerce.

Per fare questo servono investimenti nel CRM, nell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE per costruire nuovi modelli di analisi della CUSTOMER EXPERIENCE.

Ma serve anche una nuova ORGANIZZAZIONE del Retail che metta al centro un nuovo MARKETING, più intelligente ed evoluto rispetto a quello odierno.

Una grande SFIDA su cui riflettere nel corso di questa calda estate.

@danielecazzani

LA BABELE SENSORIALE DEL RETAIL

Come consuetudine riprendo ed estendo il mio contributo su MarkUp.

Nel mese di maggio ho parlato di… sensi.

Facciamo così insieme due passi all’interno di un moderno ipermercato lasciandoci guidare dai cinque sensi.

VISTA. Senza soffermarci sugli scaffali e la loro varianza cromatica e di forma, ad accoglierci è solitamente un florilegio di cartelli di diverse forme e colori spesso del tutto sconnessi dai codici colore da quel volantino promozionale che abbiamo utilizzato a casa come bussola per costruire la nostra lista della spesa. La sensazione insomma è di trovarsi nel retro bottega del carnevale di Viareggio…

UDITO. Al di là del “collega” consumatore intento a rettificare ad alta voce la lista della spesa con l’aiuto da casa, l’aria è invasa dalle indecifrabili note di una canzone trasmessa dalla radio in store. Ma a sovrastare il tutto sono i richiami della cassa centrale che cerca ora un addetto al reparto elettrodemestici, ora avverte dell’apertura della cassa quindici, ora chiama un “codici trenta” nella corsia nove (mah…).

GUSTO. Uno dei sensi più potenti in assoluto è quasi del tutto dimenticato. Tralasciamo le hostess abbandonate nelle corsie a fianco a provvisorie postazioni di cartotecnica, ma è davvero raro che ci venga proposto l’assaggio di un prodotto al banco salumeria, gastronomia o panetteria…

OLFATTO. Difficile usarlo come bussola nella navigazione perché spesso la frutta e la verdura non profumano e gli odori della produzione del pane o dei preparati gastronimici sono segregati negli appositi laboratori.

TATTO. Parliamo dei carrelli o dei cestelli della spesa. Sono il biglietto da visita di un punto vendita, ma la loro pulizia ed efficienza sono troppo spesso lasciate al caso.

In conclusione la sensazione è di trovarsi in una Babele sensoriale.

Ho fatto l’esempio della GDO- penserà qualcuno- perché mi piace vincere facile.

In effetti ipermercati & c. sono negozi di grande complessità ma lo scenario non cambia di molto se ci spostiamo in un negozio di una catena retail.

Spesso percorsi e spazi sono governati da esigenze di prodotto non da quelle del cliente (avete presente quei camerini claustrofobici di tanti leader del fast fashion retail?). la radio in store ho invade lo spazio o sussurra indecifrabile, e le logiche espositive (dove trovo il tal prodotto?) sono segreti degni di un alchimista (trascurando la rilevanza del fattore “tempo” nelle moderne journeys dei clienti).

Su questo versante l’ecommerce gioca una partita da un lato più facile e dall’altro più difficile. Più facile perché sono meno i sensi coinvolti nell’esperienza; e dall’altra più difficile perché sono meno le leve che può utilizzare per disegnare un’esperienza coinvolgente per il cliente.

Insomma, i 5 sensi sarebbero un incredibile strumento di marketing (esperienziale) se i marketers non lo dimenticassero spesso nel cassetto dei propri attrezzi…

@danielecazzani

RETAIL E INCLUSIVITÀ: PROGETTARE LA CUSTOMER EXPERIENCE PER TUTTI I CLIENTI

Poco più di un mese fa, esattamente il 2 Aprile, si è celebrata è la Giornata Mondiale dell’Autismo.

Una parola oramai conosciuta, ma spesso solo superficialmente, come lo è in generale l’ampio perimetro delle disabilità, non solo fisiche ma anche psichiche o sensoriali.

Ne avevo già parlato nel lontano 2016 (vedi qui articolo “Disabilità e Retail: quante barriere a una strategia inclusiva”) sottolineando come per molti anni nel Retail la pigra risposta alle esigenze delle persone con disabilità sia stata la realizzazione di uno scivolo all’ingresso negozio (comunque mancante in tanti, troppi, negozi ancora oggi) o dotare i propri negozi di ascensori seguendo l’equazione disabiltà = barriere architettoniche.

Equazione limitativa ed errata. Risultato: non si è fatto abbastanza.

Torniamo a noi, oggi, e pensiamo a questo Retail in continua evoluzione, omnichannel, customer-centrico, phygitale e via aggettivando…

Quante sono le difficoltà del fare shopping di una persona con disabilità? Quante sono le ferite alla propria dignità che una persona con disabilità deve subire ogni giorno, anche solo perché vuole entrare in un negozio e fare la spesa? Troppe. Semplicemente troppe.

Pensiamo a scaffali irraggiungibili, camerini troppo stretti, zone casse respingenti, un caleidoscopio di luci, colori e suoni che, ad esempio, per un persona con un disturbo dello spettro autistico possono essere l’equivalente di un inferno, e via dicendo.

Sono davvero tanti gli ostacoli che il Retail, non certo volontariamente, presenta nei propri store.

Il problema si presenta anche online perché, pur a fronte di una innata mancanza di barriere architettoniche, ancora poco si è fatto per agevolare clienti con disabilità. Pensiamo ad esempio a persone con handicap visivo non grave, tra cui molti anziani, che necessitano di scritte o immagini notevolmente ingrandite. Chi invece è affetto da daltonismo non riesce a decifrare correttamente gli avvisi che sono espressi solo dal colore. Diversamente i non udenti non percepiscono le informazioni di un file audio e di gran parte dei file video. E via dicendo…

Tornando ai negozi fisici sono tanti, spesso piccoli, gli accorgimenti che potrebbero migliorare di molto l’experience di questi clienti (senza peggiorare quella degli altri) partendo dalla progettazione degli spazi per arrivare alla creazione di servizi ad hoc (come ad esempio il servizio di spesa assistita per clienti con disabilità visiva proposta da Auchan Casal Bertone a Roma in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma di cui ha parlato MarkUp a marzo).

Anche i servizi after sales dovrebbero tenere conto delle specifiche esigenze dei clienti. Pensiamo a un servizio come il “reso” nel momento in cui si costringa una persona con disabilità fisica a recarsi in negozio: perché non creare un servizio at home per questi clienti?

In conclusione penso che il Retail potrà dirsi davvero moderno quando sarà veramente inclusivo e attento alle difficoltà di tutti non discriminando alcun cliente in base alla disabilità.

In primis è una sfida per le persone e per i manager del Retail.

@danielecazzani

CONOSCERE IL CLIENTE. UN IMPERATIVO PER IL RETAIL

Estratto della mia intervista sul ruolo del CRM nel Retail, a margine dell’evento It’s All CRM organizzato da Brainz a Milano nello scorso autunno.

https://youtu.be/J2UDgAdy0pE

Buona visione

@danielecazzani

GROCERY & ECOMMERCE: BENE MA NON BENISSIMO

La genesi di questo articolo è riconducibile a tre spunti

  1. alcuni dati sull’e-commerce nel nostro Paese
  2. la storia del primo player italiano del settore
  3. la mia esperienza da cliente

Andiamo rapidamente e con ordine, partendo dal primo (s)punto.

L’e-commerce in Italia continua a crescere, come ha sottolineato la più recente ricerca di NetComm Politecnico di Milano, e il settore grocery è una delle aree con la migliore dinamica, segnando addirittura un +45% e con un valore superiore al miliardo di euro (per la maggior parte correlato proprio alla spesa online).

Siamo però costretti a dire “bene, ma non benissimo” perché se questa è la buona notizia, quella cattiva è che il valore del mercato rispetto ad altri Paesi UE è ancora basso, sia rispetto all’e-commerce nel suo complesso sia rispetto al valore del business della distribuzione grocery anche se vi sono casi come Esselunga che ha registrato una crescita sensibile di questo canale (vedi articolo su MarkUp).

Il secondo (s)punto invece arriva della lettura della chiara e appassionata ricostruzione della storia del servizio EsselungaaCasa sul sito di Giuseppe Caprotti che è stato l’anima del visionario progetto (penso che l’aggettivo sia dovuto vista l’epoca in cui fu lanciato). Invito tutti a leggere l’articolo che racconta quanti e quali siano stati i problemi per il lancio di un servizio che è ora, a mio avviso, uno degli asset identitari più forti e riconosciuti dell’insegna: i furgoncini gialli– che anch’io studiai quando mi occupai anni e anni fa del marketing per volendo.com una piccola piattaforma die commerce attiva su Milano e altre città del Nord Italia- sono iconici e distinguibili nelle vie dei piccoli paesi serviti così come nei centri storici delle più importanti città.

furgone-sfum

Infine, e veniamo all’ultimo (s)punto: l’esperienza da cliente, visto che ho appena ricevuto la consegna di una spesa ordinata alcuni giorni fa sul sito esselungaacasa.it come spesso mi capita di fare quando la settimana non mi concede il tempo per un’esperienza in negozio che trovo sempre piacevole.

Premetto che che a mio avviso lo sviluppo del grocery e-commerce è frenato certamente da almeno 3 fattori:

  • un momento di difficoltà della GDO nel suo complesso che pare avere smarrito idee e strategie, tra insegne perse nelle sperimentazioni (come un rabdomante alla disperata ricerca dell’acqua) e altre nei panni di chi attende Godot, ovvero il ritorno di passato che non tornerà più…
  • la non piena efficienza della filiera logistica
  • una relazione con IDM spesso conflittuale più che strategica

Dobbiamo però dire che anche il babau del retail, ovvero Amazon, non è ancora forte nel grocery, quindi almeno un alibi per il proprio immobilismo la GDO può stavolta risparmiarselo…

Messi assieme questi ingredienti cerco di ripercorrere la mia esperienza di cliente per suggerire alcuni filoni per la crescita del grocey e-commerce.

CERCARE I CLIENTI. Perché EsselungaaCasa non mi cerca mentre navigo online alla ricerca di un olio evo DOP, oppure di un formaggio caprino? Intercettare il cliente nella sua (sempre più complessa) journey è elemento imprescindibile per chi fa e-commerce. La sensazione invece è che qualcuno mi aspetti, anziché cercarmi…

STUPIRE I CLIENTI. La spesa dice molto, davvero molto, di noi, soprattutto se ripetuta nel tempo. Partendo da questa conoscenza chi fa e-commerce è nelle condizioni di suggerire acquisti ai clienti in base ai basket passati o alla composizione del basket della spesa corrente. Devo dire che in parte questo avviene, ma con logiche non chiarissime: la sensazione, anzi, è che spesso ciò che viene proposto sia rilevante non per il Cliente ma per l’Industria, mentre questa logica andrebbe invertita…

Sul fronte dell’interazione col Cliente si può certamente fare qualcosa di più ingaggiante, come, ma è solo un esempio, la richiesta di un’opinione su un prodotto acquistato per la prima volta (magari proprio dopo suggerimento dell’AI engine). Nell’e-commerce non c’è il contatto umano col salumiere che ti chiede “cosa ne pensa di questa nuova pancetta?” ma si possono trovare altre soluzioni di dialogo. Non sfruttiamo la tecnologia solo per comporre una lista, ma per creare un’esperienza!

IL CARRELLO DI DESIDERI DEL CLIENTE. Per un cliente può essere talvolta davvero frustrante scontrarsi con la limitatezza dell’assortimento on line rispetto a quello del negozio fisico. Non parlo solo dei freschi (difficile, mi rendo conto, replicare online il viaggio nei sapori di un banco gastronomia Esselunga in uno store), ma anche nelle altre categorie la scelta è spesso limitata. Con un consumatore sempre più omnichannel pensare che il perimetro dei suoi desideri debba di volta in volta adattarsi in funzione del canale prescelto è semplicemente… anti-storico.

ABBATTERE LE BARRIERE DEI NON-CLIENTI. Basta parlare ad un proprio vicino che non utilizza il servizio per sentirsi dire che uno dei motivi della non-scelta è il costo di consegna. Non si può certo negare che, come sopra accennato, la logistica sia uno dei temi fondamentali per lo sviluppo dell’e-commerce (e per la salute dei relativi conti economici) ma abbattere la barriera del costo di consegna con promozioni inverosimili gestite con IDM, del tipo “compra 10 prodotti di bellezza per avere la consegna gratis” risulta essere una non soluzione (forse questo tipo di proposte potrebbero funzionare se anziché un cliente la controparte fosse un centro benessere) visto l’eforo economico richiesto al cliente a fronte del risparmio atteso.

Perché invece non pensare a meccaniche di tipo cash-back, in cui il costo di consegna è riconosciuto al cliente tramite vantaggi da utilizzare in store, per incentivare l’omnicanalità del cliente? Perché non pensare a formule di subscription visto che la spesa grocery è un atto ripetuto/ripetibile che ben si presta allo sviluppo di queste meccaniche?

Come detto sto solo lanciando qualche idea senza l’arroganza di pensare di trovare risposte a un business complesso con qualche riga in un post.

In sintesi sono numerosi gli aspetti su cui lavorerei se fossi “a bordo” del progetto dei furgoncini gialli (customer journey, intelligenza artificiale, assortimento, promozione…) ma ho una certezza: lo sviluppo del l’e-commerce grocery sia totalmente nelle mani e nelle menti della GDO.

Buona spesa a tutti! offline o online che sia 😉 …

 

Daniele Cazzani

Head of Retail Customer Experience

Salmoiraghi & Viganò

MENO GURU E CARTOMANTI PER IL RETAIL. LE MIE NON-PREVISIONI PER IL 2019

A fine anno si moltiplicano le previsioni sul futuro del retail, spuntano guru, opinionisti rimasti in letargo per mesi ma pronti a snocciolare i “10 fondamentali trend” nel nuovo anno e via dicendo… Insomma sembra di trovarsi al luna-park di fronte a quelle macchinette che con pochi cent promettono di svelarti il futuro.

Mi asterrò pertanto dal vestire i panni della cartomante per mantenere i più consoni (almeno così voglio immaginare) panni del marketer che da vent’anni vive e lavora nel e per il Retail.

Pur sapendo che i manager del Retail nutrono una forte e volubile passione per le mode, non posso però che augurarmi che il 2019 sia l’anno dei sostantivi e non- ancora una volta- quello degli aggettivi (spesso effimeri come un hashtag).

Per questo mi auguro che il nuovo anno sia innanzi tutto quello dei Clienti. Punto. Non multicanale o, come si suole dire ora, omnichannel; semplicemente… Clienti.

Negli anni abbiamo registrato un proliferare di aggettivi per spiegare il nuovo comportamento d’acquisto dei consumatori, le nuove modalità di relazione- sempre più peer to peer– verso i brand e retailer e la sempre maggiore complessità di una journey in cui il zero moment of truthrisulta spesso inafferrabile come una moderna Primula Rossa.

Mi auguro per lo stesso motivo che sia l’anno dei Clienti senza aggettivazioni generazionali. Basta parlare solo dei millennialscome se si trattasse della nuova terra dell’eden, senza invece considerare che un Paese come il nostro vedrà una sempre maggiore polarizzazione della popolazione verso le fasce d’età più mature cui sembra interessarsi solo l’Istat e qualche analisi sociologica…

Ancora, confido che l’e-commerce diventi semplicemente… commerce. L’ansiogena attenzione verso Amazon e il connesso provinciale stupore col quale se ne se seguono le scelte, dimostrano che il Retail tradizionale (altro aggettivo da eliminare!) non ha ancora capito che Bezos ha successo perché ha del commercio due elementi fondamentali: la visione e la capacità di innovare (cioè rischiare).

Il Retail deve poi riscoprire l’intelligenza, ovvero, la capacità di attribuire significati ad avvenimenti a partire da quell’esperienza quotidiana che ha con migliaia di Clienti (in un negozio, su un sito web, su una pagina social, tramite un call center o un chatbot….).

Ho volutamente parlato di intelligenza tralasciando uno degli aggettivi più gettonati del momento: quell’artificialdi cui molto si parla ma che ben pochi hanno saputo oggi declinare in modo efficace a favore del Cliente. Perché l’AI possa divenire strumento efficace è infatti prima necessario capire chi sia il Cliente e quali siano gli elementi che possono dare valore alla nostra relazione con lui. Ma purtroppo questo fondamentale passaggio preliminare è troppo spesso colpevolmente tralasciato…

Infine mi auguro che il 2019 sia l’anno dei data, anche non necessariamente… big!

La grande mole di dati prodotti dai sempre più numerosi touchpoint tra Retail e Cliente ha costretto le aziende Retail a grandi investimenti in infrastrutture IT, ma non ha comportato un correlato incremento negli investimenti in competenze e, peggio ancora, non è stata risolta la frattura tra IT e Marketing che è il vero freno organizzativo alla creazione di una “cultura del dato” all’interno delle aziende, con la conseguenza che spesso i big data restano semplicementetoo big to… become information.

Voglio finire con un termine utilizzato soprattutto nella sua englsh version e abbinato agli aggettivi più vari (personale, memorabile, multicanale, ecc.): parlo ovviamente dell’esperienza che anziché essere vista come un mosaico di tanti anche minuscoli tasselli (alcuni tangibili, altri tangibili) è troppo spesso raccontata come entità filosofica, senza capire che per poterla rendere leva strategica per il business è necessario tradurla in organizzazione, competenze, metriche.

Per quanto ho detto nella prima riga non ho alcun elemento per dire se il 2019 sarà così come l’ho voluto augurare.

Ma ho una certezza.

Quello sarà il mio 2019.

Buon anno e buon Retail a tutti!

Daniele Cazzani

Head of Retail Customer Experience

Salmoiraghi & Viganò

Il futuro del #Retail, la rivoluzione culturale della #Loyalty e il #CXM

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La loyalty ha un grande passato alle spalle e, soprattutto, un grande futuro di fronte.

Infatti, come emerso nel corso del recente LoyaltyLab organizzato a Milano da Comarch, se i programmi fedeltà sono nati spesso come risposta alla necessità di conoscere “qualcosa” dei propri clienti, oggi appare evidente come la sfida per la loyalty sia quella di essere elemento centrale nella strategia di posizionamento del Retail e non più uno dei volani di trasmissione delle politiche commerciali o, peggio ancora, mero strumento di retention.

Come ben rappresentato nell’intervento di Cristina Ziliani (Osservatorio Fedeltà Università di Parma) la Loyalty ha percorso una lunga strada, partendo dalle raccolte bollini per essere oggi declinata come app, brand currency (Starbucks), media platform (Amazon Prime) ecc.

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Così, oggi, parlare di programma fedeltà e di catalogo premi risulta fuorviante e limitativo (si facciano un esame di coscienza le tante insegne della GDO che a questo si limitano…), perché sempre più la Loyalty deve essere elemento centrale della customer shopping experience. Non perché lo dica qualche studioso o manager, ma perché è il Cliente a chiederlo.

Già il caso Amazon Prime dimostra come vi sia oggi spazio per Loyalty scheme del tipo “pay to play”, ma la precondizione è che lo scheme sia un experience-scheme…

Dopo tutto oramai si parla non più di CRM ma di CXM (Customer Experience Management): affinché non si tratti di un’ennesima moda terminologica è però necessario che si produca una reale presa di coscienza dei cambiamenti in atto e delle incredibili opportunità connesse allo sviluppo di un nuovo paradigma della Loyalty,

Un nuovo paradigma che deve far convivere ragione e sentimento, pragmatismo ed emozione. Infatti agli elementi tangibili del programma (meccanismi di rewarding in primis) devono aggiungersi elementi intangibili, più afferenti le componenti di servizio ed emozionali per il singolo Cliente.

I prodotti sono in gran parte imitabili dai propri competitors, ma la relazione che si instaura col proprio Cliente non può esserlo. La Loyalty con la capacità di conoscere, misurare e capire il Cliente per offrire a questi quanto desiderato (o anche più di quanto desiderato) può così fare la differenza.

La Loyalty in sintesi non è affatto solo un algoritmo tecnico, né una card plastica, ma nemmeno un’app. E’ molto di più. La Loyalty è oggi chiamata a cucire tutti i touchpoints tra insegna e Cliente per disegnare un’autentica architettura relazionale.

Ma cosa serve alla Loyalty per fare questo salto di qualità? Una rivoluzione culturale che deve coinvolgere tutta la struttura interna del Retail.

I Loyalty Manager però non devono attendere che (miracolosamente) il proprio CEO bussi alla porta dell’fficio per chiedere aiuto e supporto.

Devono anzi uscire dalle proprie stanze (e dai propri powerpoint…) per dimostrare come la Loyalty possa aiutare l’insegna nelle proprie strategie e nel confronto con arene competitive sempre più affollate e difficili. La Loyalty deve parlare coi numeri.

Una volta “portati a bordo” i CEO servirà trasmettere il valore della Loyalty a tutto il field e alla persone che sono a contatto coi Clienti affinché siano tutti Loyalty ambassador. Nessun loyalty program può funzionare se non risulta in grado di ingaggiare per primi i propri dipendenti.

Basta guardare- e ancora una volta grazie a Cristina Ziliani per la capacità che ha di evidenziare i veri cambiamenti del mercato- il caso di Amazon Prime che diventando nei fatti non solo il loyalty program di WholeFoods ma soprattutto il vero collante di una fusione tra digital e brick&mortar- che tanti dubbi aveva suscitato- sta dimostrando l’incredibile potenzialità della Loyalty.

La Loyalty in sintesi può essere IL NUOVO CONTRATTO TRA RETAIL E CLIENTE, e come tale svolgere il ruolo di autentico baricentro nelle strategie aziendali, togliendo dal tavolo la domanda (stucchevole) se l’obiettivo sia il drivetostore o il drivetoweb, per sostituirla con un ben più concreta alternativa: il drivetous ;).

Il consumatore è pronto a sottoscrivere questo contratto. Il Retail?

@danielecazzani

 

RINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento a Comarch Italia che mi ha invitato a partecipare alla tavola rotonda che ha chiuso i lavori del LoyaltyLab2018.