DAL #CRM AL #SOCIAL CRM: L’ECOSISTEMA RELAZIONALE DEL CLIENTE AL CENTRO DELLE STRATEGIE DEL #RETAIL

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Paradossalmente esistono così tante definizioni di CRM che verrebbe da dubitare che sia a tutti chiaro di cosa si parli…

A seconda dell’angolazione infatti il CRM è visto da qualcuno come una strategia, da taluni come un processo, e da altri ancora come uno strumento tecnologico per gestire dati…

Partiamo da una breve frase di Kotler:

CRM is concerned with managing detailed information about individual customers and all customer “touch points” to maximize customer loyalty and improve the customer shopping experience.

In queste poche righe (illuminanti, come spesso accade con Kotler) troviamo tutti gli elementi fondanti del CRM:

  • detailed information (ricordando che … information is more than data)

  • individual customers

  • customer touchpoints (attenzione alla “s” plurale!)

  • customer loyalty

  • customer shopping experience

Quindi, trasformare le informazioni che possiamo raccogliere dai diversi touchpoint- attraverso i quali i singoli clienti entrano in contatto con noi- nella base per elaborare strategie volte alla massimizzazione della loyalty e al miglioramento della customer shopping experience.

Quando parliamo di touchpoints al plurale già dovremmo capire che pensiamo a molto più dei soli dati di acquisto che pure hanno costituito una ricca miniera di informazioni alla quale in tanti, troppi, finora non hanno saputo attingere con la necessaria convinzione e dedizione.

Partiamo infatti dai dati transazionali di negozio: importo di spesa, frequenza d’acquisto, composizione paniere d’acquisto, cross selling, adesione e partecipazione ai programmi loyalty… Inseriamo la variabile temporale per valutare andamento nel tempo di questi basici parametri per ogni singolo cliente e già ci troveremmo nelle condizioni di dover gestire un’immensa mole di dati con la conseguente possibilità di effettuare attività di targeting piuttosto sofisticate.

Aggiungiamo ancora informazioni derivanti dalla risposta del cliente alle nostre e-mail, sms o mailing cartacei.

O ancora la registrazione dei contatti dei clienti col customer service (web, call center, negozio ecc) o dati derivanti dalla navigazione sul nostro sito web o pagine social

Ecco così aumentare ancora la complessità dell’ecosistema di informazioni nel quale possiamo muoverci. E tutto senza guardare all’esterno della nostra realtà…

Eppure spesso queste informazioni rimangono in silos non comunicanti tra loro, impedendo il disegno di un reale e veritiero profilo/cliente e quindi la costruzione di efficaci strategie customer-centriche che abbiano cioè al centro il Cliente con le proprie esigenze.

Senza allargare lo sguardo al mondo esterno, fermiamoci ancora a pensare al CRM e al suo potenziale.

In primis qual è l’orizzonte del CRM?

Fino a poco tempo fa avremmo detto il medio-lungo periodo- e questo, onestamente, è stato un alibi per rifiutare tanti investimenti su questo fronte (meglio una promozione mass market tattica e subito misurabile si pensava…)- proprio perché il customer relationship management ha l’obiettivo di gestire una relazione continua col Cliente– senza concentrarsi sulla semplice singola transazione- e così porre le basi per un aumento della profittabilità dei Clienti.

E’ infatti dimostrato che più perdura la relazione col Cliente (fedeltà, ovvero esistenza di un rapporto) tanto più questa risulterà profittevole (fidelizzazione, ovvero intensità e qualità della fedeltà).

Ma oggi quella risposta, valida forse nella prima fase del CRM, non può essere che parziale.

La possibilità di processare efficacemente bigdata e gli strumenti informatici a disposizione permettono di trasformare rapidamente i dati in insight e questi in decisioni.

Decisioni rapide.

Da attuarsi con strumenti rapidi (non v’è che l’imbarazzo della scelta).

Inoltre siamo soliti sentire dire che il principale obiettivo del CRM è la retention, ovvero la capacità di mantenere il cliente all’interno dell’orbita relazionale (e transazionale) dell’azienda.

Personalmente credo sia un obiettivo importante, ma minimo

E’ infatti limitativo pensare che obiettivo del CRM sia solo quello di migliorare le opportunità per comunicare costantemente con i clienti, per fornire l’offerta corretta (meglio dire il contenuto oggigiorno), attraverso i canali di comunicazione più efficaci e adatti, nel momento e al tempo giusto.

Il singolo Cliente può, deve, essere visto come elemento di un ecosistema di relazioni.

E’ solo in quest’ottica che il Social CRM assume un ruolo centrale e può appieno contribuire alle strategie di un retailer.

Intendiamo con questo termine andare oltre il social media monitoring, inteso come processo col quale i Retailer monitorano i principali social network- come Facebook, Twitter…- per rilevare informazioni inerenti i prodotti/servizi commercializzati, citazioni del brand ecc.

Infatti monitorare i propri Clienti presuppone prima di tutto la conoscenza della loro customer journey.

Solo in questo modo è possibile individuare quali siano gli spazi social da monitorare.

Bisogna infatti stare attenti a non cadere nell’errore di concentrare l’attenzione solo sui social media “facili” da monitorare (Facebook in primis) solo perché siamo confidenti di ritrovare in essi una buona quota dei nostri Clienti.

La verità è che si dovrebbero monitorare i social nei quali i contenuti creati, gestiti e condivisi dai nostri Clienti siano rilevanti per il nostro business e la cui conoscenza ci permetterà di arricchire il nostro patrimonio informativo e conoscitivo sul singolo Cliente.

Questa azione va poi resa continuativa, perché per poter innescare un circolo virtuoso il Retailer deve essere in grado di apprendere in modo continuo dai propri Clienti.

La targetizzazione deve essere flessibile, come lo sono i consumatori.

Per quanto ci piacciono le etichette (e i cluster), innamorarsene può essere un errore.

Solo se il CRM riuscirà a costituirsi come unico serbatoio informativo sul singolo Cliente- un serbatoio non statico ma alimentato da insight in real time– allargando la visione all’ecosistema relazionale del Cliente potremo allora annotare un lungo (ma sempre parziale) elenco di nuovi obiettivi:

  • migliorare la shopping experience del Cliente nel negozio (o sulla piattaforma di ecommerce of course), migliorando l’efficienza e la professionalità della forza vendita, grazie alla condivisione della conoscenza del Cliente, che è patrimonio di tutti non solo del Marketing;

  • acquisire nuovi Clienti sia attraverso la leva dei Clienti già acquisti e fidelizzati, sia grazie alla definizione di lookalike audience con obiettivi di lead generation;

  • elaborare efficaci modelli di redditività del singolo Cliente, calcolandone ad esempio il Life Time Value;

  • perfezionare gli investimenti nei media di contatto, calibrandoli in base al contenuto e al target selezionato (ad esempio con azioni di retargeting);

  • valorizzare l’esperienza del Cliente per la proposta o il test di nuovi prodotti e servizi (anche con l’organizzazione di survey, focus group ecc)

Questo è in sintesi il vero obiettivo del CRM: creare maggiore valore per il singolo Cliente e per il Retailer.

@danielecazzani

NOTA FINALE

L’immagine riportata a inizio post è il risultato della ricerca della parola “CRM” su Google. Simpatici disegni, icone, chart, ma nessuna persona reale

Ecco perché invece come immagine di copertina ho voluto inserire il volto intenso di un uomo qualunque* che quasi si chiede “quando parli di CRM parli di me?” Perché i nostri Clienti sono Persone e non tutti sono Millenials 😉

* uno scatto del giovane fotografo francese Philippe Echaroux che nelle vie di Parigi (ma non solo) ha fotografato persone comuni ma con la medesima attenzione e cura degli scatti più cool per vip e personaggi famosi…)

https://petapixel.com/2012/11/25/shooting-studio-portraits-of-strangers-on-the-street-as-if-they-were-famous/

Il più evoluto sistema di CRM si chiama… Mario!

Riconosce i Clienti appena entrano nel negozio (ancora meglio di AmazonGo). Ne ha memorizzato i gusti, i precedenti acquisti, ed è così che sa proporre mirate proposte promozionali o azioni di cross selling. Sa individuare i clienti per test e survey, perché è conscio che il vero giudice di qualsiasi innovazione è il Cliente. Ed è in grado di mapparne le interazioni sulle proprie pagine social.

In sintesi mixa le principali caratteristiche di un moderno CRM- ascolto, dialogo, coinvolgimento, profilazione e misurazione- con l’unico obiettivo di migliorare la customer shopping experience e costruire, partendo da questa, strategie efficaci, dinamiche, flessibili, tailor made (cucite sul singolo cliente).

Questo sistema non è in cloud, e non stato progettato da qualche start-up americana (né tantomeno italiana o europea), ma è il frutto… dell’amore di Monica e Carlo, due appassionati commercianti.

Questo “sistema” si chiama infatti Mario.

E’ il figlio di Monica e Carlo- ne ha ereditato il negozio- ed è il titolare di una gastronomia di cui da anni sono affezionato cliente (nonché involontario testimone dell’efficacia del suddetto sistema).

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Purtroppo Mario è un “sistema” non replicabile né esportabile.

Mi si perdoni quindi il divertissement iniziale, ma il tema del CRM è per me fondamentale soprattutto in realtà dove non si può fare affidamento sulla singola Persona, ma, come nelle moderne e complesse realtà retail, deve essere la struttura e la cultura organizzativa a costruire un efficace “sistema” di relazione col Cliente.

Se si è davvero convinti che le strategie debbano sempre più essere customer-centriche e che il focus debba sempre più essere il Cliente- cose che sento ripetere ovunque…- per quale motivo il CRM stenta a diventare vero motore delle strategie aziendali- penso qui a tante realtà retail- rimanendo invece, spesso, una “riserva” del marketing?

A mancare non sono certi gli strumenti tecnologici, ma forse più la volontà di compiere un passo culturale verso quei Clienti- siano essi boomers, generazione x, millenials…- che chiedono di essere ascoltati, che si organizzano in comunità attorno ai brand preferiti e che pretendono sempre più una nuova relazione.

Il paradosso è che Mario lo aveva capito anni fa senza partecipare ad alcun convegno…

@danielecazzani

 

Il #marketing è una vera barba! Le 3 “C” della #customer #shopping #experience (tra #barberie e #retail)

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Negli ultimi anni, anche grazie alla diffusione della moda (o, meglio, cultura) hipster, si sta riscoprendo l’arte della barba e con essa il lavoro del barbiere. Non che il barbiere fosse mai scomparso, ma dopo anni in cui hanno imperversato i negozi unisex, la riscoperta in questo settore si concretizza nel rinascita di spazi riservati all’uomo, in cui la cura della propria barba diviene simbolo del prendersi cura di sé.

In questo ambito, quando si parla di barberie si utilizza impropriamente la parola “rito” che rimanda a una dimensione quasi religiosa: norme rigide e ripetitive che regolano un avvenimento.

Le nuove barberie sono invece un luogo di esperienze sempre diverse, sempre nuove, dove ci si sente al centro dell’attenzione e il tempo si dilata; sensazione ben diversa rispetto a tanti saloni di haircare dove la sensazione è spesso quella di trovarsi all’interno di catene di montaggio di matrice fordista.

Stiamo parlando di customer shopping experience. Vediamo di approfondire il tema, declinandolo in ambito retail, partendo da una definizione.

La letteratura accademica e manageriale in questo ambito è ricca e spesso contraddittoria tra una fonte e l’altra; pertanto ho deciso di proporre una mia lettura su questo tema, attingendo alla mia esperienza in ambito retail.

A mio avviso le componenti fondamentali della customer shopping experience, sono riassumibili in tre C:

  1. CONTATTO

  2. CONTESTO

  3. CONTENUTO

Partiamo dal primo, ovvero dalla fondamentale dimensione relazionale. All’interno di un negozio fisico, piuttosto che su attraverso l’accesso a un sito di e-commerce o il contatto con una chat di supporto o ancora un call center (ma l’elenco potrebbe continuare ancora per molto…) la prima consapevolezza che ogni retailer dovrebbe avere è che ogni CONTATTO con un cliente è un incontro.

Ovvero un momento di conoscenza (reciproca), di scambio (di informazioni e di emozioni).

Al centro di questo momento sono le persone, non le tecnologie. Non è infatti il media di contatto a determinare l’experience ma la relazione che vogliamo costruire. Anche quando il contatto è filtrato da un media infatti, non dobbiamo mai dimenticare che questi sono strumento per delle persone.

La domanda fondamentale qui è che tipo di relazione vogliamo costruire col nostro cliente. Di amicizia e condivisione di valore? Più distaccata e formale? Di guida? E tradurre poi questa scelta in maniera coerente su tutti i propri touchpoint, sia fisici (il negozio) che virtuali (il sito, la pagina facebook..).

Si tratta di condividere con tutte le risorse della propria organizzazione una visione, una cultura. E la condivisione non può che passare da una formazione che metta al centro le persone.

La relazione si svolge in un CONTESTO, che può essere fisico o virtuale. La coerenza tra contatto e contesto è fondamentale per la costruzione di una customer shopping experience forte e memorabile.

Le persone non possono mai scindersi dall’ambiente in cui si trovano e questo influenza tutto quello che avviene. Ecco perché la progettazione degli spazi di un negozio, piuttosto che il disegno dell’architettura di un sito di e-commerce, devono partire non dal prodotto o servizio offerto ma da un’idea chiara dell’experience che si vuole offrire ai propri clienti.

Guardandosi attorno è evidente che molta strada deve ancora essere fatta da questo punto di vista.

Inoltre, per quanto possa essere importante il ruolo del contatto, sarebbe illusorio pensare che questo possa da sé sopperire a grandi deficit nella costruzione dell’ambiente: chiedere al personale di un ristorante di usare i guanti bianchi in una sala con tavoli traballanti e piatti sbeccati, produce un effetto di enfatizzazione del contrasto tra gli elementi che non può che determinare una pessima customer experience.

Il contesto a sua volta si alimenta dei contatti che in esso trovano spazio. Anche il contesto cioè- che sia negozio o sito o pagina social- deve divenire uno spazio in continuo apprendimento, che cresce e si aggiorna insieme ai clienti che ospita, non un contenitore rigido.

Vi sono ulteriori elementi non fisici che contribuiscono a disegnare il contesto: la comunicazione pubblicitaria e la narrazione di marca. Entrambe hanno lo scopo di rappresentare il contesto nel quale si vuole accogliere il cliente. Entrambe devono assolutamente essere coerenti col contesto reale che il cliente si troverà nel momento in cui entrerà in contatto con l’insegna.

Ho lasciato il CONTENUTO (ovvero il prodotto o servizio offerto) come terzo elemento, non certo perché meno importante degli altri, ma piuttosto perché è in base a questo che gli altri due vanno costruiti ed elaborati, creando così una matrice tra contatto e contesto che risulti coerente ed efficace.

Il rischio da evitare è lo spaesamento del cliente dovuto a un mancato dialogo tra le 3 C. In questo caso l’effetto è una mancata chiara percezione della proposta del retailer, cui spesso tatticamente si risponde con attività di advertising, o tattiche promozionali; con l’unico effetto di mettere sul tavolo elementi che anziché chiarire rischiano solo di complicare la situazione.

Pensiamo ad esempio a una banca (settore ancora lontano dal fare propria un’autentica cultura retail, ma questo sarebbe altro tema…) che tramite la comunicazione pubblicitaria e la propria narrazione si propone come aperta, smart e disponibile per i propri clienti. Se il cliente una volta che entra in una filiale si trovasse di fronti ad ambienti chiusi, dove ci si sente trattati come un codice iban piuttosto che come una persona, ecco che l’effetto sarebbe quello di determinare una pessima customer experience.

Per questi motivi, come già accennato, potremmo considerare la COERENZA come la quarta C: un elemento cioè altrettanto fondamentale per disegnare con attenzione l’experience dei propri clienti.

In conclusione quello di cui stiamo parlando è strategia, non tattica. Visione, non adattamento al contesto.

Si tratta certamente di un elemento cruciale per un moderno retailer, che presuppone una focalizzazione (vera, non a parole) sulla più importante delle C, che finora abbiamo solo citato tra le righe: il CLIENTE.

@danielecazzani

NOTA FINALE

Se mai qualcuno si chiedesse come è nata questa riflessione, ecco qui la risposta.

Pur non con l’assiduità che desidererei (l’agenda oltre a rovinare spesso le cene serali mi costringe a look da guerrigliero cubano…) sono da alcuni mesi cliente di una moderna barberia di Pavia: Sir Modern Barbershop (sir-modernbarbershop.com). Uno spazio di raffinata semplicità, costruito attorno ai clienti, dove per sentirsi a casa si impiegano pochi istanti, e dove protagonisti assoluti, non sono tanto gli arredi ricercati e caldi, ma i gesti di giovani professionisti che hanno saputo riscoprire e attualizzare un mestiere che rischiava di soccombere in nome di una controversa modernità.

Osservare il loro lavoro, mi ha portato fin qui…

#bigdata, #bigfoot e… #bigbubble. La conoscenza del cliente nel #loyalty #retail

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In tanti dicono di averli visti, ma in pochi nella realtà ne saprebbero documentare la reale conoscenza…

Il destino del bigfoot sembra stranamente assomigliare a quello dei bigdata, di cui si parla molto- soprattutto in convegni, ricerche e workshop- e nel quale la maggior parte delle aziende retail giura di credere. E di investire sempre di più come testimoniano ricerche recenti (vedi http://www.techweekeurope.it/data-storage/forrester-crescono-gli-investimenti-in-big-data-98697), pur rappresentando ancora una quota minima degli investimenti IT.

Prima però di vedere quanto viene investito in questa “nuova frontiera”, la domanda da porsi è perché lo si faccia, o meglio ancora, quali siano gli obiettivi che attraverso i bigdata si possano conseguire.

E’ infatti piuttosto evidente che l’interconnessione tra diversi sistemi attraverso i quali transitano i dati delle transazioni e dei profili dei clienti, unita alla multicanalità del consumatore, siano dei fantastici generatori di dati, di fronte alla cui mole però la reazione può essere paradossalmente di stallo.

Partiamo da due (mai troppo banali) considerazioni preliminari:

  1. la conoscenza del Cliente è un patrimonio inestimabile per il Retail

  2. la carta fedeltà è lo strumento centrale della strategia di relazione e conoscenza col Cliente

Se la prima asserzione troverebbe tutti d’accordo, nella realtà dobbiamo registrare come in tanti casi la situazione sia ancora ferma, con retailer che dimostrano di considerare il cliente un unico soggetto, senza attività specifiche per distinti target; e senza che le analisi dei comportamenti d’acquisto (o non acquisto) incidano sulle scelte commerciali, promozionali, di assortimento ecc.

Lo testimoniano i grandi investimenti in campagne promozionali e media mass market, e l’ancora ridotto peso degli investimenti nel CRM.

La carta fedeltà, a sua volta, è ancora troppo spesso un’appendice delle strategie aziendali: un qualcosa che si deve avere in una short list degli strumenti di marketing da spuntare, ma della cui reale utilità molti paiono dubitare…

Quello che manca è talvolta la consapevolezza che alla base di un programma loyalty vi deve essere un semplice patto col Cliente, un sorta di moderno do ut des. Il Cliente permette di analizzare il proprio comportamento d’acquisto se in cambio di questa analisi, il retailer si dimostra in grado di offrire una migliore esperienza d’acquisto fatta ad esempio di promozioni più efficaci e servizi dedicati.

Altrimenti il rapporto risulta sbilanciato e, nell’epoca del prosumerismo, i clienti non sono più disposti a premiare chi li consideri dei semplici numeri.

La conoscenza del cliente può aiutare i retailer nella definizione delle proprie strategie e soprattutto nello sviluppo dei propri programmi loyalty, ma affinché ciò avvenga sono necessari tre elementi:

  • una chiara definizione degli obiettivi. Navigare nel mare magnum dei dati può essere oltremodo faticoso e oneroso, se non si hanno chiari quali siano i dati rilevanti per il proprio business…

  • la costruzione di metriche/kpi’s che permettano di misurare le perfomances delle diverse attività. Bisogna andare oltre le valutazioni manageriali di pancia e avere il coraggio di leggere e analizzare dati, anche quando, come uno specchio di mattina, non ci restituiscono l’immagine dei nostri sogni…

  • la condivisione di una cultura aziendale del dato e della loyalty che parta dal CEO e arrivi fino a tutto il personale del negozio. Senza il supporto delle persone, nessuna infrastruttura IT può essere in grado di dare vita a un efficace programma di loyalty.

E tutto questo senza più confini tra negozio fisico, piattaforme social, sito di e-commerce.

Sono confidente che questi e altri temi emergeranno venerdì 21 a Parma nel corso dell’annuale convegno dell’Osservatorio Fedeltà promosso dall’Università di Parma (www.osservatoriofedelta.it) perché la sfida è cruciale per disegnare il futuro del loyalty management: evitare che i bigdata si trasformino nell’ennesima… bigbubble senza cioè mai trasformarsi in driver dei processi manageriali, è l’ambizioso obiettivo che, prima ancora dei propri fornitori di soluzioni IT, i retailer più avveduti oggi si devono dare.

@danielecazzani