UNA VECCHIA CABINA TELEFONICA E L’E-COMMERCE GROCERY

DA MARK-UP N. 309

Negli ultimi anni, sopraffatta dalla crisi del non food assediato dall’avanzata dell’e-commerce, buona parte della grande distribuzione si è rifugiata nel mondo del grocery e dei freschi- con puntate perfino nella ristorazione- sperando di trovare in quello spazio un’oasi di tranquillità al riparo da Amazon & c.

Un comportamento umano- troppo umano, direbbe Nietzsche- che avevamo visto in passato in altri settori. 

Pensiamo a quanto accaduto nelle tlc dove l’avvento della telefonia mobile ha sconquassato un settore che si considerava intoccabile, trasformando in pochi anni le cabine telefoniche in un prematuro esempio di archeologia industriale.

Oppure pensiamo alle banche che- molte ancora oggi- guardano con distacco il mondo delle web-bank pensando sia destinato a rimanere una nicchia, mentre fra non molti anni le filiali bancarie- già sotto scacco per le fusioni nel settore- saranno immobili da convertire a kebab (o quant’altro) e poco dopo toccherà ai bancomat…

La mia raccomandazione alla GDO quindi è di aprire gli occhi prima che sia troppo tardi, evitando di pensare che vi siano oasi tranquille.

Beninteso, non dico affatto che tutto sia ineluttabile, ma nascondere la testa sotto la sabbia non aiuta certo ad affrontare il futuro per il quale servirebbe rivedere lo stesso paradigma della distribuzione così come oggi la intendiamo. C’è forse qualcuno che si sente di affermare che il settore abbia conosciuto importanti innovazioni negli ultimi anni? Basterebbe guardare la propria cassetta postale zeppa di volantini promozionali o un ipermercato per avere seri dubbi sulla fondatezza di una tale affermazione.

@danielecazzani

IL RETAIL E IL SACRO GRAAL (L’ENNESIMO) DELLA GENERAZIONE Z

Ipsilon, Millennials, Zeta, Alpha… Alzi la mano chi di fronte al fiorire dei nomi delle nuove generazioni non avverte spesso una sensazione di spaesamento.

Soprattutto in questi ultimi anni il retail si è concentrato sulle ultime arrivate di questa lunga (infinita) lista, nel tentativo di diventarne interlocutore e conquistarne fiducia e portafoglio.

Gli studi sociologici su queste ultime generazioni per comprendere quali siano ne siano le caratteristiche valoriali e di approccio al consumo si sprecano. Oltre alla scontata dimestichezza con tutto ciò che è digitale– il sottoscritto, invece, può ancora ricordarsi lo stupore nel giocare a Space Invaders con la prima consolle Atari 2600- gli studi raccontano di come siano molto attenti alla sostenibilità sociale e ambientale, alle esperienze da condividere più che ai consumi da ostentare e naturalmente… social.

Il fatto che si tratti di generazioni con un minore potere d’acquisto- molti sono infatti ancora studenti e dipendenti dalle famiglie- sembra interessare poco il retail che negli anni ha moltiplicato i touchpoints per prendere all’amo questi consumatori e vendere loro qualcosa, trascurando forse troppo la loro ricerca di ascolto e dialogo che i sociologi invece non mancano mai di sottolineare.

Anche in questo caso il retail ha dimostrato spesso di muoversi in base a un riflesso condizionato più tattico che strategico: come nel caso dell’adozione delle nuove tecnologie (quanti siti di e-commerce abbiamo visto nascere senza considerarne i connessi aspetti logistici!?) anche alla parola d’ordine “la generazione z deve essere nostra!” abbiamo registrato una fioritura di iniziative approssimative con brand dalla secolare tradizione tentare goffe e poco credibili virate verso linguaggi e marketing da startupper.

In tutto questo affaccendarsi il retail rischia spesso di perdere di vista uno dei tasselli fondamentali di qualsiasi strategia di marketing che è la definizione del proprio target.  Pensiamo ad esempio alla GDO, per cui la demografia dovrebbe contare davvero poco: nelle corsie di un supermercato si vedono giovani studenti e coppie di anziani, così come single o famiglie con bimbi al seguito. Insomma uno spaccato della nostra società.

Immaginare di parlare solo a una porzione di quei clienti può essere pericoloso così come illudersi che basti personalizzare il linguaggio (anziché il messaggio) in base all’età del cliente: il rischio, in quel caso, sarebbe una cacofonia di difficile interpretazione.

Inoltre dobbiamo considerare come anche le ricerche che prima citavo siano spesso riassunte in fotografie alquanto semplicistiche delle diverse generazioni.

Scorrendo questi riassunti scopriremmo ad esempio come i baby boomers risultino essere persone affezionate ai brand, con reddito medio alto, salvo poi riflettere sul fatto che buona parte sono oggi pensionati (con limitata capacità di spesa)…

Personalmente credo che il retail dovrebbe fare proprio l’approccio di Amartya Sen che (nel suo famoso saggio “Identità e violenza” dall’ancora più profetico sottotitolo “L’illusione del destino”) metteva in guardia dall’applicare semplicistiche etichette a una persona (o a una generazione, nel nostro caso).

Il lockdown ad esempio ha portato a una (forzosa) digitalizzazione anche dei baby boomers che non hanno impiegato molto a trovarsi a loro agio negli spazi dell’e-commerce: anzi, recenti analisi, dicono proprio che una quota importante della crescita dell’online sia imputabile a questi nuovi adopters. In pratica la loro fotografia si è rapidamente modificata.

In conclusione, il retail, questo è il mio modesto suggerimento, dovrebbe capire quanto sia sbagliato concentrarsi solo su una generazione (solitamente l’ultima) o credere ciecamente alle etichette sociologiche: fare retail significa parlare col singolo cliente non con una “generation” quale che sia.

@danielecazzani

DAL NUMERO 305 DI MARK-UP

IL VALORE DELL’EMPATIA E IL CENTRO DI GRAVITA’ PERMANENTE DEL RETAIL

MIO ARTICOLO DA MARK-UP N.304

Il 2020 ha registrato una crescita impetuosa dell’e-commerce soprattutto nei prodotti (anche grocery). Questa crescita- certamente accelerata dal lockdown rispetto ai trend pre pandemia- non ha accennato a diminuire per tutto il 2021: oramai sono consolidate nuove abitudini di acquisto da parte dei consumatori, non solo da parte delle fasce più giovani d’età.

Questa accelerazione ha costretto di fatto moltissimi retail a non considerare più il sito di e-commerce come il canale “cenerentola” della propria strategia commerciale ma, al contrario, come efficace soluzione per compensare le criticità della propria rete fisica, investendo in esso una parte consistente dei budget.

Ora bisogna evitare il rischio che il focus si concentri sull’e-commerce dimenticando il retail brick & mortar che anche le nuove generazioni dicono comunque di preferire per le proprie esperienze di acquisto.

Quello che serve è trasformare anche il retail b&m in un… e-commerce, dove la “e” però stia a significare “empatia”.

La possibilità di costruire relazioni umane in tempo reale resta il punto di forza del retail fisico: di fatto l’empatia- che qui interpreto come predisposizione all’ascolto e alla scoperta dei desideri e delle necessità del cliente- costituisce la versione umana dell’intelligenza artificiale.

Una persona che entra nel negozio deve diventare in quel momento il centro di gravità dell’intero store. Ogni ingresso è opportunità per un incontro.

Perché ciò accada serve però investire sulle proprie risorse per costruire questa cultura dell’empatia e riscoprire il vero potenziale dei negozi.

Quanto stanno investendo i retailers in questa direzione?

@danielecazzani

AI CENTRI COMMERCIALI SERVONO UMILI RAMMENDATORI, NON SPOCCHIOSI ARMATORI

Vedo tanta euforia per la riapertura dei centri commerciali nei fine settimana. Uno stato d’animo certamente giustificato vista la prolungata (e, da tanti punti di vista, ingiustificata) chiusura nei giorni della settimana da sempre più importanti per il commercio.

Tanti operatori confidano nel cosiddetto revenge shopping come acceleratore di questa ennesima ripresa che arriva all’inizio di una stagione estiva su cui tanti ripongono molta fiducia in attesa dei saldi estivi.

Come già capitato in passato temo però che la tentazione di sperare in un ritorno al passato sia una pericolosa illusione.

Basterebbe leggere le ultime ricerche per capire quanto la società italiana esca più povera e comunque provata da questa lunga crisi con un aumento di oltre un milione di disoccupati e i poveri assoluti vicini a quota sei milioni; temi di cui si è smesso di parlare da quando il dibattito si è concentrato sulla possibilità di fare o meno uno spritz all’interno dei locali.

Questi numeri, che stridono con la crescita dei risparmi e della raccolta di fondi di investimento, non possono essere ignorati.

Inoltre l’approccio al consumo in quest’ultimo anno è certamente cambiato con una maggiore attenzione al risparmio- ne è una testimonianza la crescita dei discount e degli specialisti drugstore- e una forte modifica dei canali con la scoperta dell’e-commerce (in forma paura o ibrida) da parte di milioni di consumatori.

Per usare una metafora, il mare del commercio è cambiato e potrebbe quindi rivelarsi frustrante gettare in acqua le vecchie e logore reti per accorgersi che non sono in grado di raccogliere quanto sperato…

Torno così ai centri commerciali che da enormi e gioiose cattedrali dello shopping per lunghi mesi sono state trasformate nei weekend in spazi vietati ai più con lunghi corridoi di saracinesche abbassate, luci spente e un silenzio rotto solo dal rumore di qualche carrello della spesa alimentare.

In questa prima fase di piena riapertura noto molti centri commerciali giocare la carta del risparmio, provando faticosamente a coalizzare le tante anime commerciali dei mall attorno ad operazioni a premio, concorsi o formule votate comunque alla convenienza.

Ho detto prima che il tema del risparmio sarà certamente importante ma non credo risolutivo.

I gestori dei centri commerciali più che immaginarsi quali attori commerciali tout court (non si offendano, ma non hanno la cultura di un retailer…) dovrebbero lavorare per armonizzare (non provare a guidare) le iniziative dei singoli e investire nel disegno di servizi a supporto dell’esperienza dei clienti, tema che finora in pochi hanno affrontato confidando solo nella varietà dei negozi e nella presenza di una food court per fare attrazione.

Per tornare alla metafora del mare le società di gestione delle grandi strutture commerciali dovrebbero quindi dismettere i panni di grandi armatori (alias meri operatori immobiliari) per indossare quelli più umili (ma estremamente utili) dei rammendatori, occupandosi della riparazione delle reti e impegnandosi, con perizia e pazienza, nella connessione delle diverse reti per intercettare un consumatore sempre più sfuggente ed esigente.

In questo nuovo, e ancora burrascoso, mare serve umiltà per sperare in una pesca proficua.

@danielecazzani

Il dizionario (impossibile) del retail – O come Omnichannel

Ogni giorno il retail inventa nuove parole. Racchiuderle in un dizionario è compito quasi impossibile. Ma proviamoci 😉 partendo dalla lettera “o” come “Omnichannel”

IL LUNGO INVERNO DEL RETAIL (MarkUp n.296)

Nello scorso autunno quando si iniziava a parlare di “new normal” ci siamo purtroppo accorti che di “normal” vi era ben poco: dapprima i coprifuoco serali, quindi il carosello dei colori delle regioni italiane, poi la chiusura dei centri commerciali nel week-end e della ristorazione, hanno avuto l’effetto di ravvolgere le lancette del tempo riportandoci laddove avevamo sperato di non trovarci più.
Una lunga sequenza di avvenimenti cui si è sommata una drammatica frenata nei consumi (sopratutto non alimentari) e un riequilibrio nei canali di vendita- con la portentosa accelerata dell’e-commerce- che ha ridisegnato il panorama del Retail.


Un riassetto destinato a non essere recuperato.

Il Retail infatti non può permettersi il lusso di rinchiudersi in una caverna, in letargo, in attesa che tutto torni come prima.
Quanto successo- inutile nascondersi dietro il semplicistico detto che ogni crisi è un’opportunità- ha messo e metterà a rischio tante realtà e che ha già avuto l’effetto di sconvolgere i piani di mid-term di tanti Retailers.
Questa è forse la prima volta nella storia moderna del Retail in cui una profonda rivoluzione non è dettata da un’innovazione tecnologica quanto da un elemento esogeno e, per questo, ancora più difficile da gestire, proprio perché impatta sui comportamenti di acquisto, sulla psicologia del consumatore, sul ruolo dello store fisico e via dicendo. Una vera e propria sfida che dovrebbe essere affrontata in primis partendo dalle organizzazioni, dalle persone e dai propri clienti.
Certo, non è detto che mettere al centro delle proprie strategie il cliente e la sua esperienza risolva da domani tutti i problemi, ma sarebbe la scelta corretta per non farsi trovare impreparati all’arrivo della tanto auspicata primavera.

@danielecazzani

IL RETAIL DEVE FARE ROTTA VERSO IL CLIENTE IN QUESTO MARE INCERTO (MA NON CHIAMIAMOLO DESTINO…)

A fine anno si è soliti fare il consuntivo di quanto accaduto nei mesi precedenti e le previsioni (che spesso confondiamo coi nostri buoni propositi) per l’anno che verrà.

Il 2020- con la maledetta comparsa nelle nostre vite del coronavirus- ci ha insegnato come le previsioni (sia nell’area personale che in quella professionale) siano deboli come foglie al vento dell’autunno in un contesto in continuo, inarrestabile e imprevedibile mutamento. Ovviamente questa consapevolezza e quanto successo- ovvero i trend immaginati dai guru del marketing spazzati via come carta straccia…- non devono portare il Retail ad assumere una posizione attendista o, peggio ancora, fatalista.

Oggi più che mai è necessario definire delle proprie strategie per affrontare questo difficile momento, esattamente come di fronte a una tempesta in mare aperto la soluzione non è attendere di vedere dove ci porteranno le correnti- scelta perdente a prescindere!- quanto disegnare una propria rotta e scegliere le vele più adatte e, nel contempo, chiamare alla massima unità d’intenti tutto l’equipaggio.

Nel delicato equilibrio di una barca nella tempesta o di un’’organizzazione in un momento di crisi, lo scollamento di singoli elementi può risultare fatale.Ripartiamo quindi dalle persone: mettendole a centro delle strategie, coinvolgendole nelle scelte, senza raccontare la favola del “un pò di pazienza e tutto tornerà come prima”, ma condividendo in modo trasparente le difficoltà e le opportunità che questo momento offre.

Come ha insegnato la rivoluzione dello smart working a tante organizzazioni si può lavorare in modo diverso e anche migliore, anche quando le scelte sono forzate da elementi esterni.E’ proprio al contesto esterno che bisogna avere il coraggio di guardare, per capirne il nuovo assetto.

Devo però confessare che termini come “new normal” personalmente non mi appassionano, perché troppo spesso ci si concentra solo su alcuni degli effetti di superficie che la crisi innescata dal Covid-19 ha comportato come la crescita dell’e-commerce. Guarda caso solitamente l’attenzione si concentra sugli elementi positivi e non ad esempio quelli negativi come l’aumento dei lavoratori in cassa integrazione, la riduzione della propensione al consumo e l’inasprimento delle differenze sociali…

Senza quindi distogliere lo sguardo dalla realtà che lo circonda credo il Retail abbia oggi l’opportunità- ma vorrei dire l’obbligo- di tornare a focalizzarsi su due aspetti fondamentali.Innanzi tutto i propri clienti. E’ giunto il momento che una parola quale “customer experience” si traduca in reali progetti. I retailers devono compiere un grande sforzo per disegnare le journeys dei propri clienti (il plurale è già indice della difficoltà del compito in un mondo omnichannel…), misurare l’efficacia della customer experience che offrono (quanti ancora oggi non misurano l’NPS, che possiamo considerare un primo tassello in questa direzione?), e continuare a migliorarla e arricchirla- ascoltando i feedback dei propri clienti e osservando la concorrenza e il mercato anche fuori dai confini del proprio settore- in un processo di learning by doing che coinvolga appieno tutte le funzioni aziendali.

Solo un questo modo, mettendo al centro dell’attenzione il cliente, il Retail potrà affrontare il nuovo contesto dando un senso alla sua presenza brick & mortar laddove le relazioni tra persone possono fare la differenza.

Il secondo aspetto è legato alle promozioni. Penso sia giunto il tempo di ridefinirne il ruolo: non intendo con questo certo dire che il prezzo non sia più un driver importante nelle scelte dei consumatori, ma prezzo non equivale a promozione. Così come promozione non per forza deve equivalere a taglio prezzo. Anche in questo ambito il Retail è chiamato a innovare passando da approcci mass market ad approcci tailor made, con promozioni (che possono essere intesi anche come nuovi servizi) ritagliate sui bisogni dei singoli così che siano davvero rilevanti e orientanti nelle scelte di consumo.

In conclusione, se nemmeno questa crisi avrà avuto la forza di far cambiare strategie a tanto Retail temo che nei prossimi mesi vedremo sempre più saracinesche abbassate. In quel (drammatico) caso potremo forse dare la colpa anche a qualche DPCM, ma non certo al solo destino…

@danielecazzani

IL FUTURO DEL RETAIL E’ NEI GIOVANI

Poco più di un mese fa (tempus fugit!) ho avuto il piacere- su invito di Cristina Lazzati, direttrice di MarkUp, GDOWeek- di tenere lo speech introduttivo del Master Retail Marketing and Sales Management organizzato da 24ORE Business School di fronte (virtualmente sic!) a tanti giovani che saranno protagonisti del #Retail di DOMANI. 

Non mi ritengo un guru quindi non ho portato loro le mie “verità” (ho sempre più DOMANDE che risposte…) ma mi sono permesso di dare loro 3 piccoli suggerimenti (che nella mia esperienza sono stati preziosi):

• Pensare come CLIENTI (non solo come manager)
• PARLARE coi propri clienti (fonte inesauribile per imparare a fare retail)
• Essere sempre CURIOSI (guardando competitors, leggendo ricerche sociologiche ecc)

Oggi più che mai il Retail ha bisogno di nuove ENERGIE per guardare al FUTURO 😉

IL RETAIL E IL DECAMERON AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

DA MARKUP N.290

Nel XIV secolo Boccaccio scrisse il famoso Decameron: una raccolta di cento novelle che ruota attorno all’esperienza di dieci ragazzi e ragazze che per sfuggire la peste del 1348 si rifugiano nella campagna fiorentina occupando le giornate, tra le altre cose, raccontandosi storie ispirate ai loro tempi.

Le lunghe settimane di lockdown- durante la fase 1 della crisi coronavirus che possiamo paragonare, mi sia concesso, alla peste del ‘300- hanno costretto milioni di Italiani a casa; non sappiamo ancora se nei prossimi mesi e anni vedranno la luce opere di simile valore  😉 ma sappiamo quanto smartphone e social abbiano permesso a noi tutti di rimanere in contatto in tempo reale con amici e conoscenti pur lontani da noi.

Quel che sappiamo è che i retailer hanno avuto l’occasione di costruire rapporti e di dialogare coi propri clienti non per proporre un acquisto ma su altri asset, quali la condivisione di valori (tema tanto decantato negli ultimi anni), utilizzando quali canali i social network.

Dobbiamo però ammettere che in pochi casi questo sia avvenuto in modo efficace.

Molti retailer hanno preferito investire in (spesso) melensi e retorici spot televisivi, vuoti di significato e promesse, riducendo nel frattempo la capacità dei propri customer service di dare risposta a clienti spesso frastornati dai vari dpcm e alla ricerca di informazioni sull’apertura di un negozio piuttosto che sulla “sorte” di un proprio ordine online.

Invece mai come ora, coi propri negozi chiusi e i siti di e-commerce (laddove presenti) in tilt, vi sarebbe stata la necessità di aprirsi al dialogo, all’ascolto.

Chi ha avuto il coraggio di dialogare coi propri clienti ne trarrà beneficio per i mesi e anni a seguire: domani, più ancora che ieri, i clienti chiederanno ai retailer e ai brand di essere presenti non solo durante un’acquisto in negozio o online ma anche nella vita di tutti giorni.

 

@danielecazzani

LE PROMOZIONI DEL FUTURO. IL FUTURO DELLE PROMOZIONI.

Venerdì 29/5 ho avuto il piacere e l’onore di partecipare a una roundtable webinar organizzato da Retail Institute Italy e moderato da Andrea Demodena di Promotion Magazine sul tema delle promozioni post-covid.

Quello delle promozioni è un tema a me certamente caro, non solo perché me ne occupo professionalmente da molti anni, ma anche perché ritengo siano una delle “armi” più importanti di cui dispone il Retail. Un’arma oggi spuntata, che necessita di essere nuovamente forgiata tenendo conto che non siamo più nel XX secolo e che tante cose sono cambiate (molte lo erano già prima della recente crisi: a tal proposito invito a leggere l’articolo Retail Apocalypse del Prof.Tirelli).

Qui di seguito alcune mie considerazioni che riprendo dall’articolo pubblicato sull’ultimo numero di Promotion Magazine.

 

Insieme delle attività volte a incrementare la vendita di un prodotto”: questa è la definizione di “promozione” che si può trovare su un qualsiasi dizionario. Per quanto questo termine racchiuda in sé diverse meccaniche, negli ultimi anni l’attenzione si è erroneamente spesso focalizzata solo sul taglio prezzo, mettendone in evidenza la sempre minore efficacia. Affermazione valida sia nel comparto della grande distribuzione che negli altri comparti del retail, in cui l’utilizzo della leva degli sconti è stata di anno in anno incrementata a scapito dell’efficacia (pensiamo al fenomeno Black Friday).

Questa grande attenzione al tema sconti ha rischiato di lasciare in secondo piano altre leve promozionali che la recente crisi richiede di portare al centro dell’attenzione.

Ma ripartiamo dalla minore efficacia della promozione di prezzo, evidenziandone quattro cause.

In primis una sempre maggiore concorrenza: basta guardare il proliferare di volantini della GDO nella propria cassetta postale o alle email con sales, e special discount che affollano la propria casella di posta elettronica.

In seconda battuta un utilizzo sempre più esteso della leva promozionale: se si è in continua promozione difficile lamentarsi della loro ridotta efficacia; pensiamo ancora ai saldi anticipati da promozioni quali le mid-season promotion o ai ai pre-saldi.

Terzo, l’illusione che le promozioni potessero moltiplicare il potere di spesa dei consumatori  trasformare in successi le migliaia di inutili prodotti lanciati ogni anno su un mercato sempre più saturo (pensiamo all’over-stock che questo trend ha causato nel mondo dell’elettronica).

Infine un nuovo atteggiamento dei consumatori che da anni hanno smesso di guardare al solo prezzo come stella polare delle scelte, ma sono sempre più attenti alle componenti di esperienza e al value for money (leggere alla voce crescita dei category killers e all’esplosione dell’e-commerce).

Veniamo all’oggi e al nuovo scenario che la crisi covid-19 lascerà in eredità.

Le promozioni di prezzo potranno nel breve rispondere alle difficoltà di una società in crisi economica con consumatori con minore potere di acquisto ma nel medio e lungo termine non potranno sfuggire la necessità di un ripensamento che sia incentrato su due aspetti: personalizzazione e rilevanza per il singolo consumatore.

Pensare che, in un’epoca in cui i consumatori si sono abituati a guidare sempre più la relazione coi brand, vi sia ancora spazio per promozioni mass market è un errore gravissimo.

Netflix dimostra come oggi il consumatore voglia costruirsi il proprio palinsesto; allo stesso modo pensare che debba adattarsi ai sincopati e poco trasparenti ritmi promozionali del retail può essere illusione pura. I piani promozionali dovranno essere personalizzati per singolo cliente e non dovranno essere solo intesi come tagli prezzo ma come servizi (pensiamo all’offerta di una consegna gratuita a domicilio). Lo stesso dicasi per i cataloghi premi- che dovranno essere aperti e non liste dei desideri (del solo marketing), e le special promotion che dovranno reinventarsi andando oltre la forza del licensing e pensando ai territori e alle comunità (la crisi porterà a una rivalorizzazione del prossimo a noi).

Inoltre la crisi che stiamo vivendo metterà a forte rischio la fedeltà del cliente e sconvolgerà le sue abitudini di acquisto: non capirlo, sperando che tutti torni come prima potrebbe essere il secondo grave errore del retail.

Per questo la loyalty e il crm dovranno essere centrali: il primo come patto tra cliente e retailer e il secondo come motore di conoscenza dei propri clienti, senza il quale la personalizzazione delle promozioni rischia di restare solo sui libri dei sogni.

L’invito al commercio in conclusione non è lavorare per modificare quel lemma del dizionario, quanto per renderlo ancora vero.

 

@danielecazzani