LA ROULETTE DI MEZZANOTTE E LA FEDELTA’ IGNORATA

Sono ancora molte le incertezze su quali saranno i lasciti di questa prolungata crisi, ma non c’è dubbio che uno di questi sarà l’accelerazione dell’e-commerce anche nel grocery (a tutt’oggi ancora una cenerentole del commercio online, pur avendo registrato incoraggianti tassi di crescita negli ultimi anni).

Oggi uno degli argomenti più diffusi nelle chat sui social o nelle call tra colleghi (in forzato smart working da settimane) è la ricerca di trucchi e suggerimenti per trovare uno slot nelle consegne a domicilio dei pochi player della grande distribuzione (o affini) che offrono questo tipo di servizio.

Questa esperienza può essere davvero frustrante: appostamenti notturni per intercettare aggiornamenti delle pagine web con la speranza che la fortuna sorrida.

Spesso e volentieri si tratta di un’illusione perché il gran numero di richieste rende probabilisticamente difficile trovare uno slot. Gli stessi operatori hanno ammesso di essere rimasti spiazzati dall’improvviso aumento della domanda (in un settore in cui l’offerta era ed è ancora limitata, anche territorialmente); questo spiazzamento è ingloriosamente visibile a tutti.

L’acquisto online è così oggi un’autentica roulette, dove in palio non ci sono vincite milionarie o raddoppi della posta, ma più semplicemente… qualche cesto di spesa.

Mi chiedo però se, al di là di generiche scuse per i possibili disservizi (in realtà limitati) e (obbligatoriamente) vaghe promesse sulla volontà di migliorare e aumentare l’offerta, i manager della GDO si siano messi nei panni di un loro cliente.

Soprattutto nei panni di un cliente fedele. Magari uno di quelli che tra i primi ha creduto al servizio, nonostante il costo del trasporto, la limitatezza dell’offerta online e qualche farraginosità nelle prime versioni dei siti web…

Oggi quel cliente si trova a sgomitare con tanti altri che, in questo periodo di lockdown, si sono orientati verso l’e-commerce come soluzione tattica, magari per paura degli assembramenti dei superstore e ipermercati.

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[ nella foto: uno degli oggetti del desiderio nel periodo di lockdown: un furgoncino di Esselungaacasa.it 😉 ]

Qualcuno penserà: tutto normale, tutto corretto. E’ la democrazia della GDO: il servizio, lo stesso servizio è offerto a tutti i clienti (o, perlomeno, ai più fortunati).

Vengo così al secondo punto. La fedeltà del cliente è o no importante? Deve o non deve essere premiata? A parole tutti direbbero “certamente” ma nella realtà quanti sta accadendo è la dimostrazione che la fedeltà dei clienti è stata in questo frangente bellamente ignorata.

Dirò qualcosa che farà storcere il naso a tanti: non tutti i clienti sono uguali. Per riconoscere questo fatto bastano due ingredienti: coraggio e numeri. Il primo dovrebbe risiedere nella mente e nei cuori dei manager della GDO, i secondi nei tanto citati bigdata di cui dovrebbero alimentarsi i programmi di CRM e loyalty,

Premiare i migliori clienti dovrebbe essere un imperativo per gli operatori della GDO lungimiranti, perché la presunta democratizzazione dell’offerta (non tanto in termini di prodotti quanto di servizi) rischia di essere una risposta insoddisfacente, una livella che abbassa la qualità del servizio offerto, disconoscendo l’importanza della personalizzazione del servizio che- oramai sono decine le ricerche che lo dimostrano- è uno degli ingredienti più forti della customer experience e della fedeltà dei clienti.

Pensiamoci bene. Cosa fanno oggi gli operatori della GDO per ringraziare i migliori clienti? Hanno forse questi accesso a cataloghi riservati, servizi esclusivi ecc. Solitamente no: quanto hanno diritto è misura del loro livello di fedeltà (punti uguali sconti o premi ad esempio). Tutto qui. Troppo poco. Oggi più che mai.

Questo momento di forte criticità- un momento, lo ricordavo in altro articolo, che mette a rischio proprio la fedeltà dei consumatori “costretti” a frequentare nuovi punti vendita rispetto alla loro consuetudine- poteva (doveva) essere il momento per dire ai migliori clienti: noi ci siamo e vogliamo farti capire quanto tu sia importante per noi.

Un esempio di questo riconoscimento poteva essere ad esempio un accesso privilegiato ai servizi di consegna a domicilio.

Invece, per quanto mi è dato sapere ed esperire, nulla di tutto ciò è stato fatto: anche i migliori clienti sono lasciati al tavolo della roulette in una silenziosa mezzanotte di lockdown…

 

@danielecazzani

NEW MARKETING RETAIL ORA E’ SU LINKEDIN

Abbiamo creato il gruppo NEWMARKETINGRETAIL su LinkedIn : uno spazio dove condividere idee, spunti, dubbi o suggestioni sul futuro del Retail.

Uno spazio pensato esclusivamente per gli appassionati di Retail.

Per farlo crescere serve però il tuo aiuto: unisciti a noi ;)!

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CARO #RETAIL TI SCRIVO (L’ANNO CHE VERRA’)

Come sarà l’anno che verrà per il Retail?

Non sono solito fare previsioni così anche quest’anno me ne sono guardato bene nell’articolo che ho scritto per il numero di dicembre di Markup.

Ho deciso invece di scrivere- in modo decisamente insolito me ne rendo conto- una lettera/canzone ispirandomi alla splendida canzone di Lucio Dalla del 1978.

Per questo motivo invito tutti a cantarla, non a leggerla 🙂

Caro Retail ti scrivo così ti parlo un po' 

e siccome sei molto distratto da MarkUp ti scriverò.

Da quanto hai iniziato ci sono tante novità,

Amazon è arrivato oramai

e questa cosa ancora a te non va.

Si esce spesso la sera perché online è festa

ma c'è chi passa il tempo a sperare che l'antitrust 

rovini la sua festa

e si sta sempre a postare per intere settimane

e a quelli che hanno niente da dire

del tempo ne rimane.

Ma la Lazzati ha detto che il nuovo anno

porterà una rivoluzione

che il Retail sta già aspettando:

sarà tre volte Black Friday e Natale tutto l'anno 

ogni giorno sarà una promozione

e tutti i negozi saranno pieni di giorno.

Ci sarà da scontare e premi tutto l'anno

anche i negozi potranno festeggiare

mentre Amazon e Google già lo fanno.

E si farà la spesa ognuno come gli va

anche i millenials potranno comprare

ma soltanto a una certa età

e come ogni anno qualcuno chiuderà

saranno forse i troppo pigri

o i diffidenti sull'omicanalità.

Vedi caro Retail cosa ti scrivo e ti dico

e come sono contento

di essere qui in questo momento

vendi, vendi, vendi, vendi

vedi caro amico cosa ci si deve inventare 

per poterci ancora sperare

per continuare a guadagnare.

E se quest'anno poi passasse in un istante

pensa al tuo cliente

fallo sentire importante

che il tuo negozio sia anche il suo.

L'anno che sta arrivando tra un anno passerà

il Retail si sta preparando è questa la novità.

 

Ciò detto… Buon 2020 a tutto il Retail!

@danielecazzani

BELLEZZA, EMOZIONI, CUORE, CORAGGIO, DIALOGO, TERRITORI: LE PAROLE D’ORDINE PER IL FUTURO DEI CENTRI COMMERCIALI.

Chi mi conosce sa quale sia la mia passione per il tema “centri commerciali”. Dopo tutto quattro anni come direttore di centri commerciali lasciano il segno in termini di competenze e passioni…

Anche per questo motivo ho letto con piacere l’articolo di Francesco Oldani sul numero di novembre di MarUp che fa il punto sullo stato di salute di un settore da tanti dato per decotto ma che sé invece impegnato in un percorso difficile alla ricerca di una nuova strada, e che anche per i prossimi anni ha in programma importanti aperture e progetti (in un Paese come l’Italia, sia detto, dove investire in progetti immobiliari è davvero difficile e rischioso per le tortuosità burocratiche e “politiche”).

Il punto centrale dell’articolo- mi permetto di semplificare- è nella sfida per i centri commerciali di divenire… centri di attrazione per territori e quartieri (qualora inseriti in contesti urbani), aprendosi così a ciò che vi è fuori, anziché chiudendosi in un’alterità senza senso, spesso autoreferenziale e di conflitto verso l’ambiente.

L’ho già scritto in passato (nel lontano 2013 parlando della necessità di evitare la standardizzazione dell’offerta per creare una vera identità dei centri commerciali) e più recentemente nel febbraio 2018 portando l’attenzione sulla necessità che i centri sviluppassero le proprie strategie su due direttrici: la BELLEZZA e le EMOZIONI.

Oggi più che mai sarebbe illusorio pensare che la fortuna di un centro commerciale possa essere data solo dal mix merceologico dell’offerta (sempre più standardizzata e per la quale servirebbe invece maggiore FANTASIA e CORAGGIO nell’allocazione degli spazi non solo ai soliti noti…), ma dalla capacità di arricchirla di ESPERIENZE per essere nuovamente attrattivo nei confronti di un cliente che quando cerca il massimo dell’offerta probabilmente si rivolge all’online, evitando di prendere la macchina e cercare parcheggio nel fine settimana in un centro commerciale.

La strada intrapresa, insomma, è lungi dall’essere conclusa, ma potrà essere certamente stimolante seguirla.

Quel che serve per i prossimi passi sono nuove competenze e strutture di gestione più snelle e con la testa nei territori non in sedi lontane dal CUORE dei propri clienti.

Buon viaggio 😉

 

@danielecazzani

 

KIERKEGAARD E L’ANGOSCIA NEL #RETAIL

Potremmo così grezzamente sintetizzare i macro fenomeni che hanno caratterizzato il retail negli ultimi anni:

  • la riduzione dei consumi e
  • l’aumento dell’offerta (sia in termini di prodotti che di canali)

Dando come assodato come la moltiplicazione (e ibridazione) dei canali di vendita sia avvenuta soprattutto come risposta all’evoluzione tecnologica (mobile, social network ed esplosione dell’e-commerce) soffermiamoci sul secondo punto.

E’ indubbio che l’aumento dell’offerta di prodotti (o servizi) disponibili sia stata una delle leve più utilizzate dal retail per contrastare proprio la contrazione dei consumi.

Ma un aumento tout court dell’assortimento proposto al cliente può in realtà determinare nel cliente l’angoscia della scelta, intesa- riprendendo la lezione di Kieerkegaard- come conseguenza di una condizione in cui tutto è possibile e l’eccesso di possibilità aumenta le possibilità di errore…

L’aumento delle alternative può paradossalmente portare il consumatore a una situazione di stallo nella scelta con conseguenza negative sull’esperienza propria (e quella del retailer).

In ambito e-commerce la presenza di filtri per la navigazione degli assortimenti riduce talvolta questo rischio anche se spesso la loro impostazione non è fatta in ottica consumer-centrica ma prodotto-centrica replicando gli alberi merceologici dei prodotti che non è affatto detto siano coincidenti con gli alberi decisionali dei consumatori.

Negli store fisici questo compito di guidare il cliente nella navigazione della propria proposta viene quasi sempre dimenticato. Raramente si trovano directory e ancor più raramente il personale in store risulta avere tra i propri compiti (e competenze) il guidare il cliente tra reparti e corsie.

Anche questo aspetto porta molti consumatori a preferire l’e-commerce a uno store brick & mortar; ma se questo avviene la colpa non è di Amazon & c. ma di tanti manager che ancora non hanno capito CHI sia il proprio cliente e quale EXPERIENCE sia necessario disegnare nel 2019 per poter sopravvivere nel complesso mondo del retail.

Ma veniamo ora brevemente al panino del titolo.

Partiamo da una foto.

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Si tratta del menù di un piccolo locale di Milano che propone ottimi panini con un servizio rapido e piuttosto efficace.

Il menù come si può desumere è strutturato in ordine alfabetico. Non per ingrediente principale, non per tipo di panino, non per prezzo, non per categoria (ad es vegano…) ma alfabetico.

Insomma l’assortimento è proposto con una logica che non è coerente con l’approccio del cliente a questo tipo di consumo (a meno di non pensare che qualcuno entri in una paninoteca pensando “oggi mi voglio gustare un panino che inizi con la lettera p”!?).

Io ho dovuto cercare con attenzione nel ricco menù per trovare il mio panino alla bresaola 😦

Insomma anche da un menù correttamente strutturato il retail potrebbe trarre l’insegnamento che la rappresentazione della scelta è al cuore dell’esperienza dei clienti, ai quali va evitata una condizione di angoscia che porta molto spesso a un non consumo.

@danielecazzani

 

NOTA FINALE

Suggeriamo sul tema la lettura del libro “Troppa scelta” del prof. Guido Lugli dell’Università di Parma.

IL PARADOSSO DEL CLIENTE-ICEBERG.

Viviamo nell’epoca dei BIGDATA eppure… Eppure in molti nel retail sembrano davvero non sapere cosa farsene.

Ogni anno le aziende investono MILIARDI DI EURO in pubblicità pensando di poter influenzare il COMPORTAMENTO D’ACQUISTO del cliente- ovvero determinare una scelta di nel breve o brevissimo termine- mentre in realtà altri sono gli strumenti che avrebbero a disposizione.

Il RETAIL, perennemente all’affannosa ricerca di NUOVI clienti, pare non capire di possedere già un enorme PATRIMONIO: i propri CLIENTI.

Conoscere oggi il comportamento del cliente è FACILE, quasi banale, almeno se pensiamo al comportamento transazionale in termini di numero, contenuto e frequenza di acquisto. In effetti di analisi RFM (Receny-Frequency-Monetary) si parla da molti anni ma spesso le sue risultanze restano segregate su qualche presentazione in powerpoint.

Ma proprio come un ICEBERG i retailers paiono spesso accontentarsi di quanto il cliente fa vedere solo in superficie: prendendo atto del comportamento i clienti vengono accuratamente clusterizzati, così facendo cristallizzandone lo status.

Prendere decisioni sul DOMANI utilizzando come base solo la quanto conosciamo del comportamento di IERI però presta il fianco a possibili errori e scelte sbagliate.

Facciamo un esempio. Ipotizziamo di suddividere i nostri clienti in 2 cluster: “member” e “top”. Questi ultimi sono caratterizzati da un maggiore volume di acquisti nel periodo considerato, e per questo considerati i “migliori” nostri clienti.

Ad essi pertanto riserviamo offerte più generose, con l’intento di coccolarli e farli sentire “speciali”.

Ma normalmente non ci chiediamo cosa li abbia resi “top”, per quale motivo ci abbiano scelto, quale elemento abbia influenzato le loro singole specifiche scelte d’acquisto.

Senza conoscere il PERCHE’ è difficile poter agire sul COME efficacemente mantenerli “top” o migliorare la fedeltà e il comportamento dei “member”.

Insomma, la sola analisi dei dati transazionali non è sufficiente per un’analisi corretta, perché risulta fondamentale conoscere le determinanti del COMPORTAMENTO del cliente.

Il Retail dovrebbe essere CURIOSO e indagare quanto sta sotto la superficie osservabile dell’iceberg/cliente.

Infatti, come ben sappiamo, la parte nascosta dell’ICEBERG è FONDAMENTALE per la sua statica e dinamica ed è RICCO di informazioni.

Un peccato non indagarlo. Un peccato mortale per quel Retail che ha la sensazione di subire l’omni-pervasività dei pure player dell’e-commerce.

Per fare questo servono investimenti nel CRM, nell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE per costruire nuovi modelli di analisi della CUSTOMER EXPERIENCE.

Ma serve anche una nuova ORGANIZZAZIONE del Retail che metta al centro un nuovo MARKETING, più intelligente ed evoluto rispetto a quello odierno.

Una grande SFIDA su cui riflettere nel corso di questa calda estate.

@danielecazzani

LA BABELE SENSORIALE DEL RETAIL

Come consuetudine riprendo ed estendo il mio contributo su MarkUp.

Nel mese di maggio ho parlato di… sensi.

Facciamo così insieme due passi all’interno di un moderno ipermercato lasciandoci guidare dai cinque sensi.

VISTA. Senza soffermarci sugli scaffali e la loro varianza cromatica e di forma, ad accoglierci è solitamente un florilegio di cartelli di diverse forme e colori spesso del tutto sconnessi dai codici colore da quel volantino promozionale che abbiamo utilizzato a casa come bussola per costruire la nostra lista della spesa. La sensazione insomma è di trovarsi nel retro bottega del carnevale di Viareggio…

UDITO. Al di là del “collega” consumatore intento a rettificare ad alta voce la lista della spesa con l’aiuto da casa, l’aria è invasa dalle indecifrabili note di una canzone trasmessa dalla radio in store. Ma a sovrastare il tutto sono i richiami della cassa centrale che cerca ora un addetto al reparto elettrodemestici, ora avverte dell’apertura della cassa quindici, ora chiama un “codici trenta” nella corsia nove (mah…).

GUSTO. Uno dei sensi più potenti in assoluto è quasi del tutto dimenticato. Tralasciamo le hostess abbandonate nelle corsie a fianco a provvisorie postazioni di cartotecnica, ma è davvero raro che ci venga proposto l’assaggio di un prodotto al banco salumeria, gastronomia o panetteria…

OLFATTO. Difficile usarlo come bussola nella navigazione perché spesso la frutta e la verdura non profumano e gli odori della produzione del pane o dei preparati gastronimici sono segregati negli appositi laboratori.

TATTO. Parliamo dei carrelli o dei cestelli della spesa. Sono il biglietto da visita di un punto vendita, ma la loro pulizia ed efficienza sono troppo spesso lasciate al caso.

In conclusione la sensazione è di trovarsi in una Babele sensoriale.

Ho fatto l’esempio della GDO- penserà qualcuno- perché mi piace vincere facile.

In effetti ipermercati & c. sono negozi di grande complessità ma lo scenario non cambia di molto se ci spostiamo in un negozio di una catena retail.

Spesso percorsi e spazi sono governati da esigenze di prodotto non da quelle del cliente (avete presente quei camerini claustrofobici di tanti leader del fast fashion retail?). la radio in store ho invade lo spazio o sussurra indecifrabile, e le logiche espositive (dove trovo il tal prodotto?) sono segreti degni di un alchimista (trascurando la rilevanza del fattore “tempo” nelle moderne journeys dei clienti).

Su questo versante l’ecommerce gioca una partita da un lato più facile e dall’altro più difficile. Più facile perché sono meno i sensi coinvolti nell’esperienza; e dall’altra più difficile perché sono meno le leve che può utilizzare per disegnare un’esperienza coinvolgente per il cliente.

Insomma, i 5 sensi sarebbero un incredibile strumento di marketing (esperienziale) se i marketers non lo dimenticassero spesso nel cassetto dei propri attrezzi…

@danielecazzani

RETAIL E INCLUSIVITÀ: PROGETTARE LA CUSTOMER EXPERIENCE PER TUTTI I CLIENTI

Poco più di un mese fa, esattamente il 2 Aprile, si è celebrata è la Giornata Mondiale dell’Autismo.

Una parola oramai conosciuta, ma spesso solo superficialmente, come lo è in generale l’ampio perimetro delle disabilità, non solo fisiche ma anche psichiche o sensoriali.

Ne avevo già parlato nel lontano 2016 (vedi qui articolo “Disabilità e Retail: quante barriere a una strategia inclusiva”) sottolineando come per molti anni nel Retail la pigra risposta alle esigenze delle persone con disabilità sia stata la realizzazione di uno scivolo all’ingresso negozio (comunque mancante in tanti, troppi, negozi ancora oggi) o dotare i propri negozi di ascensori seguendo l’equazione disabiltà = barriere architettoniche.

Equazione limitativa ed errata. Risultato: non si è fatto abbastanza.

Torniamo a noi, oggi, e pensiamo a questo Retail in continua evoluzione, omnichannel, customer-centrico, phygitale e via aggettivando…

Quante sono le difficoltà del fare shopping di una persona con disabilità? Quante sono le ferite alla propria dignità che una persona con disabilità deve subire ogni giorno, anche solo perché vuole entrare in un negozio e fare la spesa? Troppe. Semplicemente troppe.

Pensiamo a scaffali irraggiungibili, camerini troppo stretti, zone casse respingenti, un caleidoscopio di luci, colori e suoni che, ad esempio, per un persona con un disturbo dello spettro autistico possono essere l’equivalente di un inferno, e via dicendo.

Sono davvero tanti gli ostacoli che il Retail, non certo volontariamente, presenta nei propri store.

Il problema si presenta anche online perché, pur a fronte di una innata mancanza di barriere architettoniche, ancora poco si è fatto per agevolare clienti con disabilità. Pensiamo ad esempio a persone con handicap visivo non grave, tra cui molti anziani, che necessitano di scritte o immagini notevolmente ingrandite. Chi invece è affetto da daltonismo non riesce a decifrare correttamente gli avvisi che sono espressi solo dal colore. Diversamente i non udenti non percepiscono le informazioni di un file audio e di gran parte dei file video. E via dicendo…

Tornando ai negozi fisici sono tanti, spesso piccoli, gli accorgimenti che potrebbero migliorare di molto l’experience di questi clienti (senza peggiorare quella degli altri) partendo dalla progettazione degli spazi per arrivare alla creazione di servizi ad hoc (come ad esempio il servizio di spesa assistita per clienti con disabilità visiva proposta da Auchan Casal Bertone a Roma in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Roma di cui ha parlato MarkUp a marzo).

Anche i servizi after sales dovrebbero tenere conto delle specifiche esigenze dei clienti. Pensiamo a un servizio come il “reso” nel momento in cui si costringa una persona con disabilità fisica a recarsi in negozio: perché non creare un servizio at home per questi clienti?

In conclusione penso che il Retail potrà dirsi davvero moderno quando sarà veramente inclusivo e attento alle difficoltà di tutti non discriminando alcun cliente in base alla disabilità.

In primis è una sfida per le persone e per i manager del Retail.

@danielecazzani

IL PARADOSSO ORGANIZZATIVO NEL RETAIL

Riprendo il mio intervento sul numero di aprile 2019 di MarkUp.

Non basterebbero probabilmente le 1.700 battute di questo spazio per riepilogare i fattori che stanno impattando il retail: l’avvento dell’eCommerce, lo sviluppo dei dispositivi mobile, la crisi dei consumi ecc.

Di fronte a sfide sempre più importanti i retailer, soprattutto quelli nativi brick & mortar, hanno risposto adottando (con un approccio troppo spesso fideistico) nuove tecnologie all’interno degli store fisici, lanciando nuovi format, rivedendo la propria presenza online.
La mancanza di una governance reale di questi progetti ha spesso avuto due risultati negativi.
Il primo è stato quello di disorientare i propri clienti, che si attendono sempre più un’esperienza senza interruzioni e frizioni lungo tutto la propria journey (sempre più complessa).

Il secondo -altrettanto preoccupante- è stata la dispersione di energie (umane ed economiche) all’interno delle organizzazioni.

Voler impostare una strategia omnichannel a favore dei propri clienti senza rivedere l’organizzazione interna è un grave errore strategico. Mi riferisco alla necessità non tanto di una ridefinizione delle relazioni tra le diverse funzioni -pensiamo al rapporto tra It e marketing- quanto a un ridisegno alla base degli obiettivi e dei perimetri delle diverse funzioni. Si parla per esempio sempre più di cliente ed experience, ma vi invito a verificare quali funzioni se ne occupino all’interno delle aziende retail e quale sia il loro reale potere di intervenire sulla progettazione e gestione della customer journey.

In questo modo la disomogeneità dei tool e degli owner dei diversi progetti ha avuto come unico effetto quello di aumentare, anziché ridurre, la complessità per i clienti e per il retail.

@danielecazzani