Estratto della mia intervista sul ruolo del CRM nel Retail, a margine dell’evento It’s All CRM organizzato da Brainz a Milano nello scorso autunno.
Buona visione
@danielecazzani
retail & stories
Estratto della mia intervista sul ruolo del CRM nel Retail, a margine dell’evento It’s All CRM organizzato da Brainz a Milano nello scorso autunno.
Buona visione
@danielecazzani
Acquisto ONLINE un biglietto per un evento.
Mi vengono proposte 3 modalità di consegna/ritiro dei biglietti:
1. con corriere, al costo di 9,90 euro
2. stampa online, al costo di 2,50 euro
3. ritiro sul luogo dell’evento, senza costi
Dal punto di vista dei costi strutturali il fatto che la proposta 2 abbia un costo è assurdo, così come che sia gratuito il ritiro sul luogo dell’evento che prevede la presenza di personale a ciò dedicato.
Si parla molto di omnichannel ma dalla teoria alla prassi il fossato può risultare molto profondo per il Cliente.
@danielecazzani
La genesi di questo articolo è riconducibile a tre spunti
Andiamo rapidamente e con ordine, partendo dal primo (s)punto.
L’e-commerce in Italia continua a crescere, come ha sottolineato la più recente ricerca di NetComm e Politecnico di Milano, e il settore grocery è una delle aree con la migliore dinamica, segnando addirittura un +45% e con un valore superiore al miliardo di euro (per la maggior parte correlato proprio alla spesa online).
Siamo però costretti a dire “bene, ma non benissimo” perché se questa è la buona notizia, quella cattiva è che il valore del mercato rispetto ad altri Paesi UE è ancora basso, sia rispetto all’e-commerce nel suo complesso sia rispetto al valore del business della distribuzione grocery anche se vi sono casi come Esselunga che ha registrato una crescita sensibile di questo canale (vedi articolo su MarkUp).
Il secondo (s)punto invece arriva della lettura della chiara e appassionata ricostruzione della storia del servizio EsselungaaCasa sul sito di Giuseppe Caprotti che è stato l’anima del visionario progetto (penso che l’aggettivo sia dovuto vista l’epoca in cui fu lanciato). Invito tutti a leggere l’articolo che racconta quanti e quali siano stati i problemi per il lancio di un servizio che è ora, a mio avviso, uno degli asset identitari più forti e riconosciuti dell’insegna: i furgoncini gialli– che anch’io studiai quando mi occupai anni e anni fa del marketing per volendo.com una piccola piattaforma die commerce attiva su Milano e altre città del Nord Italia- sono iconici e distinguibili nelle vie dei piccoli paesi serviti così come nei centri storici delle più importanti città.
Infine, e veniamo all’ultimo (s)punto: l’esperienza da cliente, visto che ho appena ricevuto la consegna di una spesa ordinata alcuni giorni fa sul sito esselungaacasa.it come spesso mi capita di fare quando la settimana non mi concede il tempo per un’esperienza in negozio che trovo sempre piacevole.
Premetto che che a mio avviso lo sviluppo del grocery e-commerce è frenato certamente da almeno 3 fattori:
Dobbiamo però dire che anche il babau del retail, ovvero Amazon, non è ancora forte nel grocery, quindi almeno un alibi per il proprio immobilismo la GDO può stavolta risparmiarselo…
Messi assieme questi ingredienti cerco di ripercorrere la mia esperienza di cliente per suggerire alcuni filoni per la crescita del grocey e-commerce.
CERCARE I CLIENTI. Perché EsselungaaCasa non mi cerca mentre navigo online alla ricerca di un olio evo DOP, oppure di un formaggio caprino? Intercettare il cliente nella sua (sempre più complessa) journey è elemento imprescindibile per chi fa e-commerce. La sensazione invece è che qualcuno mi aspetti, anziché cercarmi…
STUPIRE I CLIENTI. La spesa dice molto, davvero molto, di noi, soprattutto se ripetuta nel tempo. Partendo da questa conoscenza chi fa e-commerce è nelle condizioni di suggerire acquisti ai clienti in base ai basket passati o alla composizione del basket della spesa corrente. Devo dire che in parte questo avviene, ma con logiche non chiarissime: la sensazione, anzi, è che spesso ciò che viene proposto sia rilevante non per il Cliente ma per l’Industria, mentre questa logica andrebbe invertita…
Sul fronte dell’interazione col Cliente si può certamente fare qualcosa di più ingaggiante, come, ma è solo un esempio, la richiesta di un’opinione su un prodotto acquistato per la prima volta (magari proprio dopo suggerimento dell’AI engine). Nell’e-commerce non c’è il contatto umano col salumiere che ti chiede “cosa ne pensa di questa nuova pancetta?” ma si possono trovare altre soluzioni di dialogo. Non sfruttiamo la tecnologia solo per comporre una lista, ma per creare un’esperienza!
IL CARRELLO DI DESIDERI DEL CLIENTE. Per un cliente può essere talvolta davvero frustrante scontrarsi con la limitatezza dell’assortimento on line rispetto a quello del negozio fisico. Non parlo solo dei freschi (difficile, mi rendo conto, replicare online il viaggio nei sapori di un banco gastronomia Esselunga in uno store), ma anche nelle altre categorie la scelta è spesso limitata. Con un consumatore sempre più omnichannel pensare che il perimetro dei suoi desideri debba di volta in volta adattarsi in funzione del canale prescelto è semplicemente… anti-storico.
ABBATTERE LE BARRIERE DEI NON-CLIENTI. Basta parlare ad un proprio vicino che non utilizza il servizio per sentirsi dire che uno dei motivi della non-scelta è il costo di consegna. Non si può certo negare che, come sopra accennato, la logistica sia uno dei temi fondamentali per lo sviluppo dell’e-commerce (e per la salute dei relativi conti economici) ma abbattere la barriera del costo di consegna con promozioni inverosimili gestite con IDM, del tipo “compra 10 prodotti di bellezza per avere la consegna gratis” risulta essere una non soluzione (forse questo tipo di proposte potrebbero funzionare se anziché un cliente la controparte fosse un centro benessere) visto l’eforo economico richiesto al cliente a fronte del risparmio atteso.
Perché invece non pensare a meccaniche di tipo cash-back, in cui il costo di consegna è riconosciuto al cliente tramite vantaggi da utilizzare in store, per incentivare l’omnicanalità del cliente? Perché non pensare a formule di subscription visto che la spesa grocery è un atto ripetuto/ripetibile che ben si presta allo sviluppo di queste meccaniche?
Come detto sto solo lanciando qualche idea senza l’arroganza di pensare di trovare risposte a un business complesso con qualche riga in un post.
In sintesi sono numerosi gli aspetti su cui lavorerei se fossi “a bordo” del progetto dei furgoncini gialli (customer journey, intelligenza artificiale, assortimento, promozione…) ma ho una certezza: lo sviluppo del l’e-commerce grocery sia totalmente nelle mani e nelle menti della GDO.
Buona spesa a tutti! offline o online che sia 😉 …
Daniele Cazzani
Head of Retail Customer Experience
Salmoiraghi & Viganò
Non sono solito fare bilanci di fine anno, ma il 2018 è stato per caratterizzato per me dalla collaborazione con MarkUp, la rivista più importante per il retail, che leggo da quando ho iniziato ad occuparmi di marketing e retail (tanti, tanti anni fa…).
Apprezzo e stimo enormemente l’attenta direzione di Cristina Lazzati.
Diamocelo infatti: uno dei più diffusi difetti di tanti retailer è avere lo sguardo concentrato sul proprio ombelico, mentre MarkUp ci aiuta (o costringe?) a guardare altrove, oltre i nostri confini per cogliere le sfide del futuro (che spesso è già il presente per i nostri Clienti).
Non potevo quindi che accettare con entusiasmo l’invito di Cristina ad unirmi al qualificato gruppo di opinionisti che già collaboravano con la rivista.
Altro elemento gratificante è stata la possibilità di spaziare tra tanti argomenti, sempre inerenti il Marketing e il Retail- ca va sans dire- ma con una libertà che all’interno delle organizzazioni è spesso negata, vigendo ancora visioni fordiste del management.
Ecco così una sintesi dei temi che ho toccato nel corso di quest’anno:
Certo, la scelta dei temi e l’approccio alla discussione, sono opinabili, ma confido di avere aiutato qualche riflessione su un settore sempre più dinamico e chiamato e reinventarsi giorno dopo giorno, a ritmi finora sconosciuti.
Un sentito ringraziamento a tutti coloro che mi hanno fin qui letto e a quelli che lo faranno in futuro, ma soprattutto un grazie di cuore a Cristina!
Daniele Cazzani
Head of Retail Customer Experience
Salmoiraghi & Viganò (Luxottica Group)
Nell’importante cornice dell’Auditorium Paganini di Parma, lo scorso venerdì, si è svolta la 18ma edizione dell’OSSERVATORIO FEDELTA‘, promosso dalla Prof.ssa Cristina Ziliani dell’Università di Parma, col contributo (davvero apprezzabile) di tanti giovani studenti oltre che di ricercatori, partner e qualificati relatori.
Come sempre è stata un’occasione importante per fare il punto sulla Loyalty e capire quali siano le sfide che attendono uno “strumento” nato a metà dell’ottocento (i famosi stamp di alcune catene americane) e che continua ad evolvere a ritmo sempre più rapido.
Da affezionato partecipante all’incontro (ricordo ancora quando si svolgeva all’interno di un’aula dell’Università…) voglio qui condividere 3 cose che mi è parso importante annotarmi.
1. LA LOYALTY E’ ESPERIENZA
La parola (spesso abusata a onor del vero) è riecheggiata più volte all’interno dell’auditorium forte e chiara. I programmi loyalty devono andare ben oltre il semplice rewarding, e non focalizzarsi solo sui servizi e il CRM.
La loyalty è oramai strettamente connessa con l’esperienza. Quest’ultima però per essere determinante deve essere:
Senza entrare nel dettaglio invito solo i retailer brick & mortar a focalizzarsi sul secondo aggettivo, investendo sulle proprie risorse umane: l’unica leva che può costituire un valore aggiunto tangibile e non replicabile dall’ecommerce (anche Amazon è stata più volte riecheggiata nella sala, non in quanto operatore online ma per il suo approccio al negozio fisico, come con Amazon 4-star )
L’esperienza deve poi essere coerentemente declinata in ottica omnichannel, perché così è oramai il consumatore volenti o nolenti (ne prenda atto anche BestWestern che invece pare “discriminare” il cliente nel proprio programma loyalty in base al canale di prenotazione delle camere…).
Solo così l’esperienza potrà trasformarsi in fiducia e questa, a sua volta, sostenere la fedeltà in un ambiente competitivo sempre più denso e con meni steccati, dove il consumatore riceve continuamente sollecitazioni e stimoli.
2. LA LOYALTY E’ FELICITA’
Qual è l’obiettivo della loyalty?
Dobbiamo premettere che ancora una volta è emerso come vi sia confusione sulle metriche della fedeltà (alcuni retailer guardano ancora al fatturato come indicatore, sic!) mentre dovrebbero essere acquisiti kpi’s quali retention, RFM, LTV (Life Time Value) e SOW (Share of Wallet).
Chiarito il tema delle metriche, è stato detto come l’ambizioso obiettivo della loyalty debba essere la FELICITA’ del proprio cliente.
Felicità: un’emozione potente che dilata il flusso del tempo, togliendo così tanti alibi a retailer che lamentano che i clienti hanno poco tempo per lo shopping; in realtà i consumatori dedicano poco tempo allo shopping non piacevole, che non li renda cioè felici.
Perché il nuovo paradigma del consumo è il consumo del tempo.
Felicità: un’emozione potente che le persone sempre più vogliono condividere, innescando potenti strumenti di emulazione e diffusione.
3. LA LOYALTY E’ AI
Forse non oggi; certamente domani. L’intelligenza artificiale (AI) sarà sempre più parte integrante delle strategie loyalty ma solo nell’ottica di migliorare l’esperienza dei propri clienti.
L’AI avrà un impatto su tanti temi legati all’experience del cliente, a partire dal search online, la previsione dei comportamenti, la reccomendation, la personalizzazione dell’esperienza, il social listening, il customer support e via dicendo.
La voce inoltre diverrà sempre più la nuova interfaccia di relazione coi propri clienti, grazie allo sviluppo degli smart device che diverranno loro i veri attori della journey dei consumatori (che ad essi si affideranno per consigli, liste della spesa ecc.).
Ma non avrebbe senso avere chiari i 3 punti sopra indicati, se la loyalty non divenisse CULTURA MANAGERIALE, permeando l’organizzazione delle aziende, per essere poi declinata sotto 3 distinti aspetti:
In conclusione i marketer devono prendere atto che si sta aprendo una nuova era, quella della LOYALTY DELL’ESPERIENZA.
Sul mio account twitter @danielecazzani potrete trovare altri spunti di riflessione e commenti a margine dell’OF 2018 che come detto è stato ricco di stimoli anche su altri temi, quale l’integrazione tra loyalty e strumenti di pagamento.
Vi ringrazio per l’attenzione!
Daniele Cazzani
Head of Retail Customer Experience S&V
(Luxottica Group)
Martedì 16 ottobre ad Assago ho avuto il piacere di essere inviato quale speaker all’evento IT’S ALL CRM CONTACT CENTER, potendomi così confrontare con altre realtà Retail sui temi legati al futuro del CRM o, per anticipare uno dei mantra dell’incontro, del CXM (dove “X” sta ovviamente per “experience”).
Le parole più ripetute durante l’incontro sono state “cultura”, “organizzazione”, “cliente” (of course!), “dati” e… Amazon 😉
A ben pensarci, proprio Il fantasma che terrorizza i retailers d’Europa (e non solo) è un’ottima sintesi delle “parole d’ordine” sopra elencate.
Ma andiamo con ordine.
Paradossalmente sembra che il combinato disposto tra bigdata e un consumatore sempre più omnichannel abbia negli ultimi anni aumentato la complessità per le aziende retail nel leggere, o meglio nel comprendere attitudini e comportamenti dei consumatori in senso più lato.
Per poter gestire questa nuova complessità servono certamente nuove tecnologie– ampiamente disponibili sul mercato- ma soprattutto una nuova ORGANIZZAZIONE che veda lavorare fianco a fianco IT e Marketing, abbattendo steccati e gelosie che hanno fino ad oggi inficiato gli sforzi di tanti Retailers in questa direzione.
Ma prima ancora di compiere questo passo è necessario creare una nuova CULTURA del DATO e dell’informazione. Serve innanzi tutto definire in modo chiaro (e condiviso tra tutte le funzioni aziendali, a partire dal CEO) quali siano gli obiettivi del proprio business, e all’interno di questo cosa sia richiesto al CRM e quindi quali siano le informazioni necessarie e rilevanti a supporto della costruzione delle più efficaci strategie.
Il focus di questo immenso sforzo richiesto al Retail deve essere, davvero, il CLIENTE.
Il CRM non è una polaroid utile per scattare qualche istantanea del Cliente, che corre il rischio di essere cestinata se la foto che restituisce non è in linea con le attese aziendali.
Il CRM deve e può essere un motore di intelligenza. Ma per cogliere questo obiettivo deve lavorare in stretto legame con tutte le altre funzioni aziendali, in primis con quelle che più di altri sono a stretto contatto col Cliente all’interno dei negozi, evitando di rinchiudersi in qualche stanza e di fronte a qualche powerpoint.
Questa intelligenza deve però partire dalla capacità di sfruttare appieno le numerosissime informazioni (parziali e frammentarie) che il Retail già ha del cliente, mentre spesso la sensazione è che si cerchino sempre nuove informazioni che diventano via via più ingestibili e spesso contraddittorie, con l’effetto finale di vedere il CRM Manager di turno che come l’asino di Buridano resta indeciso nel da farsi finendo per essere superato dai fatti (i dati, si sa, invecchiano molto rapidamente).
Solo i dati e un Marketing intelligente possono aiutare il Retail a comprendere al meglio le journey dei singoli clienti e attorno a questi disegnare la migliore experience, e superare così i limiti dei più tradizionali approcci di CRM, che restano per lo più indistinti o grossolanamente differenziati per cluster che tengono conto solo di alcuni attributi transazionali o socio demografici dei propri Clienti.
E’ un tema culturale e organizzativo, non tecnico. Prima il Retail ne prenderà atto, prima potrà scacciare i fantasmi che ne turbano i sonni…
@danielecazzani
DI SEGUITO IL TESTO DEL MIO ARTICOLO PUBBLICATO SUL N.268 DI MARK-UP
Nell’elencare i vantaggi dell’ecommerce rispetto alle più classiche soluzioni brick and mortar -l’assortimento più ampio e profondo (potenzialmente infinito), la maggiore convenienza, il migliore servizio (delivery at home)- sembreremmo forzati a pensare che la partita sia chiusa in partenza per i retailer tradizionali.
Eppure l’eCommerce per quanto in costante crescita (oltre il 17% nel 2017, a quota 23 mld di euro) è ancora lontano dalle quote del retail tradizionale, soprattutto per gli ambiti food e grocery.
Se la scelta del prezzo resta la motivazione principale per gli eShopper, altrettanto importanti risultano la possibilità di comparare i prezzi, disporre di informazioni complete sui prodotti e potersi affidare a un efficace customer service.
Tralasciando il primo punto, sul quale il retail tradizionale sembra perdente in partenza a causa di una struttura di costi che è specchio di un’organizzazione del lavoro e politiche commerciali pensate nel secolo scorso, mentre non si valorizza il ruolo che i dipendenti potrebbero svolgere nel rendere efficace l’experience in negozio, concentriamoci invece sugli altri punti. La mancanza di trasparenza di prezzo (quante vetrine senza prezzo si vedono ancora oggi e quanto è difficile leggere la scala prezzo dell’offerta di un supermercato tradizionale?), la mancanza di informazioni sui prodotti (spesso ipocrita rimandare alle sole informazioni del packaging), piuttosto che lo scarso investimento in un reale servizio di customer care in negozio (pensiamo all’attesa al box informazioni di un iper), dimostrano che i punti di forza dell’eCommerce sono in realtà spazi di servizio tralasciati dal retail tradizionale.
Per la serie: chi è causa del suo mal…
@danielecazzani
DI SEGUITO L’EXTENDED VERSION DEL MIO ARTICOLO PUBBLICATO SUL NUMERO DI MARZO 2018 DI MARKUP.
Baby boomers, generazione x, millennials, generazione z… Non v’è dubbio alcuno che sempre più il concetto di generazione risulti essere importante nelle strategie del moderno retail.
L’attenzione ai millennials e alla- ancora più giovane- generazione z è testimoniata da ricerche, convegni e studi che però spesso sembrano sottacere il fatto che proprio queste giovani generazioni, da tanti retailer viste come nuova terra di conquista, in realtà sono caratterizzate da un basso indice di fedeltà ai brand e, soprattutto, da un basso potere di spesa.
Non che vi sia nulla di cui stupirsi: pensando al panorama italiano, basta considerare come queste generazioni siano in realtà composte da giovani spesso disoccupati, o con contratti a tempo determinato o stage- cui sono correlati bassi livelli salariali- e che vivono in molti casi coi propri genitori fin oltre i trent’anni.
Potere di spesa a parte, certamente l’entrata nel mercato di queste generazioni- avvezze fin da subito ai nuovi digital device- ha avuto un impatto anche sui media utilizzati dai retailer, visto che la tv (almeno quella tradizionale) diventa sempre meno importante nella dieta mediatica quotidiana dei giovani, a favore del web e del social, arene nelle quali infatti tanti retailer si sono forzosamente e spesso affannosamente gettati.
E’ inoltre importante non cadere in facili stereotipi, come quello che abbina nuove generazioni ed e-commerce.
Come dimostra infatti una recente ricerca svolta da Accenture nel mercato USA i giovani consumatori nati dopo il 2000 (la generazione z di cui sopra) preferiscono effettuare acquisti negli store brick & mortar, non via e-commerce, pur pretendendo di trovare i retailer presenti anche sul web o nei social, con un coerente approccio multicanale.
Se cerchiamo però di valutare l’impatto del nuovo composit generazionale sui programmi loyalty, dobbiamo prendere atto di come si siano registrate minime innovazioni su questo fronte negli ultimi anni.
Come se i retailer, su altri fronti pronti a rivedere assortimenti, politiche promozionali e piani media, sul lato della loyalty avessero immaginato che tutto potesse rimanere com’era.
Purtroppo non è così.
Millennials e generazione z sono, come clienti, ben diversi dalla precedente generazione x o ancor più dai baby boomers. Non parlo ovviamente di gusti o preferenze per questo o quel prodotto, ma di approccio al consumo e di orizzonti temporali.
Le precedenti generazioni- mi si permetta di semplificare qui alcuni insight tratti da diverse ricerche sociologiche (lettura sempre da consigliare al retail)- vedevano nel prodotto un fine (l’attestazione del raggiungimento di un traguardo) e l’orizzonte temporale delle proprie scelte era quello medio-lungo, quello per intenderci del piano di risparmio per l’acquisto della casa e l’accensione del mutuo o della lunga carriera (fata di tanti, solidi, gradini) all’interno di un’organizzazione aziendale e sociale.
Millennials e generazione z vivono l’oggi, e per essi il prodotto è elemento di un’esperienza non un obiettivo in quanto tale.
La loro infedeltà (al brand, ma anche al posto di lavoro, come lamentano tanti forum di hr manager) nasce da questo nuovo approccio culturale al consumo, non da altro.
Inoltre millennials e generazione z sono caratterizzati da un maggiore individualismo (che si apre agli altri nel momento della condivisione ex post di una propria esperienza), rispetto alla precedenti generazioni che condividevano un più ampio paniere di ideali (spesso contrapponendosi gli uni agli altri proprio in funzione di questi) e di obiettivi sociali e di vita (il matrimonio, la casa e il lavoro erano il trittico di questo “altare culturale”).
Per citare Bauman, sono la generazione della connettività, non della collettività.
Certo, l’età non dice tutto dei propri clienti, né è pensabile che si possa costruire una strategia di loyalty basata solo su questo parametro, ma un moderno retail deve prendere atto che, oggi più che ieri, è necessario tenerne conto anche in ambito loyalty e, in tal senso, ripensarsi e reinventarsi.
Non solo nei contenuti (come premi meno “cose” e più “esperienze” o “cose che abilitano esperienze”), nelle meccaniche (la formula “1 euro uguale 1 punto” è equazione della banalità, quando invece si potrebbero considerare numerosi altri comportamenti del cliente) e nei tempi (chiedere a un giovane di programmare acquisti per molti mesi per arrivare all’obiettivo è chiedere quasi un comportamento contro-natura).
Ad esempio, in relazione a quest’ultimo parametro il programma Vodafone Happy, che ogni venerdì premia i propri iscritti con un “regalo”, dimostra di avere ben compreso questa nuovo approccio.
Soprattutto per non perdere appeal verso le nuove generazioni- senza dimenticare con questo le precedenti- i programmi loyalty potrebbero essere strutturati non più come rigidi palinsesti, ma in modo flessibile, permettendo ai singoli clienti (quindi anche alle nuove generazioni) di costruire un proprio programma, sulla falsariga di quanto è successo con l’arrivo di Netflix nel mondo televisivo.
Non si tratta certamente di un cambiamento facile, ma siamo certi che vi sia un’altra strada e che i programmi loyalty possano continuare a ignorare la realtà?
@danielecazzani
DI SEGUITO LA “EXTENDED VERSION” DEL MIO ARTICOLO PUBBLICATO SUL NUMERO DI FEBBRAIO DI MARKUP articolo MarkUp feb 2018
L’apertura de Il Centro di Arese nel 2016, la più recente inaugurazione di CityLife Shopping District a Milano e importanti progetti di prossima realizzazione quale Westfield Segrate, dimostrano come il mercato dei centri commerciali sia decisamente florido- pronto ad attrarre sempre più investimenti stranieri e a cogliere le opportunità di sviluppo insite nelle tante aree urbane da riqualificare qua e là in Italia- nonostante in molti negli scorsi anni ne avessero preannunciato una irreversibile crisi.
E’ pur vero che, come contraltare, si possano annoverare numerose strutture che sono oramai in piena crisi, ma si tratta soprattutto di centri realizzati negli anni Novanta, di piccole e medie dimensioni, extra-urbani e con un’offerta commerciale limitata.
In realtà non avremmo di che stupirci che un settore che per anni ha vissuto per anni solo su logiche di stampo immobiliare (molto più raramente commerciali) stia vivendo un momento di passaggio e di crisi (dal greco krisis ovvero scelta, decisione): si tratta di un fatto fisiologico e la circostanza che avvenga in anni di profondo cambiamento nelle abitudini di consumo rende l’occasione quanto mai propizia per chiedersi quali siano le opportunità da cogliere e le sfide da vincere per un settore che dovrà sempre più competere con l’e-commerce e i moderni e-mall.
Partendo da queste premesse, gli operatori del settore dovrebbero a mio avviso focalizzarsi su tre elementi:
La bellezza delle emozioni. I nuovi centri commerciali non dovranno più solo essere contenitori razionali e funzionali di una proposta commerciale, di “cose”, ma luoghi del bello e del piacevole, con spazi “inutili” che possano essere riempiti di contenuti dai clienti, aperti a iniziative di terzi, con logiche bottom-up.
L’identità nel marketing. Diciamocelo: i centri commerciali sono spesso una summa di attività commerciali, e difficilmente sono stati in grado di costruire una propria “personalità”. Serve un ruolo diverso del marketing per queste strutture: non più coordinatore di iniziative terze e non più gestore di profili social che fungono, anche qui, da vetrina per gli operatori del mall, ma attore forte e autorevole. Il marketing infatti, ha la possibilità di svolgere un ruolo di aggregatore di dati e informazioni per delineare il profilo del proprio Cliente e attorno a questo costruire non un mero palinsesto non di eventi (la pista di pattinaggio a Natale…) ma una proposta di servizi e di valore che sarà poi il singolo cliente a ritagliare sui propri desiderata.
Il dialogo col territorio. In ambito agricolo ed alimentare, FICO a Bologna esaspera questo concetto (visto che lì, il “territorio” è l’Italia intera) ma è indubbio che i centri commerciali- esaurito l’effetto food court quale elemento differenziante e caratterizzante la propria offerta- abbiano una grande chance di guardare ai territori per individuare eccellenze nell’offerta (non solo food, sia beninteso) da inglobare e valorizzare al proprio interno. Il centro commerciale può essereinfatti una potente vetrina dei territori, un hub di eccellenze, riuscendo così a proporre un mix merceologico (ed esperienziale, aggiungo) davvero unico evitando il rischio copy&paste sempre più presente (chi non provato la sensazione che i centri commerciali, e spesso i centri città, siano deboli sfumature della medesima offerta?).
Nel mercato italiano l’e-commerce è certamente in crescita ma è ancora poca cosa rispetto ad altri Paesi, quindi gli shopping center fisici hanno poco da piangere e molto da fare… La sfida insomma è aperta.
Resta solo da capire chi vorrà e saprà coglierla per contrapporre ai moderni e-mall i nuovi… emotional mall.
@danielecazzani
Riconosce i Clienti appena entrano nel negozio (ancora meglio di AmazonGo). Ne ha memorizzato i gusti, i precedenti acquisti, ed è così che sa proporre mirate proposte promozionali o azioni di cross selling. Sa individuare i clienti per test e survey, perché è conscio che il vero giudice di qualsiasi innovazione è il Cliente. Ed è in grado di mapparne le interazioni sulle proprie pagine social.
In sintesi mixa le principali caratteristiche di un moderno CRM- ascolto, dialogo, coinvolgimento, profilazione e misurazione- con l’unico obiettivo di migliorare la customer shopping experience e costruire, partendo da questa, strategie efficaci, dinamiche, flessibili, tailor made (cucite sul singolo cliente).
Questo sistema non è in cloud, e non stato progettato da qualche start-up americana (né tantomeno italiana o europea), ma è il frutto… dell’amore di Monica e Carlo, due appassionati commercianti.
Questo “sistema” si chiama infatti Mario.
E’ il figlio di Monica e Carlo- ne ha ereditato il negozio- ed è il titolare di una gastronomia di cui da anni sono affezionato cliente (nonché involontario testimone dell’efficacia del suddetto sistema).
Purtroppo Mario è un “sistema” non replicabile né esportabile.
Mi si perdoni quindi il divertissement iniziale, ma il tema del CRM è per me fondamentale soprattutto in realtà dove non si può fare affidamento sulla singola Persona, ma, come nelle moderne e complesse realtà retail, deve essere la struttura e la cultura organizzativa a costruire un efficace “sistema” di relazione col Cliente.
Se si è davvero convinti che le strategie debbano sempre più essere customer-centriche e che il focus debba sempre più essere il Cliente- cose che sento ripetere ovunque…- per quale motivo il CRM stenta a diventare vero motore delle strategie aziendali- penso qui a tante realtà retail- rimanendo invece, spesso, una “riserva” del marketing?
A mancare non sono certi gli strumenti tecnologici, ma forse più la volontà di compiere un passo culturale verso quei Clienti- siano essi boomers, generazione x, millenials…- che chiedono di essere ascoltati, che si organizzano in comunità attorno ai brand preferiti e che pretendono sempre più una nuova relazione.
Il paradosso è che Mario lo aveva capito anni fa senza partecipare ad alcun convegno…
@danielecazzani