L’ultimo miglio del #volantino

volantini gdo

Venerdì scorso si è tenuta a Parma la seconda edizione del convegno “Le nuove frontiere del volantino” organizzato da #Nielsen e Università di Parma.

In sintesi alcuni dei dati più interessanti emersi:

  1. la prolungata crisi che stiamo vivendo ha modificato le abitudini di consumo e d’acquisto degli Italiani: si compra meno, solo l’essenziale (senza stoccarsi di prodotti), spostandosi su format di vendita più convenienti (discount e specialisti drugstore) e comprando sempre più prodotti a marchio privato;
  2. la pressione promozionale continua a crescere, arrivando a sfiorare il 30%; questo dato è sostanzialmente identico per leader e follower di categoria e formato di vendita;
  3. cresce fino  al 23,7% anche la pressione promozionale dei prodotti a marchio privato;
  4. per il combinato disposto dei primi 3 punti diminuisce la fedeltà al negozio e alla marca;
  5. le principali aziende del largo consumo nel 2012 hanno disinvestito dall’advertisement e dirottato risorse sulla promozione prodotto/prezzo.

Nonostante l’aumentata pressione promozionale il 2012 ha registrato un calo dei consumi sia a valore (-1%) che a volume (-1,5%), con punte differenziate in funzione del formato (in grande difficoltà gli ipermercati).

Il volantino non è percepito dai clienti/consumatori come strumento di aiuto alla spesa, ma ancora come strumento di spinta al consumo.

Qualche operatore del settore ha detto che il volantino è lo strumento di ingaggio tra insegna e cliente, ma la sensazione è che sia ancora più che altro strumento di ingaggio tra industria e GDO, in base ad arcaici approcci relazionali e commerciali che rischiano di essere sempre più inadatti al nuovo contesto.

La sempre maggiore diffusione dei device mobili e la sempre maggiore propensione dei clienti alla multicanalità dovrebbe comportare uno switch di risorse dalle promozioni mass market a mirate promozioni basate sui dati fidelity, ma anche su questo fronte le resistenze da vincere paiono essere davvero molte…

Sempre parlando del volantino- che assorbe mediamente il 70-80% del budget pubblicitario nella GDO- l’attenzione è stata posta sul tema della qualità della distribuzione porta a porta, cui si affidano tutti gli operatori della GDO, avvalendosi di una delle tante aziende di un settore in cui sono presenti tante, troppe imprese senza struttura e organizzazione e che fanno affidamento solo sulla richiesta/necessità di tante catene di comprimere al massimo i costi del servizio (a fronte di un costo medio di 0,03 euro a copia, vi sono casi in cui il servizio di distribuzione viene offerto a tariffe di 0,015 euro a copia…) senza preoccuparsi della qualità dell’ultimo passaggio, rischiando così di vanificare quell’80% di investimento.

Premesso che il futuro vedrà certamente una sempre maggiore importanza (e centralità) del volantino digitale– che dovrà però offrire contenuti arricchiti rispetto al cartaceo- visto che già oggi almeno il 50% dei consumatori consulta il volantino anche sui siti web o le app delle diverse insegne, è emerso come cruciale il tema della qualità della distribuzione.

Sono oggi disponibili sul mercato società che effettuano (per conto terzi) attività di controllo campionario sulle distribuzioni eseguite da altre società, ma vi sono anche nuovi strumenti che permettono di “certificare” la distribuzione, tramite la tracciatura satellitare e la possibilità di personalizzare il volantino con codici alfanumerici univoci in fase di stampa.

Senza contrapporre il metodo tradizionale alle nuove tecnologie, dobbiamo notare che anche la distribuzione con tracciatura gps- il cui costo è circa il triplo rispetto ai valori sopra indicati- può al massimo certificare l’avvenuta consegna in una certa cassetta postale o condominiale. Ma il vero problema è proprio nella cassetta postale e condominiale: ognuno di noi, quotidianamente, deve fare i conti con la propria cassetta postale invasa da comunicazioni pubblicitarie (negozi alimentari, agenzie immobiliari, negozi di arredamento, offerte di artigiani, ecc) cedendo talvolta alla voglia di sbarazzarsi di tutta quella carta non richiesta. La situazione ovviamente peggiora se pensiamo alle cassette pubblicitarie condominiali, dove basta la volontà e determinazione di un singolo per eliminare in un colpo solo chili di carta (di volantini).

Nulla e nessuno può ad oggi certificare l’avvenuta consegna del volantino nelle mani del nostro cliente (reale o potenziale che sia).

Anche per questi motivi la strada da percorrere sarà quella di personalizzare le offerte, facendo convergere la sempre maggiore attenzione del cliente alla qualità dell’offerta (in termini di prodotto, prezzo e servizi proposti) e la disponibilità di nuove tecnologie- che saranno via via sempre più diffuse e utilizzate- con le strategie degli operatori della GDO.

La sfida sarà mettere al centro delle proprie strategie il cliente per costruire attorno alla sua domanda (di qualità, convenienza e servizi) una coerente offerta (non solo commerciale, ma anche esperienziale e valoriale).

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA LOYALTY

carta_fedelta_940x420
Iniziamo con una considerazione che dai più potrebbe essere considerata una banalità.

Per un operatore della GDO, la carta fedeltà– insieme ai prodotti a marchio- dovrebbe essere una delle principali leve per la costruzione della propria brand identity. Per quanto risulti banale ricordare come assortimenti e prezzi siano elementi facilmente imitabili dal parte dei nostri concorrenti, si deve ravvisare come nella realtà la consapevolezza dell’importanza del Loyalty Marketing fatichi a farsi strada. E ciò nonostante fosse legittimo attendersi che la crisi che la GDO sta attraversando avrebbe comportato un’analisi critica degli approcci e le strategie che hanno caratterizzato gli ultimi anni: assortimenti ridondanti– guidati dalle logiche di listing fee e dalla scelte dell’Industria e non certo da attente valutazione di category management- politiche di pricing confuse e spesso imperscrutabili per il cliente, un sempre più massivo ricorso alla leva promozionale mass market.

La scarsa lungimiranza delle scelte fin qui compiute nasce certamente dal fatto che per anni si sono ignorati i dati loyalty, paradossalmente disponibili (e in grande abbondanza) ritenendo, erroneamente, che le attività di Loyalty Marketing fossero più degli esercizi di stile che dei potenti strumenti nelle mani dei retailers.

Una provocazione che può valere come esempio sul mancato riconoscimento del ruolo della Loyalty: per sapere quale sia il “prodotto dell’anno” siamo davvero convinti sia meglio ascoltare il parere di un panel di consumatori, anziché le scelte sul nostro scaffale dei nostri clienti?

Certo, forse a sostenere questa situazione di marginalizzazione hanno pesato casi in cui il Loyalty Marketing è divenuto cosa a sé all’interno delle organizzazioni aziendali, una “riserva” con proprie logiche e obiettivi spesso distanti e se non del tutto incoerenti rispetto a quelle del core business aziendale.

Ma tali devianze credo non possano nascondere l’evidenza che, nonostante nel corso degli anni siano certamente aumentati gli investimenti nel Loyalty Marketing, spesso la relativa funzione aziendale risulta ancora essere marginale o perlomeno non al centro delle scelte strategiche aziendali.

Non credo che il problema  sia riassumibile nel solo termine dell’ammontare delle risorse investite, quanto nella capacità di “innestare” realmente il Loyalty Marketing nell’alveo delle strategie aziendali.

Tale processo non potrà mai decollare realmente, almeno finché la cultura della fidelizzazione non sarà diffusa in tutte le ramificazioni aziendali in modo tale che il cliente possa viverla nel corso della sua esperienza d’acquisto (dall’ingresso al punto vendita, al percorso lungo le corsie, alle casse, navigando sul sito web o mobile, ecc).

Con il pragmatismo che nasce dal fatto di lavorare all’interno di una piccola (artigianale) realtà nel mare magnum della GDO, voglio portare l’attenzione su due momenti che a mio parere esemplificano la mancanza di una cultura delle fidelizzazione: la sottoscrizione della carta fedeltà e il “packaging” delle tessere.

Partiamo dal secondo. Lo studio grafico delle carte fedeltà spesso e volentieri denuncia frettolosità e disinteresse: codici colore ed elementi grafici sono talvolta del tutto scollegati dall’immagine dell’insegna, fino a risultare anonimi; non esiste un packaging di presentazione al cliente (perché non pensare a un cofanetto che contenga la tessera, il regolamento e- perché no?- un buono sconto?). Tale approccio è davvero paradossale se pensiamo che la carta fedeltà è nei fatti un “pezzo di noi” che il cliente porta sempre con sé…

Ma, soprattutto, voglio concentrare l’attenzione sul momento di ingresso nel mondo loyalty di una qualsivoglia insegna della GDO, ovvero la sottoscrizione della carta fedeltà. Se siamo fortunati , una volta ottenuta l’attenzione del personale di turno al box informazioni ci viene rapidamente consegnato il modulo per l’inserimento dei propri dati. Personalmente per arricchire di contenuti e informazioni i secondi dedicati alla compilazione non ho mai avuto il piacere che il personale di cassa mi spiegasse quali fossero i vantaggi della propria carta fedeltà, illustrandomi ad esempio la raccolta punti, oppure le convenzioni con altri operatori esterni. Nulla. Di solito è il silenzio ad avvolgere il cliente, lasciato solo nella compilazione del modulo, e che, con difficoltà riesce talvolta ad avere informazioni esaustive sul trattamento dei dati in base alla normativa sulla Privacy. L’effetto è simile a un ufficio postale o bancario, dove si devono compilare dei moduli in modo asettico sotto lo sguardo (anch’esso asettico) di un addetto.

Spesso il risultato di tale trascuratezza è riscontrabile nel database clienti: poco leggibile perché con dati incompleti o manifestamente erronei; minando così tutte le operazioni a valle che dovrebbero basarsi sulla qualità dei primi dati raccolti.

Se davvero vogliamo parlare di costruzione di una brand identity attraverso il Loyalty Marketing, anziché pensare che il problema principale sia dato dalla limitatezza delle risorse a disposizione, dovremo ammettere che il vero punto focale, in grado di determinare o meno il successo delle nostre strategie, è nel fatto che il percorso deve partire dal basso, con un approccio bottom-up, ovvero dal punto vendita, vera arena dove si gioca il rapporto col cliente, dove tutto inizia (la prima visita, la sottoscrizione della tessera) e dove, ci si augura, nulla debba mai finire…

Daniele Cazzani @danielecazzani