In tanti dicono di averli visti, ma in pochi nella realtà ne saprebbero documentare la reale conoscenza…
Il destino del bigfoot sembra stranamente assomigliare a quello dei bigdata, di cui si parla molto- soprattutto in convegni, ricerche e workshop- e nel quale la maggior parte delle aziende retail giura di credere. E di investire sempre di più come testimoniano ricerche recenti (vedi http://www.techweekeurope.it/data-storage/forrester-crescono-gli-investimenti-in-big-data-98697), pur rappresentando ancora una quota minima degli investimenti IT.
Prima però di vedere quanto viene investito in questa “nuova frontiera”, la domanda da porsi è perché lo si faccia, o meglio ancora, quali siano gli obiettivi che attraverso i bigdata si possano conseguire.
E’ infatti piuttosto evidente che l’interconnessione tra diversi sistemi attraverso i quali transitano i dati delle transazioni e dei profili dei clienti, unita alla multicanalità del consumatore, siano dei fantastici generatori di dati, di fronte alla cui mole però la reazione può essere paradossalmente di stallo.
Partiamo da due (mai troppo banali) considerazioni preliminari:
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la conoscenza del Cliente è un patrimonio inestimabile per il Retail
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la carta fedeltà è lo strumento centrale della strategia di relazione e conoscenza col Cliente
Se la prima asserzione troverebbe tutti d’accordo, nella realtà dobbiamo registrare come in tanti casi la situazione sia ancora ferma, con retailer che dimostrano di considerare il cliente un unico soggetto, senza attività specifiche per distinti target; e senza che le analisi dei comportamenti d’acquisto (o non acquisto) incidano sulle scelte commerciali, promozionali, di assortimento ecc.
Lo testimoniano i grandi investimenti in campagne promozionali e media mass market, e l’ancora ridotto peso degli investimenti nel CRM.
La carta fedeltà, a sua volta, è ancora troppo spesso un’appendice delle strategie aziendali: un qualcosa che si deve avere in una short list degli strumenti di marketing da spuntare, ma della cui reale utilità molti paiono dubitare…
Quello che manca è talvolta la consapevolezza che alla base di un programma loyalty vi deve essere un semplice patto col Cliente, un sorta di moderno do ut des. Il Cliente permette di analizzare il proprio comportamento d’acquisto se in cambio di questa analisi, il retailer si dimostra in grado di offrire una migliore esperienza d’acquisto fatta ad esempio di promozioni più efficaci e servizi dedicati.
Altrimenti il rapporto risulta sbilanciato e, nell’epoca del prosumerismo, i clienti non sono più disposti a premiare chi li consideri dei semplici numeri.
La conoscenza del cliente può aiutare i retailer nella definizione delle proprie strategie e soprattutto nello sviluppo dei propri programmi loyalty, ma affinché ciò avvenga sono necessari tre elementi:
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una chiara definizione degli obiettivi. Navigare nel mare magnum dei dati può essere oltremodo faticoso e oneroso, se non si hanno chiari quali siano i dati rilevanti per il proprio business…
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la costruzione di metriche/kpi’s che permettano di misurare le perfomances delle diverse attività. Bisogna andare oltre le valutazioni manageriali di pancia e avere il coraggio di leggere e analizzare dati, anche quando, come uno specchio di mattina, non ci restituiscono l’immagine dei nostri sogni…
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la condivisione di una cultura aziendale del dato e della loyalty che parta dal CEO e arrivi fino a tutto il personale del negozio. Senza il supporto delle persone, nessuna infrastruttura IT può essere in grado di dare vita a un efficace programma di loyalty.
E tutto questo senza più confini tra negozio fisico, piattaforme social, sito di e-commerce.
Sono confidente che questi e altri temi emergeranno venerdì 21 a Parma nel corso dell’annuale convegno dell’Osservatorio Fedeltà promosso dall’Università di Parma (www.osservatoriofedelta.it) perché la sfida è cruciale per disegnare il futuro del loyalty management: evitare che i bigdata si trasformino nell’ennesima… bigbubble senza cioè mai trasformarsi in driver dei processi manageriali, è l’ambizioso obiettivo che, prima ancora dei propri fornitori di soluzioni IT, i retailer più avveduti oggi si devono dare.
@danielecazzani