APRIAMO AI CLIENTI LE PORTE DELLA C-SUITE

E’ aspettativa diffusa che il livello dei consumi impiegherà alcuni anni per tornare a livelli pre-Covid e, verosimilmente, con velocità diverse in funzione del settore e del Paese.

Concentrandoci sullo scenario italiano, pur volendo fare professione di ottimismo e accogliere quindi anche gli scenari migliori, non possiamo non considerare che a cambiare sarà anche il mix e i canali di consumo (scegliete voi quale proiezione sulla crescita dell’e-commerce preferite…).

Ritengo che il Retail debba sfruttare quanto imparato nella navigazione di questo primo anno di convivenza col Covid per disegnare il proprio futuro, partendo prima di tutto dalla propria organizzazione interna.

Servono oggi nuove competenze e organizzazioni più flessibili, chiamate ad eseguire rapidamente azioni che siano misurabili nel breve e permettano agili cambi di direzione.

La crisi ha riportato al centro dell’attenzione il cliente e con esso il customer service, così come il ruolo dei social come connettori relazionali coi propri clienti e il ruolo del digitale a servizio del cliente (la parola omnichannel finalmente tradotta in realtà) solo per citare alcuni esempi.

Il fatto che abbia ripetuto più volte la parola “cliente” non è un caso.

Il nuovo retail deve essere orientato al cliente più ancora che al prodotto o servizio offerti.

Affinché ciò avvenga, per tornare al punto centrale, anche le organizzazioni devono essere orientate al cliente, spingendo sulla creazione di un Chief Customer Officer che porti nella C-suite la voce, i bisogni e i sogni dei clienti.

E’ il momento che un altro mantra degli ultimi anni, ovvero customer centricity, divenga realtà.

@danielecazzani

AI CENTRI COMMERCIALI SERVONO UMILI RAMMENDATORI, NON SPOCCHIOSI ARMATORI

Vedo tanta euforia per la riapertura dei centri commerciali nei fine settimana. Uno stato d’animo certamente giustificato vista la prolungata (e, da tanti punti di vista, ingiustificata) chiusura nei giorni della settimana da sempre più importanti per il commercio.

Tanti operatori confidano nel cosiddetto revenge shopping come acceleratore di questa ennesima ripresa che arriva all’inizio di una stagione estiva su cui tanti ripongono molta fiducia in attesa dei saldi estivi.

Come già capitato in passato temo però che la tentazione di sperare in un ritorno al passato sia una pericolosa illusione.

Basterebbe leggere le ultime ricerche per capire quanto la società italiana esca più povera e comunque provata da questa lunga crisi con un aumento di oltre un milione di disoccupati e i poveri assoluti vicini a quota sei milioni; temi di cui si è smesso di parlare da quando il dibattito si è concentrato sulla possibilità di fare o meno uno spritz all’interno dei locali.

Questi numeri, che stridono con la crescita dei risparmi e della raccolta di fondi di investimento, non possono essere ignorati.

Inoltre l’approccio al consumo in quest’ultimo anno è certamente cambiato con una maggiore attenzione al risparmio- ne è una testimonianza la crescita dei discount e degli specialisti drugstore- e una forte modifica dei canali con la scoperta dell’e-commerce (in forma paura o ibrida) da parte di milioni di consumatori.

Per usare una metafora, il mare del commercio è cambiato e potrebbe quindi rivelarsi frustrante gettare in acqua le vecchie e logore reti per accorgersi che non sono in grado di raccogliere quanto sperato…

Torno così ai centri commerciali che da enormi e gioiose cattedrali dello shopping per lunghi mesi sono state trasformate nei weekend in spazi vietati ai più con lunghi corridoi di saracinesche abbassate, luci spente e un silenzio rotto solo dal rumore di qualche carrello della spesa alimentare.

In questa prima fase di piena riapertura noto molti centri commerciali giocare la carta del risparmio, provando faticosamente a coalizzare le tante anime commerciali dei mall attorno ad operazioni a premio, concorsi o formule votate comunque alla convenienza.

Ho detto prima che il tema del risparmio sarà certamente importante ma non credo risolutivo.

I gestori dei centri commerciali più che immaginarsi quali attori commerciali tout court (non si offendano, ma non hanno la cultura di un retailer…) dovrebbero lavorare per armonizzare (non provare a guidare) le iniziative dei singoli e investire nel disegno di servizi a supporto dell’esperienza dei clienti, tema che finora in pochi hanno affrontato confidando solo nella varietà dei negozi e nella presenza di una food court per fare attrazione.

Per tornare alla metafora del mare le società di gestione delle grandi strutture commerciali dovrebbero quindi dismettere i panni di grandi armatori (alias meri operatori immobiliari) per indossare quelli più umili (ma estremamente utili) dei rammendatori, occupandosi della riparazione delle reti e impegnandosi, con perizia e pazienza, nella connessione delle diverse reti per intercettare un consumatore sempre più sfuggente ed esigente.

In questo nuovo, e ancora burrascoso, mare serve umiltà per sperare in una pesca proficua.

@danielecazzani

Il dizionario (impossibile) del retail – O come Omnichannel

Ogni giorno il retail inventa nuove parole. Racchiuderle in un dizionario è compito quasi impossibile. Ma proviamoci 😉 partendo dalla lettera “o” come “Omnichannel”

RECOVERY RETAIL

La pandemia nell’ultimo anno ha costretto il Retail ad affrontare numerose crisi che hanno impattato le reti fisiche, le operations, le piattaforme di e-commerce, le persone, la relazione coi propri clienti…

Crisi profonde che hanno accelerato fenomeni già presenti che in taluni casi qualche manager confidava (forse ingenuamente) di poter gestire nel medio termine (pensiamo alla crescita dell’e-commerce).

Alcune sfide sono state vinte, altre non ancora, ma è indubbio che il Retail abbia fatto un grande- per quanto forzoso- salto in avanti nella sua evoluzione.

Ma questo sforzo da solo non può essere sufficiente.

La pandemia ci restituisce una società provata, più povera, impaurita e con minore fiducia nel futuro– si veda la crescita dei risparmi- tutti aspetti su cui da solo il Retail può e potrà fare ben poco. 

Per questo penso che per aiutare la ripresa sia fondamentale anche il ruolo dell’attore pubblico. 

Non sono certo un nostalgico dello Stato interventista- tornando all’epoca delle partecipazioni statali (che pure hanno ancora oggi tanti affezionati sostenitori)- né penso a una generica richiesta di maggiori o migliori ristori, quanto alla necessità di riconoscere (finalmente) quale sia il ruolo del Retail nell’economia del nostro Paese.

Non penso solo all’incidenza sul PIL (certamente importante) ma, solo per citare alcuni spunti, al ruolo del retail come “anima” pulsante dei centri cittadini e magnete per il turismo, piuttosto che come volano di sviluppo per l’occupazione (anche femminile), o al ruolo importante nella costruzione di una cultura digitale della popolazione italiana (pensiamo in questo caso al tema dei pagamenti cashless).

Soprattutto il retail è il terminale di tante filiere- industriali, artigiane, agricole- che sono eccellenze del nostro Paese ma assurdamente non viene quasi mai considerato quando a quelle si fa riferimento; anzi viene spesso raccontato come ultimo tassello “parassita” che approfitta del lavoro degli altri attori delle stesse (si pensi alla retorica del markup sui prodotti ortofrutticoli ad esempio).

Insomma, il Retail meriterebbe di essere rappresentato al tavolo dove si disegnerà il futuro del nostro Paese (dandosi anche una qualche unitaria rappresentanza, perché oggi non è questione di essere piccoli o grandi, di questa o quella associazione…) o perlomeno di essere ascoltato e conosciuto visto che è il tassello più vicino al cliente/cittadino/consumatore.

Mentre scrivo non so quale sarà la versione finale del tanto atteso recovery plan italiano, ma segnalo che nelle prime versioni- redatte dal precedente Governo- non si trovava traccia alcuna della parola retail, commercio o distribuzione.

Una mancanza che evidenziava la scarsa considerazione che si ha del Retail e che, se confermata, rischierebbe di pregiudicare i grandi sforzi che tante organizzazioni e persone hanno messo in campo in quest’ultimo anno.

Una disattenzione che purtroppo rischia di pesare gravemente sul futuro di milioni di lavoratori.

@danielecazzani

ADDENDUM

Pochi giorni fa Alberto Frausin è stato nominato Presidente di Federdistribuzione: a far discutere è stato il fatto che Frausin arrivi da esperienze manageriali dell’Industria che della Grande Distribuzione è alleata e al contempo nemica (almeno secondo una diffusa cultura manageriale).

Ritengo sinceramente che si tratti di un tema valido per alimentare qualche tweet polemico e poco più; piuttosto la distribuzione e il commercio dovrebbero interrogarsi su quanto della loro nulla capacità lobbystica sia imputabile alla loro medievale suddivisione in feudali associazioni, la cui cacofonia non arriva nemmeno al consumatore…

8 MARZO – PER UNA TRANSIZIONE ROSA DEL RETAIL (MA NON SOLO)

“La presenza femminile nel retail, nei posti di potere, non serve soltanto alle donne, ma serve a migliorare la qualità del retail. Per tutti.”

Mi sono permesso di citare (con una minima modifica, sostituendo “retail” a “politica”) le parole dell’On. Tina Anselmi (staffetta partigiana, prima donna ministro nella storia della Repubblica italiana) per affermare  qualcosa di cui sono assolutamente certo (forse anche perché ho la fortuna di lavorare con una direttrice generale e una direttrice marketing, oltre che tante validissime colleghe 😉 ) ovvero che, per quanto sia evidente come l’anima del retail sia rosa (vi ricordate l’ipocrita apprezzamento per le commesse nei supermercati o le infermiere durante la prima fase della crisi vero?), purtroppo gli spazi apicali sono occupati per larga parte da uomini.

Un tempo si diceva che il problema della donne fosse l’istruzione, ma ora che le laureate di sesso femminile sono la maggioranza come la mettiamo? 

La verità è che la società sembra organizzata per disincentivare la crescita dell’occupazione femminile provando a relegare la donna nei ruoli di moglie e madre tout court, anche se le esperienze dei paesi nordici dimostra come sia possibile trovare equilibri corretti tra uomo e donna e rompere questo malsano incantesimo.

Il retail dovrebbe accelerare in questa direzione per trarne beneficio ora che ha bisogno di cambiare rotta ed essere leggero come una nuvola (per avere il coraggio i nuove scelte) e solido come una roccia (concreto e realista come solo una donna sa essere).

Certo, c’è anche bisogno che lo Stato incentivi questo cambio culturale e organizzativo della società con normative non tanto più “rosa” quanto, semplicemente, più “intelligenti” e inclusive.

Per questo dico che servirebbe un programma per la transizione rosa.

Buon 8 marzo a tutte le donne del Retail!

@danielecazzani

IL LUNGO INVERNO DEL RETAIL (MarkUp n.296)

Nello scorso autunno quando si iniziava a parlare di “new normal” ci siamo purtroppo accorti che di “normal” vi era ben poco: dapprima i coprifuoco serali, quindi il carosello dei colori delle regioni italiane, poi la chiusura dei centri commerciali nel week-end e della ristorazione, hanno avuto l’effetto di ravvolgere le lancette del tempo riportandoci laddove avevamo sperato di non trovarci più.
Una lunga sequenza di avvenimenti cui si è sommata una drammatica frenata nei consumi (sopratutto non alimentari) e un riequilibrio nei canali di vendita- con la portentosa accelerata dell’e-commerce- che ha ridisegnato il panorama del Retail.


Un riassetto destinato a non essere recuperato.

Il Retail infatti non può permettersi il lusso di rinchiudersi in una caverna, in letargo, in attesa che tutto torni come prima.
Quanto successo- inutile nascondersi dietro il semplicistico detto che ogni crisi è un’opportunità- ha messo e metterà a rischio tante realtà e che ha già avuto l’effetto di sconvolgere i piani di mid-term di tanti Retailers.
Questa è forse la prima volta nella storia moderna del Retail in cui una profonda rivoluzione non è dettata da un’innovazione tecnologica quanto da un elemento esogeno e, per questo, ancora più difficile da gestire, proprio perché impatta sui comportamenti di acquisto, sulla psicologia del consumatore, sul ruolo dello store fisico e via dicendo. Una vera e propria sfida che dovrebbe essere affrontata in primis partendo dalle organizzazioni, dalle persone e dai propri clienti.
Certo, non è detto che mettere al centro delle proprie strategie il cliente e la sua esperienza risolva da domani tutti i problemi, ma sarebbe la scelta corretta per non farsi trovare impreparati all’arrivo della tanto auspicata primavera.

@danielecazzani

IL RETAIL DEVE FARE ROTTA VERSO IL CLIENTE IN QUESTO MARE INCERTO (MA NON CHIAMIAMOLO DESTINO…)

A fine anno si è soliti fare il consuntivo di quanto accaduto nei mesi precedenti e le previsioni (che spesso confondiamo coi nostri buoni propositi) per l’anno che verrà.

Il 2020- con la maledetta comparsa nelle nostre vite del coronavirus- ci ha insegnato come le previsioni (sia nell’area personale che in quella professionale) siano deboli come foglie al vento dell’autunno in un contesto in continuo, inarrestabile e imprevedibile mutamento. Ovviamente questa consapevolezza e quanto successo- ovvero i trend immaginati dai guru del marketing spazzati via come carta straccia…- non devono portare il Retail ad assumere una posizione attendista o, peggio ancora, fatalista.

Oggi più che mai è necessario definire delle proprie strategie per affrontare questo difficile momento, esattamente come di fronte a una tempesta in mare aperto la soluzione non è attendere di vedere dove ci porteranno le correnti- scelta perdente a prescindere!- quanto disegnare una propria rotta e scegliere le vele più adatte e, nel contempo, chiamare alla massima unità d’intenti tutto l’equipaggio.

Nel delicato equilibrio di una barca nella tempesta o di un’’organizzazione in un momento di crisi, lo scollamento di singoli elementi può risultare fatale.Ripartiamo quindi dalle persone: mettendole a centro delle strategie, coinvolgendole nelle scelte, senza raccontare la favola del “un pò di pazienza e tutto tornerà come prima”, ma condividendo in modo trasparente le difficoltà e le opportunità che questo momento offre.

Come ha insegnato la rivoluzione dello smart working a tante organizzazioni si può lavorare in modo diverso e anche migliore, anche quando le scelte sono forzate da elementi esterni.E’ proprio al contesto esterno che bisogna avere il coraggio di guardare, per capirne il nuovo assetto.

Devo però confessare che termini come “new normal” personalmente non mi appassionano, perché troppo spesso ci si concentra solo su alcuni degli effetti di superficie che la crisi innescata dal Covid-19 ha comportato come la crescita dell’e-commerce. Guarda caso solitamente l’attenzione si concentra sugli elementi positivi e non ad esempio quelli negativi come l’aumento dei lavoratori in cassa integrazione, la riduzione della propensione al consumo e l’inasprimento delle differenze sociali…

Senza quindi distogliere lo sguardo dalla realtà che lo circonda credo il Retail abbia oggi l’opportunità- ma vorrei dire l’obbligo- di tornare a focalizzarsi su due aspetti fondamentali.Innanzi tutto i propri clienti. E’ giunto il momento che una parola quale “customer experience” si traduca in reali progetti. I retailers devono compiere un grande sforzo per disegnare le journeys dei propri clienti (il plurale è già indice della difficoltà del compito in un mondo omnichannel…), misurare l’efficacia della customer experience che offrono (quanti ancora oggi non misurano l’NPS, che possiamo considerare un primo tassello in questa direzione?), e continuare a migliorarla e arricchirla- ascoltando i feedback dei propri clienti e osservando la concorrenza e il mercato anche fuori dai confini del proprio settore- in un processo di learning by doing che coinvolga appieno tutte le funzioni aziendali.

Solo un questo modo, mettendo al centro dell’attenzione il cliente, il Retail potrà affrontare il nuovo contesto dando un senso alla sua presenza brick & mortar laddove le relazioni tra persone possono fare la differenza.

Il secondo aspetto è legato alle promozioni. Penso sia giunto il tempo di ridefinirne il ruolo: non intendo con questo certo dire che il prezzo non sia più un driver importante nelle scelte dei consumatori, ma prezzo non equivale a promozione. Così come promozione non per forza deve equivalere a taglio prezzo. Anche in questo ambito il Retail è chiamato a innovare passando da approcci mass market ad approcci tailor made, con promozioni (che possono essere intesi anche come nuovi servizi) ritagliate sui bisogni dei singoli così che siano davvero rilevanti e orientanti nelle scelte di consumo.

In conclusione, se nemmeno questa crisi avrà avuto la forza di far cambiare strategie a tanto Retail temo che nei prossimi mesi vedremo sempre più saracinesche abbassate. In quel (drammatico) caso potremo forse dare la colpa anche a qualche DPCM, ma non certo al solo destino…

@danielecazzani

IL FUTURO DEL RETAIL E’ NEI GIOVANI

Poco più di un mese fa (tempus fugit!) ho avuto il piacere- su invito di Cristina Lazzati, direttrice di MarkUp, GDOWeek- di tenere lo speech introduttivo del Master Retail Marketing and Sales Management organizzato da 24ORE Business School di fronte (virtualmente sic!) a tanti giovani che saranno protagonisti del #Retail di DOMANI. 

Non mi ritengo un guru quindi non ho portato loro le mie “verità” (ho sempre più DOMANDE che risposte…) ma mi sono permesso di dare loro 3 piccoli suggerimenti (che nella mia esperienza sono stati preziosi):

• Pensare come CLIENTI (non solo come manager)
• PARLARE coi propri clienti (fonte inesauribile per imparare a fare retail)
• Essere sempre CURIOSI (guardando competitors, leggendo ricerche sociologiche ecc)

Oggi più che mai il Retail ha bisogno di nuove ENERGIE per guardare al FUTURO 😉

ARCHITETTURA DELLE EMOZIONI PER IL NUOVO RETAIL

E’ opinione diffusa che la crisi del coronavirus abbia accelerato alcune dinamiche che stavano già interessando il retail- pensiamo all’esplosione dell’e-commerce che ha travolto sia chi non era preparato sia chi pensava di esserlo…- e ne abbia innescate altre del tutto nuove.

Tra queste ultime certamente possiamo citare la progettazione e il ruolo degli store fisici.

Per quanto sia indubbio che negli ultimi anni molte risorse siano state investite per rendere più belli, ingaggianti ed esperienziali gli store, altrettanto indubbio- tranne rare eccezioni- è che il centro della progettazione sia stato il prodotto: il negozio in questo scenario era chiamato a teatralizzare il prodotto, mentre il cliente veniva dopo…

Ora tutto è cambiato. Nei negozi si sviluppa una nuova esperienza- ingressi contingentati, distanziamento, obbligo di dotarsi di dispositivi di protezione individuale ecc- che deve porre al centro il cliente, le persone.

Dei tre ingredienti che definiscono un negozio, ovvero le persone, i prodotti e l’architettura, è quest’ultima a dover oggi più che mai giocare un ruolo fondamentale mettendo in relazione persone e prodotto.

Dovrà fare questo avendo ben presente che tutto sta cambiando, in primis l’approccio del cliente all’esperienza d’acquisto, oggi più razionale (appuntamento programmato) e, da alcuni punti di vista, stressante (pensiamo alle file all’ingresso, la limitazione del contatto ecc).

Così spazi, materiali, profumi, luci saranno chiamati a mettere a proprio sia il cliente che il venditore che dovranno sentirsi sicuri e al centro dell’attenzione del retailer: entrambi protagonisti di una nuova esperienza in cui le emozioni saranno chiamate a bilanciare la razionalità imperante.

Si tratta di una grande opportunità per il retail di innovare reti ancorate a paradigmi del futuro e destinate a scomparire di fronte all’e-commerce se non allineate ai nostri needs dei clienti.

@danielecazzani

IL SARTO E LA LENTEZZA

Pubblico qui l’extended version del mio articolo apparso sul numero 291 di MarkUp.

Torniamo con le lancette indietro di qualche mese. Tutto scorreva sempre più veloce. Il tempo sembrava essere sempre meno (nonostante la promessa dei moderni device digitali di creare nuovo tempo a uso e consumo dei nostri interessi).

Poi la crisi del coronavirus con il forzato lockdown e milioni di consumatori costretti a casa ha in qualche modo ridefinito il concetto del tempo.

Tutto si è dilatato: abbiamo scoperto quanto possa essere difficile riempire quello spazio quando a dettare il ritmo non è il sincopato mix di doveri (lavoro, obblighi familiari ecc) ma la nostra libera scelta.

Poi, terminato il lockdown, tutto è tornato a una nuova normalità, come si è soliti dire.

Nel nuovo contesto il tempo diventa ancora di più un fattore chiave per il Retail.

Non in ottica puramente efficientista. Non si tratta (solo) di fare risparmiare tempo ai propri clienti ma di valorizzare il tempo che essi ci dedicano.

Pensiamo al grande focus che vi era sul mondo dei pagamenti: certamente uno dei più impattati dalle innovazioni tecnologiche che hanno portato alla creazione di nuovi strumenti sempre più rapidi, anzi quasi impalpabili (pensiamo ad Amazon Go dove il pagamento pur essendoci cessa di essere uno step esperienziale nello store).

Questo filone di evoluzione rimarrà certamente ma emergerà sempre più l’esigenza di investire sulla programmazione della shopping experience, come dimostrano le tante app evita-code che hanno risolto tanti problemi e preoccupazioni negli scorsi mesi.

Attorno alla visita programmata del cliente il Retail dovrà però affrontare una grande sfida: costruire un’esperienza davvero tailor made- non avendo più la scusa dell’affollamento dello store- costruita attorno ai needs e ai gusti del singolo cliente.

Una sfida che potrà essere vinta solo se si investirà nell riprogettazione degli spazi fisici, nella costruzione di nuove competenze delle persone e, finalmente, in un approccio omnicanale che permetta di mixare la potenziale infinta dote di informazioni dell’online con la sartoriale capacità di un commesso di personalizzare l’esperienza del singolo cliente.

In sintesi Il Retail dovrà diventare un sarto del tempo, usando le competenze e i big data come strumenti di lavoro.

Lasciando da parte in questo contesto l’idiosincrasia dei nostri concittadini per i pagamenti elettronici è evidente come oggi vi sia una pluralità di strumenti di pagamento rispetto a solo pochi anni. Oggi la scelta non è più solo tra contante e carte di credito o debito, ma tra funzionalità di diverse app. Pensiamo a PayPal che è diventata in poco tempo lo strumento più utilizzato per gli acquisti online, grazie alla sua semplicità di utilizzo; o ancora pensiamo ai pulsanti “compra con un click” che ti permettono di trasformare in pochi secondi un desiderio in un pacco pronto alla spedizione.

Anche i negozi come Amazon Go sono un emblema di questo inno alla velocità: non devi nemmeno fermarti in cassa, ma solamente (!?) permettere al negozio di riconoscerti e seguirti passo a passo lungo le corsie monitorando le tue scelte.

Tutto semplice e rapido.

Questa corsa verso il tempo è vero servizio o non è forse una corsa a renderci compratori compulsivi?

Una scelta di acquisto così velocizzata non è forse anche banalizzata?

E questa banalizzazione non è forse pericolosa per il ruolo del negozio fisico?

Inoltre, il tempo che liberiamo in questo modo dove lo investiamo? Sul web e sui social a giudicare dalle più recenti analisi che ci collocano lontano dalla Filippine- oltre 10 ore al giorno sul web!- ma comunque in costante aumento…

E’ chi c’è sul web? Sempre noi retailer, pronti a raccogliere dati su stili e preferenze e a suggestionare i potenziali consumatori con nuovi prodotti e servizi.

Il tempo è riflessione. Il tempo è consapevolezza. Il tempo è nostro.

Qualcuno nel Retail avrà il coraggio di essere realmente disruptive e rallentare questa corsa?

@danielecazzani