IL RETAIL E IL DECAMERON AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

DA MARKUP N.290

Nel XIV secolo Boccaccio scrisse il famoso Decameron: una raccolta di cento novelle che ruota attorno all’esperienza di dieci ragazzi e ragazze che per sfuggire la peste del 1348 si rifugiano nella campagna fiorentina occupando le giornate, tra le altre cose, raccontandosi storie ispirate ai loro tempi.

Le lunghe settimane di lockdown- durante la fase 1 della crisi coronavirus che possiamo paragonare, mi sia concesso, alla peste del ‘300- hanno costretto milioni di Italiani a casa; non sappiamo ancora se nei prossimi mesi e anni vedranno la luce opere di simile valore  😉 ma sappiamo quanto smartphone e social abbiano permesso a noi tutti di rimanere in contatto in tempo reale con amici e conoscenti pur lontani da noi.

Quel che sappiamo è che i retailer hanno avuto l’occasione di costruire rapporti e di dialogare coi propri clienti non per proporre un acquisto ma su altri asset, quali la condivisione di valori (tema tanto decantato negli ultimi anni), utilizzando quali canali i social network.

Dobbiamo però ammettere che in pochi casi questo sia avvenuto in modo efficace.

Molti retailer hanno preferito investire in (spesso) melensi e retorici spot televisivi, vuoti di significato e promesse, riducendo nel frattempo la capacità dei propri customer service di dare risposta a clienti spesso frastornati dai vari dpcm e alla ricerca di informazioni sull’apertura di un negozio piuttosto che sulla “sorte” di un proprio ordine online.

Invece mai come ora, coi propri negozi chiusi e i siti di e-commerce (laddove presenti) in tilt, vi sarebbe stata la necessità di aprirsi al dialogo, all’ascolto.

Chi ha avuto il coraggio di dialogare coi propri clienti ne trarrà beneficio per i mesi e anni a seguire: domani, più ancora che ieri, i clienti chiederanno ai retailer e ai brand di essere presenti non solo durante un’acquisto in negozio o online ma anche nella vita di tutti giorni.

 

@danielecazzani

LE PROMOZIONI DEL FUTURO. IL FUTURO DELLE PROMOZIONI.

Venerdì 29/5 ho avuto il piacere e l’onore di partecipare a una roundtable webinar organizzato da Retail Institute Italy e moderato da Andrea Demodena di Promotion Magazine sul tema delle promozioni post-covid.

Quello delle promozioni è un tema a me certamente caro, non solo perché me ne occupo professionalmente da molti anni, ma anche perché ritengo siano una delle “armi” più importanti di cui dispone il Retail. Un’arma oggi spuntata, che necessita di essere nuovamente forgiata tenendo conto che non siamo più nel XX secolo e che tante cose sono cambiate (molte lo erano già prima della recente crisi: a tal proposito invito a leggere l’articolo Retail Apocalypse del Prof.Tirelli).

Qui di seguito alcune mie considerazioni che riprendo dall’articolo pubblicato sull’ultimo numero di Promotion Magazine.

 

Insieme delle attività volte a incrementare la vendita di un prodotto”: questa è la definizione di “promozione” che si può trovare su un qualsiasi dizionario. Per quanto questo termine racchiuda in sé diverse meccaniche, negli ultimi anni l’attenzione si è erroneamente spesso focalizzata solo sul taglio prezzo, mettendone in evidenza la sempre minore efficacia. Affermazione valida sia nel comparto della grande distribuzione che negli altri comparti del retail, in cui l’utilizzo della leva degli sconti è stata di anno in anno incrementata a scapito dell’efficacia (pensiamo al fenomeno Black Friday).

Questa grande attenzione al tema sconti ha rischiato di lasciare in secondo piano altre leve promozionali che la recente crisi richiede di portare al centro dell’attenzione.

Ma ripartiamo dalla minore efficacia della promozione di prezzo, evidenziandone quattro cause.

In primis una sempre maggiore concorrenza: basta guardare il proliferare di volantini della GDO nella propria cassetta postale o alle email con sales, e special discount che affollano la propria casella di posta elettronica.

In seconda battuta un utilizzo sempre più esteso della leva promozionale: se si è in continua promozione difficile lamentarsi della loro ridotta efficacia; pensiamo ancora ai saldi anticipati da promozioni quali le mid-season promotion o ai ai pre-saldi.

Terzo, l’illusione che le promozioni potessero moltiplicare il potere di spesa dei consumatori  trasformare in successi le migliaia di inutili prodotti lanciati ogni anno su un mercato sempre più saturo (pensiamo all’over-stock che questo trend ha causato nel mondo dell’elettronica).

Infine un nuovo atteggiamento dei consumatori che da anni hanno smesso di guardare al solo prezzo come stella polare delle scelte, ma sono sempre più attenti alle componenti di esperienza e al value for money (leggere alla voce crescita dei category killers e all’esplosione dell’e-commerce).

Veniamo all’oggi e al nuovo scenario che la crisi covid-19 lascerà in eredità.

Le promozioni di prezzo potranno nel breve rispondere alle difficoltà di una società in crisi economica con consumatori con minore potere di acquisto ma nel medio e lungo termine non potranno sfuggire la necessità di un ripensamento che sia incentrato su due aspetti: personalizzazione e rilevanza per il singolo consumatore.

Pensare che, in un’epoca in cui i consumatori si sono abituati a guidare sempre più la relazione coi brand, vi sia ancora spazio per promozioni mass market è un errore gravissimo.

Netflix dimostra come oggi il consumatore voglia costruirsi il proprio palinsesto; allo stesso modo pensare che debba adattarsi ai sincopati e poco trasparenti ritmi promozionali del retail può essere illusione pura. I piani promozionali dovranno essere personalizzati per singolo cliente e non dovranno essere solo intesi come tagli prezzo ma come servizi (pensiamo all’offerta di una consegna gratuita a domicilio). Lo stesso dicasi per i cataloghi premi- che dovranno essere aperti e non liste dei desideri (del solo marketing), e le special promotion che dovranno reinventarsi andando oltre la forza del licensing e pensando ai territori e alle comunità (la crisi porterà a una rivalorizzazione del prossimo a noi).

Inoltre la crisi che stiamo vivendo metterà a forte rischio la fedeltà del cliente e sconvolgerà le sue abitudini di acquisto: non capirlo, sperando che tutti torni come prima potrebbe essere il secondo grave errore del retail.

Per questo la loyalty e il crm dovranno essere centrali: il primo come patto tra cliente e retailer e il secondo come motore di conoscenza dei propri clienti, senza il quale la personalizzazione delle promozioni rischia di restare solo sui libri dei sogni.

L’invito al commercio in conclusione non è lavorare per modificare quel lemma del dizionario, quanto per renderlo ancora vero.

 

@danielecazzani

LA (IN)FEDELTA’ AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Riprendo l’articolo sul numero 288 di MarkUp. Buona lettura 😉

La crisi legata alla diffusione del covid-19 sia nel nostro Paese che nel resto del mondo rischia di cambiare profondamente il nostro modo di vivere. 

E’ verosimili che vi sarà un’accelerazione degli Italiani verso la digitalizzazione: formazione, lavoro, shopping in aggiunta alla già forte propensione alla socializzazione digitale.

Una delle espressioni che più si sentono in questi giorni è “ci sarà un prima e un dopo Coronavirus”. 

Ritengo personalmente che questa frase si dimostrerà vera per il Retail.

Ma qui, più che sul “prima” e sul “dopo”, vorrei pensare all’”oggi”.

In questo periodo la relazione tra consumatori e retailers si è modificata.

Ad esempio quello spazio di socializzazione, incontro e scoperta che sono- o dovrebbero essere- i negozi sono vuoti (al netto di alcuni comparti- penso alla GDO- dove pur rimanendo aperti la relazione e interazione si è profondamente modificata).

Questo può essere il momento in cui il Retail scopre il valore della fidelizzazione.

Un relazione costruita sulla mera interazione transazionale (mi paghi e ti offro in cambio un prodotto o servizio) oggi si trova in grande difficoltà.

Più o meno forzosamente il consumatore è oggi indotto a cercare la soluzione più comoda e accessibile per soddisfare il bisogno (il negozio più vicino al posto del solito ipermercato…).

I retailers invece che siano stati in grado di costruire dei forti legami coi consumatori, tramite esperienze distintive, basate sul riconoscimento dei bisogni e dei sogni dei propri, clienti programmi di loyalty generosi e CRM fortemente personalizzati, potranno vedere rafforzate le proprie posizioni già oggi.

Per questi retailers ci sarà certamente un “dopo”. Per gli altri- quelli ancorati alla leva promozionale e ancora spaventati dall’ecommerce – il futuro rischia di fermarsi al “prima”.

@danielecazzani

LA SFIDA DEL RETAIL: CAMBIARE PER IL CLIENTE (intervista a Forum Retail 2020)

Pubblico con piacere l’intervista rilasciata FORUM RETAIL su temi a me cari come la trasformazione digitale, la necessità di cambiare e la centralità del cliente.

 

Siamo pronti ad accogliere culturalmente una trasformazione digitale? Come può esprimersi un brand oggi, visto anche il contesto eccezionale che stiamo vivendo?
Provocatoriamente potremmo dire che se un brand oggi non fosse pronto a declinarsi in digitale sarebbero i consumatori a non accoglierlo più…
Prima che sull’aggettivo “digitale” vorrei però soffermarmi sul sostantivo “trasformazione”. Infatti mai come negli ultimi anni il retail ha potuto vivere sulla propria pelle la forza del panta rei di Eraclito: l’ambiente in cui ci viviamo, la grande differenza di atteggiamenti, valori e stili di consumo tra le generazioni, le evoluzioni tecnologiche pongono il retail di fronte a sfide ogni giorno diverse.
Alle organizzazioni e, soprattutto, alle persone è richiesta una grande attitudine al cambiamento per rimanere in contatto con un mondo di consumatori sempre più complesso- difficilmente clusterizzabile secondo i vecchi paradigmi socio demografici- e per rispondere non più solo a domande inerenti il prodotto o servizio offerto, ma più estesamente al ruolo che si vuole giocare nel contesto sociale in cui si opera.
L’e-commerce in particolare ha modificato i benchmark per tutto il retail. Inutile illudersi di tornare indietro, dopo questo periodo; altrettanto inutile pensare di poter fare la guerra all’e-commerce tramite la leva della proporzionalità tout court (in molti se ne sono resi conto troppo tardi).
L’omnicanalità oggi è un attributo fondamentale per costruire le relazioni coi propri clienti.
Il digitale da questo punto di vista è un enabler di nuove possibilità, lo sta dimostrando ora. Il digitale però non è solo tecnologia, ma anche organizzazione: la digitalizzazione deve ridisegnare le strutture, i ruoli e le responsabilità.

Come cambia il marketing dopo il digitale e cosa vuol dire fare Data-driven marketing?

Il concetto di data-driven nel marketing è oramai abusato. Dati e tecnologie abbondano al giorno d’oggi, ma l’effetto paradossale è quello dell’asino di Buridano: le tecnologie sempre in evoluzione ci portano spesso a capire che la soluzione che implementiamo dopo mesi di roll-out si rivela già superata al momento del go-live portando con sé frustrazioni; allo stesso modo la gran mole di dati spaventa: così come ammirati da una grande onda sull’oceano ce ne stiamo sulla spiaggi ad ammirarla anziché provare a cavalcarla.
Inoltre la grande attenzione sulle tecnologie e sui dati ha portato a una sottovalutazione dell’aspetto umano, di cui forse solo ora si torna a parlare in una condizione di emergenza che ha evidenziato la centralità delle persone.
Un aspetto fondamentale- direi cruciale per il retail brick & mortar- e su cui andrebbero costruite le strategie.
La relazione è l’aspetto al cuore del retail oggi: i dati e le tecnologie possono essere utili se funzionali a questo importante obiettivo.
Il marketing come sempre è chiamato ad arricchirsi di nuove competenze e conoscenze.

Il futuro: quali trend tecnologici ritieni in crescita?

Vedo una grande attenzione a due filoni: i metodi di pagamento e le subscriptions.
Per i primi la sfida sembra essere quella di renderli più rapidi e invisibili possibili- pensiamo ad Amazon Go dove il cliente esce dal negozio senza nemmeno rendersi conto di avere pagato … le seconde invece sembrano la panacea dei mali per un retail alle prese con un cliente sempre meno fedele.
Per quanto concerne i pagamenti ritengo che vi si ponga un’eccessiva enfasi- ma mi rendo conto che il retail ha sempre bisogno di nuove frontiere da esplorare a prescindere dalla loro effettiva rilevanza per i clienti…- per le seconde spesso, al netto di limiti nell’infrastruttura tecnologica che le sorregge, la domanda che in molti non si pongono è se la subscription risponda a una reale esigenza del cliente (se lo facessero dovrebbero ammettere che in realtà è più spesso una risposta alle proprie esigenze di supply chain e gestione degli stock).
Molti guardano a Netflix quando si pensa a un modello di subscription, senza capire che il punto di forza del player che ha sconvolto il mondo dei media non è il concetto l’abbonamento ma l’avere eliminato il telecomando.

In conclusione spero che il prossimo trend sia quello di mettere davvero al centro delle proprie strategie i clienti, non le tecnologie.

La ricostruzione delle strategie, post Covid-19, deve ripartire da qui.

@danielecazzani

MAGIE E SORRISI CONTRO IL VIRUS. UNA PROPOSTA AI CENTRI COMMERCIALI

“Indotto” è parola fredda.

Dietro quel termine però si nascondono PERSONE, PASSIONI e PROFESSIONI.

L’attuale chiusura dei centri commerciali, ad esempio, impatta certamente su tutte le attività commerciali delle gallerie, ma anche su quel mondo esterno fatto di aziende di servizi- vigilanza, pulizie, manutenzioni…- di agenzie pubblicitarie, di artisti e via dicendo.

Un pensiero in particolare agli ARTISTI.

Gli spettacoli sono sempre stati un’importante leva di attrazione per i centri commerciali: per creare traffico e per regalare momenti di svago e DIVERTIMENTO alla propria clientela.

Oggi le piazze dei centri commerciali che ospitavano quelle risate sono VUOTE. Nell’aria solo il SILENZIO.

Eppure… perché i centri commerciali non pensano di organizzare degli SPETTACOLI VIRTUALI- coinvolgendo proprio quegli artisti- magari sfruttando le propri pagine Facebook o i canali YouTube per ANDARE A CASA dei propri clienti?

Sarebbe un modo per regalare un SORRISO nelle giornate SURREALI che stiamo vivendo. In questi giorni ad esempio sto trovando conforto e motivo di sorridere nei video di Mr Magic Mariano, un AMICO che da oltre 30 anni regala sorrisi con la magia e la comicità…

#iorestoacasa #insiemecelafaremo #andràtuttobene … col sorriso 😉

@danielecazzani

IL RUOLO DELLE #MDD NELLA #FIDELIZZAZIONE DEL #CONSUMATORE #GDO

MARCA2020

La recente edizione di Marca by Bologna Fiere ha registrato come ogni anno un crescente entusiasmo per i progressi della marca del distributore (MDD) arrivata nel 2019 a pesare poco meno del 20% sul fatturato complessivo dei prodotti di largo consumo confezionato (LCC).

A guardare i dati però il progresso non risulta così folgorante, se pensiamo che nel 2015 la quota era già superiore al 18% e che in questi anni i distributori hanno investito moltissimo nello sviluppo di nuove linee e nuovi brand (un tempo si sarebbe detto private label) soprattutto nelle nuove categorie bio, di filiera, benessere, free from, premium- inserite negli assortimenti togliendo spazio ai prodotti di marca- ma trascurando invece la componente primo prezzo presidiata (vedasi sotto l’utilizzo recapito realizzato dalla testata GDOWEEK) solo dal migliore operatore del settore, ovvero Esselunga (sarà un caso?); la maggior parte delle catene ha inoltre supportato le MDD agendo con una forte pressione promozionale replicando così il vizio, e in parte i risultati, dell’IDM.

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Lo sviluppo dei prodotti MDD è certamente da salutare con favore sia per il supporto che dà a una filiera nazionale di produttori e co-packer sia per gli investimenti in sostenibilità ambientale e sociale come tra l’altro confermato dall’amico Giorgio Santambrogio (Presidente ADM, oltre che vulcanico AD di Gruppo VeGé) che ha annunciato proprio a Bologna che dal 2021 l’associazione che presiede chiederà a tutti i propri fornitori agricoli l’iscrizione alla “Rete di lavoro agricolo di qualità” promossa dal Mipaf (un importante tassello sia per la lotta al caporalato che per garantire la dignità dei lavoratori del settore).

Ma qual è il ruolo che la GDO assegna ai prodotti MDD?

La domanda sembra banale ma la risposta rischia di essere piuttosto confusa…

Se non v’è dubbio sul fatto che questi prodotti permettano alle insegne di governare in modo più certo la marginalità,  ci dobbiamo chiedere se e come siano in grado di avere effetti sul comportamento d’acquisto dei clienti, in primis in relazione alla loro fidelizzazione.

E’ opinione diffusa che le private label aiutino a fidelizzare i clienti ma dobbiamo constatare come la parola “fedeltà” sia tra le più abusate nel settore: basterebbe appostarsi alle casse di una qualsiasi insegna GDO per notare la varietà di borse utilizzate dai clienti, segno evidente della loro propensione a frequentare diversi punti vendita, come api in un prato fiorito (dopotutto come si giustificherebbe altrimenti il grande investimento in volantini se davvero si pensasse che i clienti sono fedeli? Perché continuare a sollecitarli a tradire questa o quella insegna?)

La ricerca per Marca 2019 sviluppata da Nomisma aveva evidenziato- in base ai risultati di una ricerca- come il 67% dei clienti scegliesse un punto vendita in base (o grazie) all’assortimento di prodotti mdd.

Non vi sono motivi per dubitare dell’approfondita ricerca, ma ciò che serve è una misurazione effettiva della correlazione tra fedeltà dei clienti e scelta dei prodotti MDD.

Detto che- spesso proprio in virtù dell’ampliamento dell’assortimento a danni di prodotti di marca- in un carrello è facile che vi sia almeno un prodotto MDD (a prescindere dall’insegna) come viene misurata la relazione tra questa scelta del cliente e fedeltà? Come possiamo dire che quel prodotto sia per lui rilevante in un carrello costituito da altri prodotti (di marca spesso)?

Azzardo: qualcuno nella GDO la misura? Nello sviluppo delle linee MDD questo elemento è considerato? Se sì, quanto? Dal punto di vista strategico, chi si occupa di cliente è integrato nei processi di sviluppo delle categorie MDD nelle organizzazioni della GDO?

Per proseguire nello sviluppo dei prodotti MDD come reale strumento di fidelizzazione e per aumentarne la quota- oggi ancora distante dai valori di altri Paesi europei- ritengo sia necessario questo ulteriore sviluppo in termini di analisi e strategie, che aiuterebbero la GDO a compiere ulteriori passi verso un moderno approccio al cliente (e non solo al prodotto e allo scaffale).

 

@danielecazzani

NOTA FINALE

Lancio la provocazione a Marca By Bologna Fiere: nell’edizione 2021 qualche leader della GDO sarà disponibile a rispondere a queste domande condividendo numeri?

NEW MARKETING RETAIL ORA E’ SU LINKEDIN

Abbiamo creato il gruppo NEWMARKETINGRETAIL su LinkedIn : uno spazio dove condividere idee, spunti, dubbi o suggestioni sul futuro del Retail.

Uno spazio pensato esclusivamente per gli appassionati di Retail.

Per farlo crescere serve però il tuo aiuto: unisciti a noi ;)!

Linkedin

 

 

 

CARO #RETAIL TI SCRIVO (L’ANNO CHE VERRA’)

Come sarà l’anno che verrà per il Retail?

Non sono solito fare previsioni così anche quest’anno me ne sono guardato bene nell’articolo che ho scritto per il numero di dicembre di Markup.

Ho deciso invece di scrivere- in modo decisamente insolito me ne rendo conto- una lettera/canzone ispirandomi alla splendida canzone di Lucio Dalla del 1978.

Per questo motivo invito tutti a cantarla, non a leggerla 🙂

Caro Retail ti scrivo così ti parlo un po' 

e siccome sei molto distratto da MarkUp ti scriverò.

Da quanto hai iniziato ci sono tante novità,

Amazon è arrivato oramai

e questa cosa ancora a te non va.

Si esce spesso la sera perché online è festa

ma c'è chi passa il tempo a sperare che l'antitrust 

rovini la sua festa

e si sta sempre a postare per intere settimane

e a quelli che hanno niente da dire

del tempo ne rimane.

Ma la Lazzati ha detto che il nuovo anno

porterà una rivoluzione

che il Retail sta già aspettando:

sarà tre volte Black Friday e Natale tutto l'anno 

ogni giorno sarà una promozione

e tutti i negozi saranno pieni di giorno.

Ci sarà da scontare e premi tutto l'anno

anche i negozi potranno festeggiare

mentre Amazon e Google già lo fanno.

E si farà la spesa ognuno come gli va

anche i millenials potranno comprare

ma soltanto a una certa età

e come ogni anno qualcuno chiuderà

saranno forse i troppo pigri

o i diffidenti sull'omicanalità.

Vedi caro Retail cosa ti scrivo e ti dico

e come sono contento

di essere qui in questo momento

vendi, vendi, vendi, vendi

vedi caro amico cosa ci si deve inventare 

per poterci ancora sperare

per continuare a guadagnare.

E se quest'anno poi passasse in un istante

pensa al tuo cliente

fallo sentire importante

che il tuo negozio sia anche il suo.

L'anno che sta arrivando tra un anno passerà

il Retail si sta preparando è questa la novità.

 

Ciò detto… Buon 2020 a tutto il Retail!

@danielecazzani

IL RETAIL E L’ILLUSIONE DEL TEMPO (A PROPOSITO DI BLACK FRIDAY)

RIPRENDO IL MIO ARTICOLO PUBBLICATO SU PROMOTION MAGAZINE.

Il Black Friday negli ultimi anni si è affermato come uno dei momenti più importanti dal punto di vista delle vendite per buona parte del retail: è l’evento che dà ufficialmente l’avvio alla stagione natalizia ed è anche per questo supportato da grandi investimenti di comunicazione sui media tradizionali, web e social.

Anche le categorie dapprima più fredde sul tema (o più distanti dallo spirito originario dell’iniziativa) come la GDO si sono via via avvicinati a questo evento e propongono oggi sconti e opportunità extra.

Il Retail però pare essersi lasciato prendere dal gioco, trasformando il day dapprima in una week per finire oggi ad avere in palinsesto quasi un mese di promozioni sotto il cappello (sempre più consunto) “Black Friday”.

Si tratta, a mio avviso, di una pericolosa illusione. Pensare infatti che estendere la durata di una promozione sia la soluzione magica per risolvere i propri problemi di fatturato- non certo quelli di marginalità!- è sintomo di un approccio tattico e non strategico allo sviluppo proprio business.

Se la soluzione fosse così facile perché non anticipare il Natale a settembre? A dire il vero a giudicare dalle corsie di tanti ipermercati invasi da panettoni & c. già ad ottobre, temo che qualcuno vi abbia già pensato…

Tornando all’illusione del Black Friday, sono almeno due gli effetti negativi da considerare. 

In primis l’estensione del periodo promozionale costringe il retail a ridurre la qualità degli sconti, sia in termini percentuali (e quindi di opportunità di reale risparmio per i propri clienti) sia in termini di ampiezza e profondità, arrivando a mettere in sconto prodotti vecchi, dando così l’impressione che l’evento sia visto anche come momento per svuotare i propri magazzini da anticaglie altrimenti invendibili.

In seconda battuta dobbiamo considerare l’effetto “stallo” nella scelta di acquisto: i consumatori oggi attendono le offerte del black friday e quindi procrastinano l’acquisto. Dobbiamo anche considerare che il proliferare delle offerte rende la scelta paradossalmente più difficile e complicata: provate a voler comprare una lavatrice in questo periodo e avrete la quasi certezza di non avere fatto il miglior deal della vostra vita per il timore di avere perso qualche super-offerta in qualche sito su cui non avete nagivato…

Si tratta di un effetto simile a quello dei saldi di fine stagione, della cui efficacia avremmo forse modo di parlare in altra occasione.

In conclusione, l’estensione della durata, il depotenziamento del reale vantaggio/sconto e un’ampiezza dell’offerta non declinata sull’ordinata della qualità ma solo sull’ascissa della qualità rischiano di indebolire la caratteristica dell‘eccezionalità dell’evento Black Friday e i conseguenti risultati.

Anche senza rifarsi al modello (ben più di successo) del Single Day di Alibaba, credo sia arrivato il momento per un profondo ripensamento del Black Friday, altrimenti il rischio che vedo è che ad essere black sia il futuro di un Retail che dovrebbe invece tornare a fare strategia abbandonando la ricerca di evanescenti formule magiche.

 

@danielecazzani

KIERKEGAARD E L’ANGOSCIA NEL #RETAIL

Potremmo così grezzamente sintetizzare i macro fenomeni che hanno caratterizzato il retail negli ultimi anni:

  • la riduzione dei consumi e
  • l’aumento dell’offerta (sia in termini di prodotti che di canali)

Dando come assodato come la moltiplicazione (e ibridazione) dei canali di vendita sia avvenuta soprattutto come risposta all’evoluzione tecnologica (mobile, social network ed esplosione dell’e-commerce) soffermiamoci sul secondo punto.

E’ indubbio che l’aumento dell’offerta di prodotti (o servizi) disponibili sia stata una delle leve più utilizzate dal retail per contrastare proprio la contrazione dei consumi.

Ma un aumento tout court dell’assortimento proposto al cliente può in realtà determinare nel cliente l’angoscia della scelta, intesa- riprendendo la lezione di Kieerkegaard- come conseguenza di una condizione in cui tutto è possibile e l’eccesso di possibilità aumenta le possibilità di errore…

L’aumento delle alternative può paradossalmente portare il consumatore a una situazione di stallo nella scelta con conseguenza negative sull’esperienza propria (e quella del retailer).

In ambito e-commerce la presenza di filtri per la navigazione degli assortimenti riduce talvolta questo rischio anche se spesso la loro impostazione non è fatta in ottica consumer-centrica ma prodotto-centrica replicando gli alberi merceologici dei prodotti che non è affatto detto siano coincidenti con gli alberi decisionali dei consumatori.

Negli store fisici questo compito di guidare il cliente nella navigazione della propria proposta viene quasi sempre dimenticato. Raramente si trovano directory e ancor più raramente il personale in store risulta avere tra i propri compiti (e competenze) il guidare il cliente tra reparti e corsie.

Anche questo aspetto porta molti consumatori a preferire l’e-commerce a uno store brick & mortar; ma se questo avviene la colpa non è di Amazon & c. ma di tanti manager che ancora non hanno capito CHI sia il proprio cliente e quale EXPERIENCE sia necessario disegnare nel 2019 per poter sopravvivere nel complesso mondo del retail.

Ma veniamo ora brevemente al panino del titolo.

Partiamo da una foto.

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Si tratta del menù di un piccolo locale di Milano che propone ottimi panini con un servizio rapido e piuttosto efficace.

Il menù come si può desumere è strutturato in ordine alfabetico. Non per ingrediente principale, non per tipo di panino, non per prezzo, non per categoria (ad es vegano…) ma alfabetico.

Insomma l’assortimento è proposto con una logica che non è coerente con l’approccio del cliente a questo tipo di consumo (a meno di non pensare che qualcuno entri in una paninoteca pensando “oggi mi voglio gustare un panino che inizi con la lettera p”!?).

Io ho dovuto cercare con attenzione nel ricco menù per trovare il mio panino alla bresaola 😦

Insomma anche da un menù correttamente strutturato il retail potrebbe trarre l’insegnamento che la rappresentazione della scelta è al cuore dell’esperienza dei clienti, ai quali va evitata una condizione di angoscia che porta molto spesso a un non consumo.

@danielecazzani

 

NOTA FINALE

Suggeriamo sul tema la lettura del libro “Troppa scelta” del prof. Guido Lugli dell’Università di Parma.